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Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue

Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue
Il Fontego dei Turchi affacciato sul Canal Grande, sede del museo di Storia Naturale di Venezia

Il 26 settembre la cerimonia. Intervista a Inti Ligabue, figlio di Giancarlo

 

Venezia rende omaggio a Giancarlo Ligabue.
Lo fa intitolandogli il Museo di Storia Naturale che per tanti anni ha presieduto e al quale ha donato molti suoi preziosi reperti, tra i quali lo scheletro di un dinosauro, l’Ouranosaurus nigeriensis, che è considerato “uno dei più interessanti reperti al mondo di questo tipo”.

Scheletro di Ouranosaurus nigeriensis

Nella sala già a lui dedicata c’è anche lo scheletro del più grande coccodrillo della storia, il Sarcosuchus imperator,  scoperto durante uno delle 130 spedizioni nei cinque continenti del famoso paleontologo veneziano mancato nel 2015.

Sala paleontologica con scheletro di Ouranosaurus nigeriensis

Giancarlo Ligabue, illustre cittadino di Venezia e del mondo

Una vita di avventure e di scoperte la sua. Studioso di fama internazionale, ha collezionato lauree honoris causa e collaborazioni con le più importanti università del mondo.
E’ grazie a lui che sappiamo di alcuni giacimenti fossili di ominidi, di dinosauri, prima del 1973, quando è tornato dal Niger, sconosciuti, di nuove teorie sulla loro scomparsa.
E’ suo anche un testo dagli esperti ritenuto fondamentale per la storia della navigazione, “Il pane e la chiglia”, che da buon veneziano non poteva trascurare.
«Nella sua vita – ha rilevato il sindaco Luigi Brugnaro – Ligabue ha ricevuto importanti riconoscimenti, onorificenze e titoli, ma credo che dare il suo nome al Museo di Storia Naturale di Venezia, che per trent’anni ha presieduto e al quale ha donato circa duemila tra fossili, reperti etnografici e resti sia il massimo tributo che la città possa riconoscere a un suo così illustre concittadino. Con la sua generosità –ha concluso- Giancarlo Ligabue ha dimostrato di amare veramente Venezia».

Giancarlo Ligabue

Il Museo Giancarlo Ligabue

Il Museo di Storia Naturale porta quindi ora il suo nome.
«Questa è una delle cose che in questo periodo mi sta dando più emozione, più gioia.  Ne sono orgoglioso come cittadino, mi auguro che sia un bell’esempio per i veneziani che vedono un loro concittadino insignito di questo grande onore. Come figlio è qualcosa che va oltre – commenta sorridendo e allargando le braccia Inti Ligabue –  E’ il mio sogno dal giorno dopo che papà è mancato, è un modo di ricordarlo, omaggiarlo per la sua passione. Sono già emozionato al pensiero di quando porterò mia figlia Diletta a conoscere il nonno nel Museo che gli verrà intitolato».

Inti Ligabue, figlio di Giancarlo e Presidente AD della Ligabue Spa

La notizia arriva per lui nell’anno del centenario dell’azienda di famiglia fondata dal nonno Anacleto nel 1919. Una dinastia imprenditoriale nel catering, la loro, che è passata sotto la direzione anche dello stesso Giancarlo, paleontologo e imprenditore al tempo stesso. Se sui suoi studi c’è molta letteratura, poco invece si sa di quanto ha saputo fare dal punto di vista imprenditoriale.

  • Quando è entrato in azienda Giancarlo Ligabue?

Nel 1971, l’anno prima di una delle sue spedizioni più importanti.  Papà ha reso internazionale l’azienda, l’ha diversificata sia geograficamente che a livello di attività. I servizi aeroportuali si sono estesi in tanti aeroporti italiani con la gestione di bar, ristoranti, negozi, duty free shop. Nel 1974, a Trieste, ha inaugurato il più grande magazzino frigorifero del mondo per forniture navali. Nel 1975 la rivista  “Fortune” gli ha dedicato per questo la copertina. Negli anni ’80, poi, ha aperto gli studi alla gastropsicologia: riteneva che i colori cibo siano importantissimi, perché “si mangia con gli occhi”… Nel 1985 ha rifornito la prima stazione italiana appena aperta in Antartide (ora base Mario Zucchelli) che riforniamo ancora oggi. Negli anni ’80 i campi petroliferi in Iran ».

La rivista “Fortune”dedica a Giancarlo Ligabue e alla sua azienda la copertina del numero del dicembre 1975.
  • Poi c’è la parte che tutti conoscono. Le esplorazioni, le scoperte…

Quella è la parte più divertente della storia e quella che amava di più.
Nel guardare le sue foto ho scoperto una cosa di mio papà. A differenza di altri, che avevano un atteggiamento “coloniale”, lui abbracciava sempre tutti: i locali, gli indigeni, teneva per mano un pigmeo. Perfino… il dinosauro, quello trovato nel Niger sahariano.  Di recente ho trovato anche la custodia di un coltellino, che racchiude una storia.

  • Ce la racconta?

Papà portava sempre con sé un coltellino svizzero. Nel 1993 fu fatto prigioniero dai guerriglieri in Colombia. Ne parlarono tutti i giornali, perché era assieme a dei giornalisti. Con un elicottero stavano sorvolando la foresta alla ricerca di una popolazione, i Chocò.  Individuarono un villaggio dove atterrarono. Videro uscire dalle capanne degli uomini in mimetica. Erano guerilleros. Li fecero entrare in una capanna e li sottoposero a una giornata di interrogatori. Mio padre continuava a ribadire che era un antropologo e che era lì solo per degli studi, ma non riusciva a convincerli.  A quel punto disse “Sentite, credo sia ora di andare, perché dall’altra parte del mondo anch’io ho la mia guerra a Venezia, con mia moglie, che è boliviana, quindi potrete ben capire”. Una battuta e il guerrigliero gli sorrise e inaspettatamente rispose: “Forse è meglio che andiate”. Papà  si alzò e gli porse in dono il suo coltellino svizzero. Lo tirò fuori dalla custodia dove avevo scritto “Torna a casa papà, 1993” e aggiunse “Sa, devo tornare a casa da mio figlio che mi aspetta”. Questo gli dette una pacca sulla spalla e li lasciò andare via. Ma l’elicotterista non voleva ripartire. Era terrorizzato perché diceva che non avevano mai rilasciato nessuno: “Questi ci tirano giù con il bazooka appena ci alziamo con l’elicottero!” Con lui c’erano Victor Santander, un ex-militare peruviano che seguiva tutta la parte operativa, Viviano Dominici del Corriere della Sera, Sergio Manzoni inviato Rai con il suo cameraman e un altro antropologo. Questo Santander, quasi minacciando di ucciderlo, dice all’elicotterista: “Tu parti, voli raso foresta e schizzi via”. E così fu. Arrivarono salvi a Bogotà.

  • Una storia lunghissima quella di Giancarlo…

Si. E per certi aspetti controversa. Fu premiato dall’Unesco, gli conferirono cinque lauree Honoris causa ma una parte di mondo accademico non lo ha mai trovato adeguato, mentre un’ altra lo ha invece considerato un perfetto raccordo tra il mondo accademico e l’imprenditoria del fare. Fu anche eletto al Parlamento Europeo dal 1994 al 1999. Ci sono stati anche episodi drammatici nella vita di papà, come quello dell’incendio a Livorno della nave Moby Prince, nel 1991. Morirono sei nostri collaboratori. Un fatto che lo provò molto.

  • Ora invece sarebbe felice: l’intitolazione del Museo di Storia Naturale, il centenario della vostra azienda…

Il centenario rappresenta per noi un importante momento di riflessione in cui capire cosa siamo e cosa vogliamo essere. Mio padre diceva che questa è un’azienda molto complessa, che quando una farfalla sbatte le ali in Medio Oriente qua c’è un terremoto. Quindi, per affrontare questa tipologia di riflessi, dobbiamo essere velocissimi. Al di là di questo, per il centenario abbiamo molte iniziative in cantiere, tra cui alcune mostre che La Fondazione ha inserito nel suo intenso programma per il prossimo triennio

  • Ci anticipa qualcosa?

Una mostra sarà sull’arte tribale che lui ha sempre molto amato, una sull Oceania. Mio padre era anche un amante delle caricature e faremo dunque una mostra sul Segno, sulle caricature antiche che sono l’estro del genio, l’ironia del pittore a partire dal Cinquecento. La terza mostra sarà davvero una sorpresa. Tutte saranno per la città, a ingresso gratuito.

  • Cosa le manca di più di suo papà?

(Sospira) Sa, non è una domanda facile. La sua presenza in generale, il poter fare una bella chiacchierata. Mi manca molto la sua approvazione su quanto ho fatto fino ad oggi. Potergli chiedere: cosa ne pensi di tutto questo? Il suo punto di vista su alcuni aspetti, non attuali, ma senza tempo, sull’arte, sulla vita. Anche se alcune cose mi sono rimaste. Alcuni suoi esempi, alcune sue frasi. Ma oggi, sì, fare una bella passeggiata in una mostra organizzata tra noi e chiedergli: cosa ne pensi papà? Forse è questo ciò che mi manca di più.

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