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Nucleare: deposito nazionale, la soluzione definitiva per 350 anni

Nucleare: deposito nazionale, la soluzione definitiva per 350 anni
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Obiettivo 2039 per l’entrata in esercizio della struttura che ospiterà circa 78 mila metri cubi di scorie fino alla perdita della radioattività

Se, nella prospettiva della produzione di energia, la produzione del nucleare, dopo lo stop a quelle attive deciso a fine anni ‘80 dello scorso secolo, è solo un progetto, le sue scorie fanno già parte della nostra realtà quotidiana.
I materiali radioattivi vengono utilizzati per esempio per diagnostica, terapia e ricerca in ambito sanitario, nelle attività delle industrie cartaria, alimentare, automobilistica e aeronautica, nella sperimentazione nella ricerca biomolecolare, nelle radioanalisi ambientali con il carbonio.
Ci vogliono però circa 300 anni perché la radioattività dei rifiuti a molto bassa e bassa attività decada a valori trascurabili. E la durata di vita del centinaio di attuali depositi temporanei, e in fase di smantellamento, a disposizione in Italia, sparsi in 22 siti, arriva ad appena 50 anni.

Oltre che per evitare che l’Unione Europea faccia scattare ulteriori procedure di infrazione oltre a quella già prevista per il nostro Paese, per non lasciare in eredità alle future generazioni anche questo pesante carico è dunque fondamentale avviare l’iter di realizzazione di un deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi.

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Deposito nazionale: come sarà

Grazie alle moderne tecnologie, questo deposito centralizzato, già presente in altri Stati esteri, è stato progettato per essere in grado di ospitare in modo definitivo le scorie nucleari per un periodo di 350 anni. Dopo questo periodo, infatti, la loro radioattività sarà tornata quella naturale.
Secondo le direttive europee, la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi deve avvenire nello Stato membro in cui sono generati. Il sito definitivo non è stato ancora scelto, con al momento una cinquantina di aree potenziali individuate. Ma le caratteristiche sono già state rese note.

Cosa si sa sul futuro deposito nazionale

L’area complessivamente occupata misurerà circa 150 ettari, di cui 110 destinati al deposito vero e proprio e i rimanenti alla ricerca. Potranno così essere sistemati circa 78 mila metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, 50 mila dei quali provenienti dalle ex centrali elettriche e circa 28 mila dalla sanità e dagli impianti di ricerca e dall’industria.
Confluiranno al deposito circa 33 mila metri cubi di rifiuti già prodotti, mentre i restanti 45 mila copriranno i prossimi 50 anni. Inoltre, è previsto un Complesso stoccaggio alta attività da 17 mila metri cubi, in attesa che a livello europeo sia localizzato un deposito geologico profondo comune a diversi Paesi.

Quattro barriere per la sicurezza

L’isolamento dall’ambiente sarà garantito non solo dalle caratteristiche del sito, ma anche attraverso una serie di 4 barriere ingegneristiche. I rifiuti saranno trasportati in appositi contenitori metallici, chiamati “manufatti”, inseriti e cementati in moduli di calcestruzzo speciale da 3x2x1,7 metri.

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A loro volta, i moduli saranno inseriti in celle di cemento armato di 27×12,5×10 metri di dimensioni che, infine, saranno sigillate e rivestite con una collina artificiale in grado di prevenire l’infiltrazione dell’acqua.
Un sistema di drenaggio assicurerà comunque la raccolta di eventuale acqua proveniente dalle celle.

Per le scorie a media e alta attività saranno invece utilizzati contenitori altamente schermanti, capaci di resistere a sollecitazioni estreme, sia meccaniche che termiche, dunque sia a urti che a incendi. La struttura sarà costantemente monitorata, così come l’ambiente circostante.
Sono in ogni caso previsti contributi di natura economica, definiti sulla base di specifiche convinzioni, per i territori su cui sorgerà il deposito. Andranno ad aggiungersi alle ricadute occupazionali: sono previsti oltre 4 mila posti di lavoro l’anno per la costruzione e circa 700 addetti, tra interni ed esterni, in esercizio.

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Tempi e costi

Per la costruzione concreta sono previsti 4 anni di cantiere, anche se l’iter si presenta ancora lungo.
L’elenco delle aree del territorio nazionale ritenute idonee, attualmente ancora a livello di proposta, sarà sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica per aggiornare i documenti e passare alle candidature vere e proprie.
E poi serviranno la Valutazione di Impatto Ambientale e le autorizzazioni di costruzione ed esercizio: l’autorizzazione unica finale non arriverà quindi prima del 2029 e l’impianto potrà essere messo in esercizio al massimo nel 2039.

L’investimento complessivo per la realizzazione sarà di circa 1,5 miliardi di euro, a carico della fiscalità generale dello Stato, così come i costi di esercizio per i rifiuti provenienti dalle installazioni nucleari, mentre sarà prevista una tariffa di conferimento per gli altri rifiuti.
Sul sito ufficiale si calcola comunque che ritardare la costruzione del deposito nazionale rappresenterebbe un costo che, per i soli oneri di esercizio e manutenzione, oscilla tra 1 e 4 milioni di euro l’anno per ciascun sito in cui è presente un deposito.

Il Parco tecnologico

Anche se è in ritardo rispetto ad altri Paesi, a differenza di questi l’Italia ha previsto, insieme a quella del deposito nazionale, la realizzazione di un Parco tecnologico da 40 ettari.
Il centro di ricerca, che sarà inserito nello stesso sito, sarà dedicato ad attività in campo energetico, di gestione dei rifiuti e sviluppo sostenibile.

Nel Parco, aperto a collaborazioni internazionali, verranno svolte cioè ricerche applicate, studi e corsi di formazione in una scuola dedicata e nel laboratorio ambientale sullo smantellamento delle installazioni nucleari, sulla gestione degli scarti radioattivi e su radioprotezione e salvaguardia dell’ambiente.
Gli obiettivi prefissati sono lo stimolo dell’innovazione scientifica e tecnologica dell’industria nazionale e la costituzione di un polo per occupazione qualificata. Le attività di ricerca da svolgere saranno quindi concordate con le comunità, per valorizzare le caratteristiche e le vocazioni del territorio.

Alberto Minazzi

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