Uno studio di un team di ricercatori inglesi e cinesi identifica le sostanze che aumentano in chi ha meno contatti con gli altri
Tenere una attiva vita sociale è uno dei segreti per conservare una buona salute.
Una conclusione non nuova, ma finora basata solo su osservazioni empiriche. Adesso, però, c’è anche un fondamento “materiale” che conferma e offre una spiegazione chimica all’equazione secondo cui avere meno amici può aumentare le malattie e anticipare la morte.
Come viene spiegato in un articolo pubblicato su Nature Human Behaviour, l’anello di congiunzione identificato da un gruppo di ricercatori delle Università di Cambridge, nel Regno Unito, e di Fudan, in Cina è rappresentato da una serie di proteine che aumenterebbero nell’organismo di chi sceglie l’isolamento o vive comunque in solitudine.
Il nesso causale tra proteine e solitudine
Il campione su cui si sono basati gli scienziati per provare ad approfondire la fin qui assai ridotta conoscenza della biologia alla base della connessione tra relazioni sociali e salute è molto ampio. Sono stati infatti analizzati i dati di 42.062 persone tra i 40 e i 69 anni presenti nella Biobanca del Regno Unito. E sono state prese in considerazione 2.920 proteine plasmatiche per cercare di identificare quali siano quelle maggiormente espresse dal fisico delle persone sole.
È così emerso che queste proteine, oltre a essere implicate nell’infiammazione, nelle risposte antivirali e nei sistemi di complemento, in oltre la metà dei casi sono “prospetticamente collegate a malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, ictus e mortalità durante un follow-up di 14 anni”.
Le proteine associate all’isolamento sociale identificate sono state 175 e quelle legate alla solitudine 26, con una sovrapposizione dell’85%.
Un’ulteriore analisi di approfondimento ha quindi “suggerito relazioni causali tra la solitudine e 5 proteine”. “Queste proteine – prosegue l’astratto dello studio – hanno mostrato ampie associazioni con altri biomarcatori del sangue, nonché volumi nelle regioni cerebrali coinvolte nell’interocezione e nei processi emotivi e sociali” e “hanno in parte mediato la relazione tra solitudine e malattie cardiovascolari, ictus e mortalità”.
Alcune caratteristiche delle “proteine della solitudine”
Tra le proteine il cui livello aumenta come conseguenza diretta della solitudine c’è, per esempio, l’Asgr1, che ha un nesso diretto con l’aumento del colesterolo e del rischio di malattie cardiovascolari. Ad altre proteine individuate in questo gruppo è attribuito invece un ruolo nello sviluppo della resistenza insulinica, che può portare al diabete, nei depositi arteriosi che si possono tradurre in aterosclerosi e perfino nella progressione del cancro.
Un’importante proteina della solitudine è poi la Adm, già identificata per il ruolo svolto nella risposta allo stress anche attraverso la regolazione di ormoni come l’ossitocina, considerata “alleata del buonumore”.
E dallo studio è emerso che l’aumento dei livelli di Adm riduce nel cervello il volume dell’insula, che ci consente di percepire cosa accade nel nostro corpo, e del caudato sinistro, legato ai processi emotivi, oltre ad associarsi all’aumento del rischio di morte precoce.
Isolamento sociale e solitudine sono dunque paragonabili a fattori di rischio tradizionali come fumo e obesità. E aver identificato una spiegazione concreta per il rafforzamento del sistema immunitario legato ai rapporti affettivi può tradursi in concreti risultati pratici.
“L’esplorazione della fisiologia periferica attraverso la quale le relazioni sociali influenzano la morbilità e la mortalità – conclude infatti lo studio – ha potenziali implicazioni per la salute pubblica”.
Alberto Minazzi