Canali televisivi che trasmettono video clip a tutte le ore, musica che proviene dai negozi e dai chioschi all’aperto, musica nelle strade e nelle piazze. Fin dal nostro arrivo in Messico, nella caotica e festosa capitale, io e Gianmarco avvertiamo un’atmosfera allegra, piena di vita e di colori, di sonorità romantiche come quelle dei Mariachi, i musicisti che ogni sera, vestiti con i tipici abiti da “charro” (i guardiani di mandrie dello stato di Jalisco), propongono, spesso a pagamento, le loro languide canzoni, accompagnandosi con chitarre, trombe e violini.
Le feste di Xocimilco e il pittore Rivera
Per assistere ad una delle loro esibizioni più tipiche, io e Gianmarco decidiamo di trascorrere un pomeriggio a Xocimilco, un’area lacustre che ricorda gli antichi “chinampas“, i giardini galleggianti degli Aztechi. Soprattutto nei giorni festivi, un’infinità di coloratissime barche a fondo piatto, decorate da fiori e bandierine, trasportano messicani, turisti e gli immancabili Mariachi, lungo i canali di questa zona periferica di Città del Messico. Grandi appassionati delle feste a Xocimilco erano Frida Khàlo e suo marito Diego Rivera. Sono numerosi i musei ed i palazzi della capitale che custodiscono oggi le opere del grande pittore messicano, ma per farsi un’idea della fantasia e della bravura di Rivera, non si può tralasciare una visita al Palazzo Nazionale, prima residenza del conquistatore Hernàn Cortes. I murales che decorano le pareti della scalinata principale del palazzo raccontano, attraverso il pennello di Rivera, la storia del Messico, soffermandosi in particolare sul periodo della conquista spagnola.
Rivera, di origine indigena, non si esime qui dal ritrarre in modo ironico e velatamente caustico, i personaggi e gli avvenimenti di un’epoca che portò alla quasi totale distruzione del patrimonio culturale e umano delle antiche popolazioni messicane.
La Madonna di Guadalupe
Prima di lasciare la capitale, visitiamo la basilica di Guadalupe, un’imponente chiesa costruita sul luogo dell’apparizione delle Vergine Nigra, la santa patrona del Messico e dell’intera America Centrale, apparsa nel 1531 a un indigeno battezzato. L’effige della Madonna, materializzatasi sul mantello del giovane indigeno, è tutt’oggi custodita sopra l’altare della chiesa, meta di numerosissimi pellegrini e fedeli.
Lasciata la caotica ma affascinante capitale messicana ci dirigiamo in taxi verso Tula, antica città Tolteca. Risalito un breve sentiero costeggiato da grandi e solitari cactus, ci appaiono in cima a una collina le enormi statue dei quattro Atlanti, guerrieri alti quasi cinque metri, tre dei quali sono copie (gli originali si trovano al museo antropologico di Città del Messico). Queste stupefacenti figure in pietra fungevano da sostegno ad un tempio ora scomparso.
Tornando verso la capitale facciamo sosta al sito archeologico di Teotihuacan, in Aztecho “il luogo dove nascono gli dei“. Gli antichi edifici, un tempo rivestiti di stucco, pitture e statue, sono sovrastati dalle imponenti piramidi del Sole e della Luna, ancora oggi scalate da numerosi fedeli che, soprattutto in occasione del solstizio di primavera, vanno a “caricarsi di energia positiva” sulla loro sommità.
Le città coloniali: S.Miguel De Allende
Prima di dare inizio alla discesa in bus che, a tappe, ci porterà da Città del Messico sino alla penisola dello Yucatàn, noleggiamo una macchina per visitare le splendide città coloniali, per lo più costruite secondo il modello a scacchiera. S.Miguel De Allende, il cui nome ricorda Ignacio De Allende, eroe della liberazione messicana, ci accoglie in tutta la sua bellezza con il suo groviglio di stradine in acciottolato, le sue porte finestre decorate da ringhiere in ferro battuto, i suoi bellissimi patii, i cortili interni delle case signorili ora trasformati in negozi d’artigianato e in graziosi ristoranti.
Dichiarata monumento nazionale, S.Miguel De Allende è meta di moltissimi turisti nord americani e studenti di storia dell’Arte e anche io e Gianmarco veniamo soggiogati dalla sua pittoresca bellezza tanto che, un po’ per gioco un po’ per curiosità, decidiamo di visitare una piccola e graziosa casa in vendita che resterà comunque un sogno nel cassetto.
Da Dolores Hidalgo a Guanajuato
A soli 40 km da S.Miguel sorge la cittadina di Dolores Hidalgo. Fu proprio dal campanile della sua cattedrale che padre Hidalgo fece suonare le campane la notte del 15 settembre del 1810 per chiamare a raccolta i messicani e dare così inizio alla lotta per l’indipendenza nazionale.
Ricche di chiese, monasteri in stile rinascimentale o barocco e di palazzi coloniali sono anche Morelia e Guanajuato. Quest’ultima, in particolare, adagiata a 2000 metri d’altezza in una stretta vallata, si caratterizza per le casette multicolore, un colpo d’occhio fantastico se ammirato dall’alto della “carrettera”, la strada panoramica.
La morte, l’altra faccia della vita
Dopo una visita alla Valenciana, la chiesa rosa dedicata ai minatori, ci addentriamo nelle lugubri e inquietanti sale del museo delle Mummie.
Nella mentalità messicana la morte non rappresenta un tabù, bensì l’altra faccia della vita. Nel giorno dedicato ai morti i negozi traboccano di oggetti di ogni tipo, dalle bambole ai dolciumi, raffiguranti la Signora Morte.
Il due novembre, in molte case è ancora usanza allestire dei piccoli altari sacrificali dove vengono offerti ai propri defunti cibi, candele, fori e perché no, bottiglie di Tequila.
Tra le città coloniali più caratteristiche va annoverata Patzcuaro, che sorge sull’omonimo lago, un villaggio Tarasco con case bianche e rosse ed un coloratissimo bazar frequentato da donne in abiti tradizionali e lunghe trecce. Con una gita in traghetto di circa 40 minuti raggiungiamo l’isoletta più famosa del lago: Janitzio, roccaforte turistica dominata dall’enorme statua del sacerdote Josè Maria Morelos, altro eroe dell’indipendenza messicana.
Taxco, la città dell’argento
Altrettanto turistica, ma non per questo meno affascinante, la “città dell’argento” Taxco. Le sue vie strette e ripide invitano a lunghe passeggiate. E’ bello perdersi tra le sue piccole case bianche con tetti arancione e trovarsi poi, quasi per caso, davanti alla cattedrale di Santa Prisca, manifestazione estrema dello stile “churriguerresco”: la pietra rosa qui appare docile e malleabile come legno. Ogni novembre a Taxco si festeggia la Fiera Nacional de la Plata che assegna il trofeo Spratling all‘argentiere più meritevole.
Di ritorno a Città del Messico cominciamo la nostra discesa in bus verso lo Yucatàn.
Prima tappa Puebla, bella città circondata dai vulcani Popocatepetl “montagna fumante” e Iztaccihuatl “donna bianca”, la cui vista è spettacolare dalla sommità di Cholula, la piramide più grande del mondo, oggi interamente coperta di terra e vegetazione. A Puebla, città ricca di chiese rivestite di maioliche (azulejos), sfrecciano i taxi più simpatici mai visti: i vecchi maggiolini tedeschi della Volkswagen. I taxisti, per far salire la gente con più facilità, hanno preso l’abitudine di smontare il sedile accanto al conducente. Un’altra particolarità di Puebla è il “mole poblano” che io e Gianmarco assaporiamo come condimento del pollo e del tacchino. Fu qui, nell’ex convento di Santa Rosa, che la madre superiora mescolò per la prima volta gli ingredienti di questa aromatica salsa composta da chile, spezie indigene, germi di sesamo, mandorle e cioccolata. Il “mole poblano” verace si può gustare solo in Messico, come d’altronde la maggior parte dei piatti tipici di questa terra. Difatti molti ingredienti e spezie, in particolare le 50 diverse qualità di peperoncini, non sono esportabili e crescono solo qui.
Cinque ore di bus ci portano da Puebla ad Oaxaca, dove la componente indigena sale dal 10 al 20 per cento sulla media nazionale. Oaxaca rappresenta il punto di partenza ideale per le escursioni a Monte Alban, città degli Zapotechi che custodì il tesoro della famosa tomba Numero Sette e Mitla, sito archeologico noto per i mosaici geometrici in pietra che decorano le pareti degli antichi edifici. Vicino a Mitla sorge il mitico albero di Tule, un cipresso sabino di 2000 anni, alto 40 metri e con una circonferenza del tronco di 42 metri.
Il Chiapas
Il Chiapas ci accoglie alle prime luci dell’alba. Dopo qualche ora di sonno ristoratore siamo pronti ad avventurarci in barca nel canyon Sumidero, profondo 800 metri. Non lontano sorge S.Cristobal de las Casas, pittoresca cittadina coloniale nota anche per le vicende dell’EZLN, l’esercito zapatista di liberazione nazionale.
I guerriglieri del sub comandante Marcos (di cui oggi si vendono al mercato irriverenti bamboline), occuparono S.Cristobal nel 1994 per chiedere al governo libertà, giusta ripartizione delle terre, scuole ed assistenza medica per le popolazioni indigene. Un taxista-guida ci offre un passaggio ai vicini villaggi di Zinacantan e S.Juan Chamula dell’etnia Tzotzil. Qui gli indigeni non amano farsi fotografare per timore di “perdere la propria anima”, anche se pochi pesos sono, poi, sufficienti a strappar loro qualche istantanea.
Visitiamo la chiesa di S.Giovanni Battista a Chamula, dove le tradizionali cerimonie cattoliche si mescolano a riti magici e preghiere ancestrali che rappresentano la chiave d’unione fra la fede imposta dagli spagnoli e la religione autoctona. Un’atmosfera del tutto particolare ci avvolge quando entriamo nella chiesa: non vi sono ne panche di legno ne sedie, e il pavimento è interamente ricoperto di verdi e profumatissimi aghi di pino. Lungo le pareti, in apposite bacheche di vetro, sono custodite le statue dei principali santi venerati dalle popolazioni locali; ciascuno di essi regge tra le mani uno specchio che “riflette” e di conseguenza respinge gli spiriti maligni. I riti magici di Chamula sono forse una vestigia di quelli che un tempo venivano celebrati nel centro cerimoniale di Palenque, tuttora immerso nella stessa foresta che lo nascose ai conquistatori spagnoli. A Palenque ammiriamo il bellissimo tempio De Las Iscripciones, dove venne scoperto intatto il sarcofago del re Pacal con la sua splendida maschera di Giada. Prima di lasciare il Chiapas trascorriamo un rilassante pomeriggio alle cascate di Agua Azul che, scorrendo su un letto di pietra calcarea, assumono il caratteristico colore azzurro.
Un breve volo ci porta a Merida, la “città bianca” dello Yucatàn, punto di partenza per la visita alla celeberrima Chichén Itzà, patrimonio culturale dell’Umanità. Due i monumenti che più ci colpiscono: il campo da gioco della “pelota”, la palla di cauciù che i giocatori dovevano infilare in un grosso anello senza far uso né dei piedi né delle mani ma con il solo ausilio di fianchi, gomiti e ginocchia, e la piramide detta “El Castillo”, monumento che documenta le notevoli conoscenze astronomiche dei Maya. In due sole occasioni, il 21 marzo ed il 23 settembre, giorni d’equinozio, luci ed ombre giocano sulla balaustra ornata da due serpenti, creando un effetto ottico straordinario: le due figure in pietra sembrano ondeggiare e infilarsi sotto la piramide.
Prima di concederci alcuni giorni di relax sul mar dei Caraibi, a Playa del Csrmen, visitiamo le vestigia di Uxmal, in lingua indigena “costruita tre volte”, città che documenta l’abitudine Maya di coprire vecchie costruzioni con nuovi edifici, e poi Cobà, “il luogo dell’acqua mossa dal vento”, i cui resti, sparsi per oltre 70 Km quadrati, sono ancora in gran parte ricoperti dalla vegetazione, ed infine Tulum, l’unica città Maya edificata di fronte al mare, dove assistiamo al rito acrobatico dei Voladores, tra i più antichi dell’emisfero occidentale.
Con una valigia colma dei più svariati pezzi d’artigianato messicano, lacche, cortecce d’albero dipinte e ceramiche coloratissime, siamo pronti per il nostro ultimo volo, quello che ci condurrà in Guatemala.
Claudia Meschini