La Nuova Zelanda, prima al mondo, annuncia l’introduzione di un’imposta sulle emissioni di metano intestinale dei ruminanti.
Le misure al vaglio in Europa
Con le loro emissioni di gas, attraverso flatulenze e rutti, i ruminanti da pascolo come mucche e pecore sono una delle principali fonti di inquinamento da metano dell’intero pianeta. Tant’è che, nel 2020, il New York Times evidenziò come solo 5 Stati inquinavano più dei bovini e un’azienda svizzera li ha posizionati al terzo posto dopo Cina e Stati Uniti.
No, non è una barzelletta, ma un problema serio. Tant’è che il Governo della Nuova Zelanda, per primo al mondo, ha annunciato l’introduzione dal 2025 di un’imposta per spingere gli allevatori a cambiare la dieta degli animali, contenendo la quantità di gas intestinali immesse in atmosfera e impattando così meno sul clima.
Nuova Zelanda: un mondo di mucche e pecore
Per capire come, nel Paese giusto agli antipodi dell’Italia, la questione abbia una notevole rilevanza, e la misura inserita nell’Emission Reduction Plan sia quantomai necessaria nella prospettiva di raggiungere entro il 2050 l’impatto zero per le emissioni di inquinanti, basta leggere i numeri.
Gli abitanti dell’intera Nuova Zelanda sono infatti poco più di 5 milioni, all’incirca quanti ne ha il solo Veneto. Il numero di bovini e ovini presenti sulle isole neozelandesi è invece molto più elevato: circa 10 milioni di mucche e 26 milioni di pecore.
Va quindi considerato che si stima che una sola mucca emetta tra i 300 e i 500 litri di metano al giorno: quelli, per fare un esempio, consumati nelle stesse 24 ore da un frigorifero da 100 litri di capienza tenuto tra i 2 e i 6 gradi.
Ecco perché si calcola che l’impatto dei ruminanti della Nuova Zelanda sia pari all’85% delle emissioni totali di metano del Paese.
Dato che si aggiunge alla statistica secondo cui la metà delle emissioni inquinanti neozelandesi è riconducibile alle attività agricole.
Ruminanti (e gas) d’Europa e d’Italia
Il problema del metano animale, sia pure in misura differente, riguarda però tutto il mondo. La Fao imputa ad esempio al bestiame il 10% di immissioni di gas serra in atmosfera.
Mentre Greenpeace quantifica al 17% l’impatto degli allevamenti sull’inquinamento atmosferico in Europa. E le emissioni di CO2 degli allevamenti europei, secondo le Nazioni Unite, con 704 milioni di tonnellate superano quelle dei veicoli.
Nel 2015, la Commissione Europea aveva così proposto un piano di intervento, che peraltro fu bocciato e non ebbe seguito per le molte polemiche scatenate.
L’ipotesi di lavoro al vaglio è adesso quella della previsione di sussidi per gli allevatori che riducono le emissioni animali.
Nel più recente rapporto Eurostat, al 31 dicembre 2021 i bovini presenti in Europa sono circa 76 milioni e gli ovini 60 milioni.
In Italia, a fronte di poco meno di 59 milioni di abitanti, le mucche censite sono 6.280.280 e le pecore 6.728.350.
Al primo posto ci sono rispettivamente la Francia (17.330.080 bovini) e la Spagna (15.081.350 ovini). E uno studio dell’Università “Federico II” di Napoli ha calcolato che i bovini allevati in Italia nel 2018 (che erano 5.923.204) hanno emesso 446.583 tonnellate di metano, mentre i 7.179.158 ovini 57.724 tonnellate.
Il metano dei ruminanti: motivi e soluzioni
Il metano è il secondo gas-serra più diffuso dopo l’anidride carbonica, ma ha un impatto sul riscaldamento globale circa 28 volte più elevato della CO2.
L’apparato digerente dei ruminanti lo produce all’interno del primo dei 4 stomaci di questi animali, dove i microbi, attraverso la fermentazione enterica, abbattono la cellulosa fibrosa delle piante che non può essere digerita da mucche e pecore, rilasciando gas, poi espulso tramite rutti e flatulenze.
Le possibili soluzioni su cui si sta lavorando per ovviare a tutto ciò sono diverse. Si va dall’introduzione di un’alga, l’asparagopsis, nella dieta degli animali, agli additivi, chimici o naturali: ad esempio a base di aglio e agrumi, chiodi di garofano e semi di coriandolo o semi di lino pressato e colza macinata. Gli scienziati stanno anche valutando possibili modifiche genetiche per aumentare l’efficienza digestiva dei ruminanti.
Alberto Minazzi