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A MURANO C’ERA UNA STREGA …

A MURANO C’ERA UNA STREGA …

La storia vera di suor Maria Giacomina, unica processata a Venezia per negromanzia, rivive nel racconto di Lara Pavanetto


Allora il morente emette un sospiro così profondo che si può credere sia l’ultimo. Ma non è così. Al vescovo Diedo rimane ancora del fiato per pronunciare le sue ultime parole: «No! Non lo farò mai! Non voglio portare questo peccato davanti al tribunale di Dio! Se mi fosse lecito, vorrei bruciare io stesso quella strega sulla porta del mio palazzo!»”.
Già dall’animata apertura delle prime pagine, nelle quali si assiste al trapasso dell’anziano vescovo di Torcello e alla distruzione di alcuni documenti riguardanti una suora del convento di Santa Chiara a Murano, sospettata di compiere pratiche oscure, il racconto “La strega di Murano” rivela alcuni dei tratti fondamentali della sua narrazione: la drammaticità degli episodi descritti, l’ambientazione ecclesiastica in cui essi si sviluppano e, soprattutto, la spessa coltre di mistero che avviluppa l’intera vicenda, come un manto oscuro di silenzio e inganno che viene teso e allungato paragrafo dopo paragrafo, capitolo dopo capitolo, nel tentativo di farlo aderire alle forme che nasconde rivelando sempre maggiori dettagli sulla natura dei segreti sottostanti.
A determinare l’andamento del racconto sono le figure dei due personaggi principali. La prima è quella di Padre Angelo Calogerà, un erudito sacerdote, non estraneo all’apertura intellettuale di quel periodo illuminista e figura di spicco del giornalismo veneziano dell’epoca, che, ricevuta in maniera inattesa la confessione disperata di alcune sorelle del convento muranese di Santa Chiara, ebbe la tenacia e il coraggio di intraprendere una vera e propria missione investigativa, volta a smascherare la radice delle attività oscure e degli inquietanti incontri notturni di una suora indagata per stregoneria, evidentemente protetta da importanti interpreti del potere interno ed esterno alla Chiesa.
La seconda, naturalmente, è quella di suor Maria Giacomina, la strega in questione. Un caso più unico che raro, dal momento che, unica processata in territorio veneziano per accuse di attività propriamente negromantiche, il suo caso emerge a metà del Settecento, in ritardo di almeno un secolo e mezzo rispetto al momento di maggior frenesia dei Tribunali degli Inquisitori. Una presenza assolutamente centrale, pur costantemente nell’ombra, non comparendo mai effettivamente nella narrazione con le proprie azioni, ma essendo il fulcro delle delazioni delle consorelle e delle note personali del prete durante la sua lunga indagine.
Una coppia antitetica che scandisce il ritmo di una storia abilmente resa dalla Pavanetto attraverso il connubio di due piani del racconto differenti: uno rimandante agli eventi colti nel loro effettivo divenire, elaborato dall’autrice in un italiano corrente, diretto ma non privo di pregevolezze stilistiche, e uno che riporta quella documentazione originale, tratta dall’Archivio di Stato, risalente, nel contenuto come nella forma lessicale e sintattica, al XVIII secolo.
Un racconto complesso e ricco di significati che si inserisce nella raccolta “Streghe o vittime?” (Franco Filippi, 2015) e che ben rappresenta l’attività insieme letteraria e storiografica dell’autrice, Lara Pavanetto. Nata a Camposampiero e residente a Noale, laureata in Lettere e filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha da sempre nutrito un particolare interesse per l’amministrazione della giustizia penale della Serenissima e, nello specifico, per tutti quei casi che hanno coinvolto direttamente donne e bambini, categorie di persone che più a lungo nel tempo sono state esposte a soprusi, spesso non compiutamente riconosciuti dalle istituzioni.
Campo d’indagine ben definito, dunque, entro il quale l’autrice ha tracciato negli anni due percorsi differenti e complementari: quello delle pubblicazioni di carattere scientifico e quello, per l’appunto, di manifestazioni letterarie strettamente connesse alla ricerca documentale. «La mia curiosità nei confronti dei processi penali riguardanti le fasce di popolazione meno tutelate è iniziata proprio nel periodo universitario e muove soprattutto dalla stima che nutro verso l’opera di due grandi studiosi. Dallo storico Claudio Povolo ho assunto un modello di analisi storiografica che non trascura (come tra i docenti italiani è frequente fare) ma, anzi, valorizza le istanze dell’antropologia culturale; dall’antropologa Ida Magli ho appreso, tra gli innumerevoli contributi che ha offerto lungo la sua brillante carriera, una descrizione della civiltà occidentale che vede nel maschilismo una delle sue caratteristiche di base. Entrare in contatto approfondito con la storia di donne e bambini offre quindi la possibilità di sviscerare quel contraltare negletto che tanto può far luce sulla catena di eventi e sulla mentalità degli individui, appartenenti ad un determinato periodo storico, nel loro complesso».
Per quanto riguarda l’aspetto pratico della raccolta delle fonti relative a “La strega di Murano”, il luogo chiave è stato l’Archivio di Stato di Venezia. « È lì che ho trovato tutta la documentazione su cui la narrazione si fonda: una serie di lettere private e atti registrati risalenti alla metà del XVIII secolo che riporto fedelmente a più riprese nel racconto e che costituisce il vero motore di un testo letterario in cui nulla è stato da me inventato».
Il risultato di questo procedimento è un’opera d’alto profilo, incentrata su una trama che intriga e appassiona il lettore, svolta secondo modalità espositive del tutto particolari. Un continuo alternarsi di linguaggi e prospettive che catapulta il lettore in una stimolante e suggestiva realtà ibrida, capace di unire le caratteristiche del canonico punto di vista in terza persona a quelle soggettive del romanzo epistolare. «Alle pubblicazioni scientifiche in senso stretto mi piace accompagnare anche una produzione letteraria di questo tipo. “La strega di Murano”, così come la raccolta “Streghe o vittime?” nel suo complesso, punta ad unire ricerca storiografica e dinamica narrativa: penso sia una valida strada per esporre fenomeni e riflessioni di interesse storico in maniera accattivante, facendo sì che lo scritto possa arrivare ad una platea più vasta di quella costituita esclusivamente da docenti e studiosi».


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