Apri. Chiudi.
Le direttive cambiano. Anche all’ultimo momento.
Mentre molti si aspettavano che, per lo meno nell’Italia in giallo, fossero riaperti in confini regionali, è arrivata la proroga del divieto per gli spostamenti tra le Regioni.
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Nel momento in cui negli impianti sciistici i preparativi erano in corso in vista dell’imminente apertura, è arrivato il dietrofront: niente sciate sulla neve per gli amatori.
Le piste restano precluse.
I provvedimenti
La proroga del divieto di uscire dai confini della propria regione, anche se in fascia gialla, è giunta sabato al termine del primo Consiglio dei ministri.
L’impedimento varrà fino al 25 febbraio.
Fatti salvi, ovviamente, gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute.
A renderlo necessario, secondo quanto rilevato dal governo, la priorità di impedire ulteriormente la diffusione del contagio in giorni in cui i casi stanno salendo.
Il dietro front sugli impianti sciistici, invece, è arrivato il giorno di San Valentino, successivamente a ordinanze regionali che già avevano previsto dal 17 febbraio il riavvio delle attività montane.
Con un’ordinanza, è intervenuto infatti il ministro Speranza, posticipando ogni apertura alla data del 5 marzo.
Un intervento dell’ultimo minuto, che ha portato i presidenti delle regioni interessate, Luca Zaia in primis, a chiedere ristori immediati e risarcimenti.
Zaia: “Non possiamo assistere a questo balletto di dichiarazioni”
“Pur considerando che la salute dei cittadini viene prima di tutto, è innegabile che questo provvedimento in zona Cesarini metta in crisi tutti gli impiantisti – ha scritto Zaia sui suoi canali social -. In Veneto tutti gli operatori avevano predisposto ogni cosa: erano state preparate le piste, i rifugi erano già pronti ad accogliere. Certamente il provvedimento mette in difficoltà tutti coloro che si erano adoperati per una stagione che non è mai iniziata e che ora devono addirittura sobbarcarsi i costi di un riavvio che ormai non ci sarà fino al 5 marzo. Non possiamo assistere a questo balletto di dichiarazioni – ha concluso il presidente – Così è impossibile programmare alcunché“.
Un nuovo lockdown in arrivo?
I ministri Boccia e Speranza, in realtà, già da diversi giorni avevano espresso la propria contrarietà alla riapertura degli spostamenti tra le regioni.
La corsa tra i monti del primo weekend di sole, sia pur se di gran freddo, deve aver contribuito a rinsaldare le ragioni anche in una prospettiva di riapertura degli impianti sciistici, anche se al 30 per cento e con una possibile fruizione solo da parte dei residente nelle singole regioni.
In questo balzare tra un’indicazione e l’altra, restrizioni maggiori, che arrivano addirittura a un nuovo lockdown, sono richieste in questi giorni dagli esperti.
Lo aveva fatto il virologo Andrea Crisanti qualche giorno fa, dichiarando al Tg Com 24 : “Bisognava fare il lockdown a dicembre, mentre ora siamo nei guai. La soluzione sarebbe un lockdown duro subito per evitare che la variante inglese abbia effetti devastanti come in Inghilterra, Portogallo e Israele”.
L’ufficialità arriva però dal consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, che ha annunciato, tra le sue priorità, la richiesta di correre ai ripari al più presto attraverso ” un lockdown totale, intenso, anche se limitato nel tempo”.
La dichiarazione è stata fatta durante la trasmissione televisiva “Che tempo che fa”, dove Ricciardi, rilevando che la decisione dipende dal governo, ha sottolineato: “credo che il ministro della Salute Roberto Speranza sia convinto di questa nuova fase. Spero che il presidente del Consiglio Draghi la recepisca e che il governo appoggi questa strategia necessaria”.
La preoccupazione per le varianti
A renderla tale sono le numerose varianti del coronavirus.
“Tutte le varianti del virus SarsCov2 sono temibili – ha chiarito il consiliere del ministro della salute Roberto Speranza – e ci preoccupano. In particolare, quella inglese risulterebbe essere anche lievemente più letale e sta facendo oltre mille morti al giorno in Gran Bretagna».