E’ importante che le vittime chiedano aiuto: esiste una rete di protezione sulla quale poter contare
L’elenco delle donne vittime di violenza in Italia continua tragicamente ad allungarsi.
Quello di Giulia Cecchettin non è già più l’ultimo femminicidio avvenuto in Italia.
Il 20 novembre, ieri, infatti, ad esser uccisa per mano del marito è stata Rita Talamelli, 66 anni, di Fano.
E tante altre, più di quanto dicano le statistiche, sono probabilmente le situazioni potenzialmente a rischio che restano pericolosamente sotto traccia fino all’esplosione finale.
Situazioni spesso non denunciate, che invece devono poter emergere per tempo per non evolvere in molti casi verso il peggio.
Esiste una rete di protezione per le donne. Che tra centri antiviolenza e numero di pubblica utilità 1522 si sta sempre più rinforzando. E qualcosa, anche su questo fronte, sta cambiando.
Centri antiviolenza: il cuore del sistema di protezione
L’evoluzione dai piccoli episodi di violenza a quelli più gravi è un percorso di prevenzione che inizia proprio dalla ricerca di un aiuto da parte della vittima.
In un report sul sistema di prevenzione pubblicato lo scorso agosto, l’Istat evidenzia che, per provare a uscire da situazioni a rischio, il 40% delle donne ha cercato il supporto dei parenti, il 30% alle forze dell’ordine, il 19,3% ai pronto soccorso degli ospedali.
La miglior soluzione spesso è offerta però dai centri antiviolenza, che forniscono supporto a ogni donna che voglia superare qualunque tipo di violenza di genere.
A oggi vi si rivolge mediamente in autonomia 1 donna su 4, il 26,8% dei casi. Il 17,5% ci arriva su consiglio di parenti e amici e il 32,7% viene indirizzato dagli operatori sul territorio, compresi i servizi sociali.
L’Istat sottolinea che si riscontrano marcate differenze tra regione e regione, a conferma di come l’impronta culturale abbia ancora un peso rilevante nel ricorso alle strutture dedicate.
Qualche passo avanti, tuttavia, sembra essere stato intanto compiuto, perché sempre lo stesso rapporto fa notare che l’utenza dei centri è in aumento, così come il numero di quelli attivi sul territorio.
Sono 373, a cui vanno aggiunte 431 case rifugio, dove sono a disposizione rispettivamente 5.416 e 3.219 figure professionali: dalle operatrici alle educatrici, dalle psicologhe alle avvocate, per garantire protezione e un’assistenza a 360 gradi. A rivolgersi ai centri antiviolenza sono state 34.500 donne, di cui il 61,6% (21.252) con figli.
Il numero 1522: un supporto fondamentale
C’è anche un altro punto di riferimento importante per le donne che si sentono in pericolo. Si tratta del numero di pubblica utilità 1522.
Un servizio gratuito attiva h24.
Le chiamate sono state 30.581, nei primi 9 mesi del 2023. Numeri assoluti in decisa crescita, rispetto ai 22.553 casi del 2022.
Che testimoniano anche l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione su questi temi, visto che, nel terzo trimestre, sono aumentate non solo le richieste di aiuto, ma anche quelle di informazioni sulla tipologia di servizio erogato (+24,8%).
Tra chi, attraverso una telefonata o scrivendo in chat, ha presentato una richiesta di aiuto utilizzando questo canale, il 73,5% è stato indirizzato a un servizio territoriale di supporto. Nella stragrande maggioranza dei casi (94,4%) la donna è stata messa in contatto con un centro antiviolenza o con il servizio di protezione più vicino disponibile e maggiormente idoneo alle richieste. Così, nel 2,4% delle situazioni, gli operatori del servizio, che hanno anche il compito di segnalare i casi di urgenza, hanno riferito il caso alle forze dell’ordine.
“Nessuna donna sia lasciata sola”
A gestire il servizio, da luglio 2020, è l’associazione Differenza Donna. “Diffondere il 1522 – commenta la presidente, Elisa Ercoli – significa fare la differenza. Si tratta di una grande risorsa perché nessuna donna sia lasciata sola nel percorso di uscita dalla violenza maschile sulle donne. I centri antiviolenza mettono in atto una relazione profonda con le donne, un’accoglienza, una capacità di ascolto senza stereotipi o pregiudizi di genere, pregiudizi patriarcali, ovvero banalizzare e minimizzare la gravità della violenza o spostare sulla vittima la responsabilità della violenza”.
Oltre a garantire un aiuto fondamentale alle vittime, le chiamate ricevute dal 1522 consentono di far uscire dal sommerso la realtà di violenze, piccole e grandi, riguardo alle quali sono ancora troppo spesso sono le vittime stesse le prime a scegliere di non parlare.
Sono violenze soprattutto fisiche (al centro del 47,6% delle chiamate di aiuto nei primi 9 mesi del 2023), ma anche psicologiche (36,9%).
Preoccupa il fatto che il 64,5% di chi ha chiamato il servizio lo ha fatto dopo averle subite per anni e il 25,5% per mesi.
L’importanza di denunciare
Inoltre, solo 1.311 vittime, il 15,8% di chi ha chiamato il 1522, ha denunciato la violenza subita alle autorità competenti.
E ben il 59,4% non lo ha fatto nemmeno se questi episodi si sono protratti per anni.
Eppure, il 24,8% delle vittime ha paura di morire o per la propria incolumità o per quella dei propri cari. E se sono 2 su 3 quelle che provano ansia, quasi un quarto (il 24,3%) si sente in grave stato di soggezione.
Del resto, in ben il 79,4% di chi ha chiamato ha dichiarato che la violenza si è verificata all’interno della propria casa, rendendo il comportamento ancor più grave quando (è il 25,8% dei casi) tali episodi violenti sono stati subiti anche dai figli, che, in ogni caso, hanno quantomeno assistito alla violenza nel 57,1% dei casi.
Alberto Minazzi