È partito da Mestre il progetto “I figli di Eracle” per prevenire con gli sport da combattimento gli atteggiamenti aggressivi e antisociali
Nell’immaginario collettivo vengono chiamati sport “violenti”. «Erroneamente, perché non ci sono un carnefice e una vittima, figure alla base della violenza», ammonisce subito lo psicologo-psicoterapeuta Andrea Vianello. Che immediatamente precisa: «Sono invece sport “di impatto”, in cui due persone allenate e preparate a tal scopo si scontrano per confrontare i loro limiti, con atteggiamento costruttivo».
Così, con una prospettiva esattamente contraria, proprio gli sport di combattimento «possono aiutare a creare modelli di comportamento per prevenire atteggiamenti violenti o antisociali».
È l’idea che sta alla base del progetto “I figli di Eracle”, fondato nel 2015 da due psicoterapeuti (il veneziano Andrea Vianello e il genovese Mario Ganz), in collaborazione con Marco Rigon.
Progetto che ha vissuto il primo appuntamento con l’evento “Donne che lottano: storie di vita e di sport” al teatro del Centro culturale Kolbe di Mestre, realizzato in collaborazione con il Centro antiviolenza di Mestre. «Abbiamo scelto come simbolo – riprende Vianello – Ercole che ha sconfitto il leone in una delle sue fatiche, perché rappresenta l’uomo che affronta con il coraggio le sue paure, senza negarle. Perché non bisogna negare i propri limiti, ma tenerli sempre in considerazione ed affrontarli». L’obiettivo degli organizzatori del progetto (che, dopo il via veneziano, stanno organizzando nuovi eventi a Genova e Milano) è ben preciso: «Ci proponiamo di affrontare i meccanismi psicologici impliciti negli sport di combattimento, trasmettendo anche i valori delle arti marziali. Sacrificio, impegno, costanza, determinazione, così come il dolore, sono temi che si sono interrotti, nelle dinamiche generazionali, e che possono trovare nuove declinazioni negli sport di combattimento, di cui sono caratteristiche proprie». Per raccontare le loro esperienze di sportive e di donne e spiegare il valore che lo sport ha avuto nella loro vita e nella loro esperienza, sono state invitate tre atlete di vertice: Jleana Valentino, campionessa europea di muay thai, Adriana Riccio, campionessa europea di taekwondo, e Imane Kaabour, ex pugile, ideatrice dell’evento “La boxe è femmina”. «Attraverso atlete di alto livello – riprende Vianello – abbiamo approfondito questi temi, per dare un messaggio positivo e di insegnamento, su come lo sport possa essere utile per la formazione interiore, oltre a quella della parte atletica. Con le testimonianze delle ragazze, abbiamo veicolato messaggi formativi per educare anche le nuove generazioni». E, anche se ai più potrà sembrare strano, l’idea di base è proprio che tutto questo passa assai più agevolmente, nei confronti dell’opinione comune, attraverso una corretta definizione di quegli sport che, a chi non li conosce, sembrano contenere al loro interno una matrice violenta. «Negli sport da combattimento – precisa lo psicoterapeuta – vi è una sorta di ritualizzazione dell’aggressività: un aspetto che oggi, purtroppo, dilaga all’interno della società. E, se questo avviene, è dovuto anche al fatto che mancano i contesti in cui esprimerla in maniera conforme ai principi della convivenza civile. Farlo attraverso lo sport, permette tra l’altro di riacquisire nuovamente anche i valori reali delle parole “violenza” e “aggressività”. Con il nostro progetto pilota di psicologia degli sport da combattimento, unico in Italia e non vincolato ad alcuna associazione, la creazione di eventi pubblici serve allora a veicolare, attraverso il confronto con gli atleti, il recupero dei valori, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Perché, nel contesto sociale, oggi più che mai, serve individuare dei modelli positivi. Nel migliore dei casi, infatti, l’attenzione che viene rivolta ai giovani è quella di una semplice protezione, che passa attraverso una sorta di assistenzialismo». Mestre, prima città ad ospitare un progetto di questa natura, si è dunque posta all’avanguardia per proporre una formula che tenga assieme sport e psicologia. E lo ha fatto in un contesto, quello degli sport da combattimento, che, anche al di là delle implicazioni psicologiche e sociologiche, sta acquistando dimensioni sempre più ampie, nel nostro Paese, come conferma l’arrivo in Italia della seconda organizzazione mondiale, che ha promosso un appuntamento a Torino. «Il messaggio che lanciamo – conclude Andrea Vianello – è chiaro: attraverso lo sport e il sacrificio, è possibile costruire il rispetto dell’altro. Vogliamo cioè che si diffonda sempre più una cultura sportiva e psicologica che prevenga il pregiudizio e la violenza di genere».