Irene Scarpa: “Il segreto? Mai mollare”
Realizzare un prodotto che consenta di degradare la patina biologica e tutte le impurità che intaccano la pietra dei monumenti, senza tuttavia danneggiarli. Il sogno di Irene Scarpa, una ventinovenne di Marghera che, nel suo percorso da studentessa cafoscarina a inventrice e successivamente imprenditrice, ha dimostrato di avere idee chiare e tanta determinazione, adesso è realtà e ha consentito di rivoluzionare la strategia di conservazione dei beni artistici.
Statue, facciate in pietra, monumenti esposti alle intemperie sono infatti terreno fertile per i microorganismi responsabili del proliferare di licheni e della caratteristica patina biologica, nera o verdastra, che spesso li ricopre. Prima della scoperta di Irene Scarpa, venivano utilizzati per pulire il prezioso patrimonio artistico italiano prodotti chimici tossici o prodotti enzimatici costosi e laboriosi da applicare. Ispirata da una lezione sull’efficacia della biopulitura della pietra, ma constatata la scarsa applicabilità della tecnica sul patrimonio artistico, Irene ha dunque deciso di canalizzare i propri studi e la propria energia sulla ricerca in questo specifico ambito.
«La tecnica precedentemente utilizzata era efficace ma allo stesso tempo molto limitata. Perché funzionasse dovevano esser mantenuti costanti due parametri importanti: pH e temperatura. Una necessità spesso difficile da soddisfare, soprattutto in cantiere. Visti però i vantaggi che offrivano gli enzimi, ho deciso di provare a migliorare questa tecnica».
La soluzione è stata trovata dunque nella sinergia tra sistemi biologici e nanoparticelle inorganiche, portando allo sviluppo di un prodotto che è stato brevettato e ha dato vita a uno spin-off universitario e che, poiché utilizzabile anche su altre superfici, come ad esempio la tela dei quadri, ha suscitato l’interesse di molti addetti ai lavori, restauratori, soprintendenze e collezionisti privati.
Irene ha scelto di laurearsi in Scienze chimiche per la conservazione e il restauro anche perché, appassionata d’arte da sempre, era intenzionata a studiare le problematiche legate ai beni culturali da un punto di vista scientifico. La sua ricerca è durata quattro anni. Iniziata durante la stesura della tesi magistrale, è proseguita per altri tre anni, sempre presso i laboratori del Campus Scientifico di Ca’ Foscari, con il supporto di tre professori.
I risultati di questa ricerca sono diventati il core business di un’innovativa azienda, la Nasiertech (www.nasiertech.com), di cui è Irene è amministratrice. Il Nasier gel (questo il nome scelto per il prodotto) è il risultato di uno studio tra bio e nanotecnologie e dell’unione di queste col mondo del restauro, in una sorta di “dialogo” tra due mondi: quello della ricerca accademica e quello dell’impresa.
Irene, in base alla tua esperienza, come si potrebbe migliorare il dialogo tra il mondo accademico e quello dell’impresa?
«Cercando per esempio di invitare imprenditori che hanno utilizzato una particolare molecola o tecnologia per impostare il loro progetto di impresa, perché secondo me quello che manca a noi studenti è l’applicabilità nel mondo reale di quello che si studia. Proporrei, per esempio, lezioni in cui si prova a pensare a come utilizzare ciò che si è studiato per risolvere problemi reali».
Ora che stai rivestendo il nuovo ruolo di amministratrice di un’azienda, ti senti più vicina al mondo imprenditoriale o a quello della ricerca?
«Cerco di essere per prima cosa un’imprenditrice, che però non dimentica mai la potenzialità della ricerca, perché grazie a quest’ultima possiamo sempre migliorare i prodotti e capire se le idee possono essere concretizzate o no».
A livello professionale la Nasiertech vanta importanti collaborazioni, come quella con i Musei Vaticani, l’Opificio delle pietre dure di Firenze, la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, e varie imprese operanti nel settore edilizio.
È cambiata ora la tua vita o la tua visione del futuro? Quali sono ora i tuoi progetti? Come e dove ti immagini fra dieci anni?
«Da quando ho deciso di aprire l’azienda, la mia vita è cambiata e con essa anche il mio futuro. Adesso stiamo lavorando per individuare altre applicazioni di questa tecnologia, grazie ad altre collaborazioni con aziende interessate. Il progetto è quindi quello di vedere Nasier gel applicato in moltissimi settori, anche diversi tra di loro. Tra dieci anni mi vedo ancora amministratrice di Nasiertech, con moltissime collaborazioni e ancora tanti progetti da pensare e studiare».
In questo periodo in cui si parla molto di cervelli in fuga, ritieni che ci siano in Italia sufficienti spazi e opportunità che consentano ai giovani di sviluppare le proprie potenzialità e realizzare le proprie ambizioni?
«In Italia si fa molta fatica. L’Università stessa aiuta e stimola i propri studenti, ma spesso non possiede i soldi per sostenere la ricerca e lo scale up del prodotto».
In che modo l’ambiente universitario potrebbe migliorare tutto ciò?
«L’Università ti forma e ti aiuta ad ottenere le basi per sperimentare la tua idea. Non ha tuttavia i mezzi sufficienti per aiutarti a pensare come una azienda ed è proprio in quel momento che viene fuori, secondo me, la bravura e la capacità di chi davvero vuole trasformare la sua idea in un progetto di impresa».
Quale messaggio potresti lasciare a questi giovani?
«Non bisogna mollare e bisogna sempre essere convinti di quello che si sta portando avanti, anche e soprattutto nei momenti difficili».
Manca ancora qualcosa alla tua formazione?
«Sono dell’idea che non si smette mai di imparare e non si deve mai pensare di essere perfettamente formati: sicuramente, dal punto di vista imprenditoriale, ho ancora molto da imparare».
Irene Scarpa, 29 anni, è una giovane ricercatrice con idee chiare e tanta determinazione.
Nata a Haidelberg, in Germania, da genitori veneziani, è tornata a vivere in città, a Marghera, da quando aveva quattro anni e si sente “venezianissima”. Nel 2013, ha conseguito a Ca’ Foscari la laurea magistrale in Scienze chimiche per la conservazione e il restauro con una tesi sulla rimozione di patine biologiche da superfici lapidee, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma.
A livello personale, Irene ha già ricevuto molteplici riconoscimenti. Nel 2014 il premio Franci@Innovazione dell’incubatore francese Theogone, finalizzato a favorire lo sviluppo di partenariati tecnologici tra giovani innovatori italiani ed i protagonisti dell’innovazione in Francia. Nel 2015 si è classificata quarta al premio Start Cup Veneto e ha vinto il primo premio come “Esperto scientifico” durante il convegno “I Giovani e il Restauro” a Roma. Nel 2016 ha infine ricevuto il Premio “Ca’ Foscari Alumnus dell’Anno” per i suoi successi professionali. (T.S.)