Le previsioni di uno studio demografico sull’impatto della pandemia
Secondo il 70% dei docenti universitari di demografia coinvolti nello studio “L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni” , condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano , in Italia è verosimile che nel 2021 si registri una riduzione sotto le 400 mila nascite.
“La demografia – spiega Alessandro Rosina, il professore ordinario di demografia e statistica sociale coordinatore del gruppo di ricerca che ha realizzato lo studio – è uno degli ambiti più colpiti dalla pandemia, non solo per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità, ma anche per le conseguenze indirette sui progetti di vita delle persone”.
È questa la premessa del primo rapporto del gruppo di esperti presentato dal Dipartimento per le Politiche della famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
“Servirà un clima sociale positivo – prova a individuare la soluzione lo stesso rapporto – che proietti tutto e insieme il Paese in avanti, non solo per superare l’emergenza, ma soprattutto per alimentare una nuova fase di sviluppo in cui possa essere collocata con fiducia la realizzazione del desiderio di avere un figlio”.
La natalità in Italia
Prima ancora di addentrarsi sugli impatti della crisi epidemiologica da COVID-19 sulla natalità e sulle scelte familiari in Italia, il rapporto si sofferma sulle dinamiche demografiche italiane precedenti alla pandemia. “Come ben noto – ricorda Rosina – la situazione del nostro Paese risultava su questo fronte già da molto tempo particolarmente fragile e problematica”.
Dopo un breve periodo di crescita nel primo decennio del nuovo secolo, nel 2019 il numero di figli per donna è tornato a livelli inferiori anche al 2003, quando nacquero in Italia solo 514 mila bambini.
I dati parziali dei primi otto mesi del 2020, quindi al netto della pandemia, parlano di 6.400 nati in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Secondo le previsioni, subiranno un’inevitabile riduzione nel 2021.
“Di particolare rilevanza per le ricadute sulla scelta di avere un figlio – prosegue Rosina – sono anche i dati sull’occupazione, sulle prospettive di stabilità dei percorsi professionali e sulle possibilità di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro”.
Madri e lavoratrici
Nel secondo trimestre 2020, continua l’analisi, il tasso di occupazione femminile risulta sceso al 48,4%, consolidando la distanza rispetto alla media europea ma anche accentuando il divario di genere nel nostro Paese.
“Il tema demografico è strettamente collegato alla dimensione economica, alla prospettiva di realizzazione personale, al tema comunitario e a quello del lavoro, in particolare delle donne – commenta la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, – Questi numeri raccontano però di un Paese che ha il desiderio di ripartire ed è su questo che bisogna insistere e orientare le nostre scelte, avendo il coraggio e la lungimiranza di attivare processi. ”.
Dal lockdown al futuro incerto
Il secondo capitolo dello studio è così dedicato alla presentazione dei risultati della prima indagine effettuata in Europa su come i giovani tra 18 e 34 anni hanno vissuto il lockdown primaverile e su quali conseguenze si attendono sui propri progetti di vita.
I giovani italiani, insieme a quelli spagnoli, sono i più preoccupati, in tal senso, tra i principali 5 Paesi del continente. Oltre il 40% dei maschi e più del 50% delle femmine temono rischi per il proprio lavoro e per il reddito familiare. L’indagine è stata ripetuta anche a ottobre. E si è avuta la conferma del timore in particolare per gli impatti della pandemia che si traducano in una riduzione sensibile delle opportunità di trovare o cambiare lavoro, percepito dal 52% delle donne e dal 44% degli uomini.
I giovani italiani sono quindi i primi in Europa a sentire a rischio i propri progetti di vita: 62% a marzo, contro ad esempio il 42,5% della Germania, che diventa 55% a ottobre.
La scelta di mettere al mondo un figlio
Tutto questo si traduce nella scelta o meno di pensare di concepire un figlio entro l’anno.
A marzo, la percentuale di quelli che erano intenzionati a farlo era del 44,4%, mentre il 29,4% pensava a posticipare il concepimento al 2021 e il 26,3% addirittura rinunciava per ora a una riprogrammazione.
La tendenza non è cambiata a ottobre, anche se con un aumento della percentuale di posticipo (36,6%) rispetto al blocco (21,2%).
Stress, insicurezza e insoddisfazione
Anche la panoramica delle ricerche fatte da marzo in Italia, presentata nel terzo capitolo del rapporto, conferma che l’attesa generale è quella di un impatto complessivamente negativo della pandemia sulla fecondità. Sia per le difficoltà, economiche e di organizzazione quotidiana, derivanti dalle misure di contenimento dell’epidemia, sia per l’accresciuto senso di insicurezza. Che si traduce, ad esempio, in timori per la salute del nascituro: non solo per una possibile trasmissione del virus, ma anche in termini di un’adeguata assistenza durante gravidanza e parto. Senza dimenticare che, a incidere sulla scelta, possono essere anche stress e insoddisfazione, che in alcuni casi arrivano a tradursi addirittura in casi di violenza all’interno della coppia.
La situazione di Venezia
La situazione veneziana conferma quella generale.
Negli ospedali della Ulss 3 Serenissima (Angelo, Civile, Dolo, Mirano e Chioggia) il totale di nati tra gennaio e novembre è stato di 3.719 bambini.
73 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Un dato comunque disomogeneo, con un aumento di 50 nati a Mestre e 16 a Chioggia, con il calo di Venezia (-32) e soprattutto Dolo (-270), che però è Covid-Hospital, per cui il calo è in parte compensato dal trasferimento delle future mamme a Mirano (che non a caso sale di 163 unità).
“Bonetti: occorre un cambio di visione”
“Nell’esperienza sociale del nostro Paese – ricorda la ministra Bonetti – le donne sono state poste davanti alla decisione se essere madri o lavoratrici, creando un’antitesi assolutamente inadeguata, perché l’effetto è stato avere poche donne che lavorano e un basso tasso di natalità. Adesso occorre un cambio di visione”.
Tra le soluzioni individuate dalla Ministra, inserite anche nel Piano della Next Generatio Eu, ci sono la decontribuzione del lavoro femminile, la decontribuzione del lavoro domestico e il sostegno alle spese delle famiglie per il lavoro domestico.
“Accanto a questo – conclude – occorre facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne dopo la maternità, rendendo agevole la sostituzione di maternità per le imprese, dare alle donne strumenti di carattere economico e creare le condizioni di comunità, che permettano alle donne di vivere un’esperienza lavorativa.Non solo asili nido quindi – conclude -ma anche tutti quei servizi comunitari che sono accanto e al servizio delle famiglie nella cura e nell’educazione dei figli.
I giovani
Oltre ai limiti della conciliazione tra vita e lavoro, soprattutto sul lato femminile, Alessandro Rosina individua tra le cause di diminuzione della natalità anche “l’alta incidenza della povertà per le famiglie con figli, soprattutto oltre il secondo, e i fragili percorsi formativi e professionali dei giovani in Italia, soprattutto se provenienti da famiglie con medio-basso status sociale”.