Si diffonde sempre più in Italia il fenomeno dell’“adozione” da parte delle comunità di cittadini dei cani randagi, che restano in libertà
Secondo le ultime stime, nel nostro Paese il randagismo è ancora un problema vivo, tanto che risultano essere tra 5 e 700 mila i cani che vagano abbandonati nelle campagne e nelle città.
Da qualche anno, però, molti hanno cambiato approccio nei confronti degli animali senza un padrone e anche per i vagabondi c’è una nuova speranza.
Nel rispetto della loro libertà, in molte occasioni questi randagi diventano infatti “cani di quartiere”.
Mantenendo cioè il loro stile di vita indipendente, ma ricevendo al tempo stesso cure e attenzioni da parte delle piccole comunità locali di cittadini, con una sorta di “adozione a distanza”.
La storia di Henry
Il “cane di quartiere” probabilmente più famoso è stato Henry, un meticcio di pastore maremmano di Bari, che era stato adottato in pratica da tutto il capoluogo pugliese.
Pur non avendo una sua casa, riusciva infatti a richiamare l’attenzione di tutti coloro che lo incontravano, raccogliendo coccole, giocando con i bambini e non solo.
Già due anni fa, infatti, era stato lanciato un allarme: a 9 anni, Henry, per il troppo cibo ricevuto, era arrivato a pesare 75 kg, diventando in sostanza obeso.
Il gigantesco e buonissimo cane bianco barese era seguito da una veterinaria. E l’affetto nei suoi confronti si era concretamente manifestato con la raccolta di quasi 1.000 euro per la sterilizzazione e la registrazione con microchip all’Asl.
A Heny erano stato anche dedicato un gruppo Facebook, sul quale ogni giorno erano in molti a caricare e condividere foto e video ripresi in compagnia del cane, e perfino un murales.
Sulla facciata di una casa popolare, il pastore maremmano è stato disegnato a bordo di una barca, in compagnia di un pescatore.
Da qualche mese, esattamente dal 10 luglio 2022, Henry purtroppo non c’è più. “Stasera Henry mentre tornava a casa ha avuto un malore ed ha deciso di addormentarsi per sempre…”, ha scritto in quell’occasione sulla pagina dedicata al cane Katya Colagiacono, che se ne era assunta la responsabilità, arrivando a fargli riconoscere lo “status” di cane di quartiere.
Cani di quartiere: la normativa
Dopo anni in cui del fenomeno del randagismo si sono occupate principalmente le Asl e le campagne di sensibilizzazione, dopo la legge quadro del 1991 che ha indicato i principi fondamentali sulla prevenzione del randagismo (poi declinati in maniera diversa a seconda dei vari regolamenti regionali), dal 2001 la figura del cane di quartiere è stata ufficialmente riconosciuta da una circolare del Ministero della Sanità.
Per ottenere il riconoscimento della qualifica, c’è un iter standard da seguire. Si parte dalla dichiarazione di un canile sanitario che attesta che il cane sia clinicamente sano. L’animale va quindi vaccinato e sterilizzato sempre nella stessa struttura di riferimento e poi iscritto all’anagrafe canina, applicando anche il microchip contenente anche le indicazioni sulla persona responsabile del cane. Le spese, in ogni caso, sono a carico del servizio sanitario.
I componenti della comunità di riferimento del cane, rappresentati dal volontario responsabile, si impegneranno a questo punto ad assicurare sempre all’animale cibo, acqua e riparo quando le condizioni atmosferiche sono più disagevoli, permettendogli di mantenersi in salute. È consigliabile dotare l’animale di un collare (un’iniziativa di questo genere è stata presa ad esempio a Trapani, addirittura a livello comunale, già nel 2016) per distinguerlo dai randagi.
I requisiti del cane di quartiere
Pur restando a tutti gli effetti un cane libero, e quindi potenzialmente un randagio, chi trova un cane di quartiere non deve infatti riportarlo in un canile.
L’assunzione di responsabilità da parte del volontario, infatti, serve a far sì che l’animale possa continuare a vivere in libertà, perché in tal modo è garantita sia la salute del cane, che la sicurezza della popolazione.
Per ottenere lo status, l’animale deve infatti presentare alcuni requisiti. Non deve cioè essere un cane aggressivo, non deve aver subito segnalazioni come autore di molestie, non deve appartenere a razze ritenute potenzialmente pericolose. Inoltre, deve essere compatibile con il quartiere in cui è inserito, essendo in grado di muoversi nel contesto ambientale senza creare particolari disagi, per esempio essendo in grado di attraversare la strada senza ostacolare la circolazione.
Il riconoscimento dei cani di quartiere, spiegano gli esperti, non va visto come una soluzione generale al problema del randagismo, che fino al 1991 in Italia era gestito con la soppressione degli animali, ma come una buona pratica per alcuni casi particolari.
Il fenomeno del randagismo
Tutto questo vale non solo per gli animali, ma anche per un ragionamento di tipo economico: si stima che ogni cane ospitato in un canile costa alla collettività circa 7 mila euro l’anno. In Italia, il fenomeno riguarda in particolare le regioni meridionali. E proprio a Palermo, lo scorso maggio, si sono tenuti gli “Stati generali del randagismo”.
In occasione dei lavori è emerso che il randagismo costa 80-100 milioni di euro all’anno.
In occasione della Giornata mondiale del Cane (che cade il 26 agosto, mentre quella specifica del cane randagio è il 27 luglio) si è ricordato che l’Oms parla di circa 200 milioni di cani randagi sui circa 900 milioni totali presenti in tutto il mondo. In Italia, i dati del 2020 diffusi dal Ministero della Salute hanno invece registrato 76.192 ingressi in canili sanitari, 42.665 in canili rifugio e 42.360 adozioni di cani randagi.
Cani di quartiere e vaganti nel rapporto di Legambiente
Del fenomeno si è occupato anche l’XI rapporto nazionale “Animali in città”, pubblicato nei giorni scorsi da Legambiente.
Riguardo ai cani di quartiere, o “cani liberi controllati”, l’associazione ambientalista sottolinea che “tali esperienze sono presenti in 1 Comune su 11”, ovvero nell’8,4% dei casi.
Secondo le Aziende sanitarie sono presenti nel 26% dei territori.
Sono 11 le Aziende che dichiarano di conoscere i numeri dei cani reimmessi (31.810) e 5 Aziende il numero dei cittadini incaricati, pari a 268.
“In generale – prosegue il rapporto – i Comuni che hanno dichiarato di avere cani liberi controllati sono nel 42,5% dei casi al Sud e Isole (Pugia, Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia), nell’8% al Centro (Lazio, Umbria, Toscana) e in 49,42% dei casi al Nord Italia (Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Veneto)”.
Sono stati dichiarati complessivamente 1.475 cani liberi controllati, con 358 cittadini specificamente impegnati.
Al primo posto Nardò (LE) con 193 cani, San Pietro Apostolo (CZ) con 122 cani, Oristano con 120 cani, Doberdò del Lago (GO) con 100 cani, Neviano (LE) con 64 cani, Nurachi (OR) con 62 cani, Roasio (VC) con 52 cani.
Riguardo infine ai cani vaganti, tra padronali e randagi, il rapporto sottolinea che, in media, nel 2021 ogni 10 cani catturati 9 hanno trovato felice soluzione tanto nei comuni quanto nelle Aziende sanitarie, tra restituiti ai proprietari, dati in adozione e/o reimmessi come cani liberi controllati.
Alberto Minazzi