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Obesità: gli effetti del tirzepatide durano nel tempo

Obesità: gli effetti del tirzepatide durano nel tempo

Due studi a lungo termine dimostrano come dopo 3 anni dall’assunzione del farmaco il recupero di peso sia molto contenuto. Le donne dimagriscono di più

Perdere peso, anche in quantità modeste, non è solo questione di estetica, ma può determinare importanti benefici per la salute. Basta un calo del 5%, per esempio, per migliorare notevolmente la pressione sanguigna e i livelli di colesterolo, oltre a ridurre il rischio di diabete. E i vantaggi aumentano progressivamente, con una perdita del 15% come livello ideale per massimizzarli. Per questo, i risultati ottenuti recentemente nel trattamento dell’obesità attraverso la somministrazione di un farmaco per il diabete di tipo 2, il tirzepatide, approvato sia in Europa che negli Stati Uniti, hanno aperto nuove prospettive. Fermo restando che una delle più grandi sfide, per chi dimagrisce, è il mantenimento dei risultati ottenuti. Proprio in questa prospettiva, però, adesso arrivano incoraggianti risposte da 2 studi internazionali a lungo termine, che sottolineano anche il valore di un trattamento personalizzato, senza peraltro evidenziare nuovi problemi di sicurezza, visto che gli effetti collaterali più comuni sono nausea, diarrea e stitichezza.

tirzepatide

Il tirzepatide e la perdita di peso dopo 3 anni

La conclusione che, dopo 3 anni dal trattamento, gli obesi che hanno ricevuto tirzepatide riescono in gran parte a non recuperare il peso perduto accomuna infatti le analisi svolte da Louis Aronne della newyorkese Weill Cornell Medicine e Luca Busetto dell’Università di Padova nell’ambito degli studi Surmount-1. Come ha annunciato l’European Association for the Study of Obesity (Easo), gli incoraggianti risultati saranno presentati al Congresso europeo sull’obesità che si terrà a Malaga dall’11 al 14 maggio, ma sono già state condivise alcune anticipazioni. Lo studio statunitense ha seguito 690 partecipanti (il 65% donne con età media di 49 anni e peso medio di 107 kg). Ed è emerso che, dopo aver perso mediamente il 23,1% del loro peso corporeo nel punto più basso, dopo 3 anni ne hanno recuperato appena il 3,7%, con circa il 70% che è rimasto sotto il 5% di recupero e meno del 10% che ha registrato un aumento di peso di oltre il 10%. Risultati che suggeriscono come il farmaco sia in grado di supportare un percorso di peso relativamente stabile per un periodo prolungato.

Tre modelli di risposta: peso perso fino al -30%

A conclusioni simili (la maggior parte dei partecipanti ha raggiunto un plateau di perdita di peso nei primi 6-12 mesi, con una forbice di stabilizzazione tra l’81,4% e l’87,6% per chi ci è arrivato nell’arco del triennio, ma ha mantenuto i risultati nel tempo) è arrivato anche lo studio italiano, che pure era maggiormente incentrato nell’esplorazione di come le persone rispondano diversamente al trattamento.

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In questa prospettiva, guardando alla variazione percentuale media del peso corporeo e al tempo impiegato nell’arco dei 3 anni per raggiungere una riduzione di peso del -20%, sono stati identificati all’interno del campione di 700 adulti (64% donne, età media 48 anni) 3 modelli. Nel primo gruppo sono stati inseriti i 248 pazienti che hanno raggiunto precocemente il plateau, con una riduzione di peso costante e un risultato medio finale di una perdita del 10% di peso. Altre 226 persone, quelle del secondo gruppo, hanno avuto riduzioni precoci più rapide e hanno perso circa il 20% del peso, raggiungendo più avanti il plateau. La perdita di peso è stata ancor più rapida, e il raggiungimento del plateau spostato più avanti nel tempo (tra la 36^ e la 48^ settimana), per gli ultimi 226 pazienti del terzo gruppo, che hanno perso fino al 31% del loro peso corporeo.

Le donne rispondono di più al trattamento

Il dato più significativo, relativamente al terzo gruppo dello studio dell’Università di Padova, è che al suo interno è stata riscontrata la più alta percentuale di donne e di soggetti senza complicazioni legate a condizioni mediche dovute all’obesità. Fermo restando che non tutti rispondono ai farmaci allo stesso livello, i fattori determinanti sull’efficacia del trattamento sono dunque risultati il sesso e l’assenza di malattie come il diabete, mentre non hanno giocato nessun ruolo età, indice di massa corporea e durata dell’obesità all’inizio dello studio. L’intero campione sottoposto all’analisi era infatti composto persone inizialmente obese o sovrappeso e prediabetici, a cui è stata somministrata una volta a settimana tirzepatide in dosi da 5, 10 o 15 mg e che abbiano seguito il trattamento per il 75% delle dosi previste. Queste molecole di ultima generazione agiscono imitando 2 degli 8 ormoni che controllano la fame e il peso, secreti naturalmente dall’intestino dopo un pasto, stimolando la produzione di insulina, riducendo l’appetito, rallentando il tempo di svuotamento dello stomaco e agendo sulle aree del cervello che segnalano la sazietà.

Alberto Minazzi

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Tag:  obesità, ricerca