L’analisi epidemiologica del Servizio Igiene e Sanità Pubblica comunica che è un caso importato
La notizia, lanciata ieri, di un primo caso in Italia di malaria autoctona diagnosticato a Verona, in Veneto, ha suscitato preoccupazione e riacceso il dibattito sulla possibile risorgenza della malattia nel nostro Paese, dove era stata ufficialmente eradicata negli anni ’70 grazie a intensi interventi di bonifica e al controllo delle zanzare, oltre all’uso di farmaci specifici.
A 24 ore dalla prima comunicazione dell’Ulss scaligera, avviate tutte le azioni di verifica e predisposti gli interventi necessari (indagine epidemiologica sul caso, l’analisi dei vettori locali tramite catture sul campo, misure di sorveglianza sanitaria per altre persone potenzialmente esposte, e attività di disinfestazione preventiva nell’area, a seconda degli esiti dei controlli) da attivare nell’eventualità che fosse confermato che si trattava di un caso autoctono, è arrivata la smentita.
“A seguito di verifiche incrociate con l’USMAF (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera) – rende infatti noto la Regione Veneto – è emerso un recente viaggio del paziente all’estero in area endemica per malaria – inizialmente non dichiarato – che consente di classificare il caso come importato”
Non è la prima volta
Come spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano, “In realtà, nel nostro Paese, nel recente passato, c’è stato qualche altro caso di infezione avvenuto in ambito locale o, quantomeno, in situazioni in cui l’origine non era del tutto chiara”.
Il medico, anche professore di Igiene all’Università di Milano, facendo riferimento ai dati ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), ricorda che tra il 2013 e il 2017 ci sono stati 3.805 casi confermati di malaria, di cui 12 di origine autoctona, sette dei quali nel 2017.
In ogni caso, sottolinea, è bene sempre tener alto il livello di attenzione: è noto come “malattie ritenute un tempo ‘tropicali’ ormai ci arrivano in casa”.
La malaria e la sua trasmissione
I tecnici della Direzione prevenzione del Veneto, del resto, hanno sottolineato espressamente l’importanza di ricordare che “la malaria non si trasmette da persona a persona tramite contatto diretto, saliva, o rapporti sessuali, ma esclusivamente attraverso il contatto con sangue infetto o la puntura di zanzare infette” e che “il tipo di zanzare in grado di trasmettere questo parassita non risulta ad oggi presente nel nostro territorio”.
Il fatto che il paziente non avesse inizialmente reso noto di aver viaggiato in zone endemiche ha sollevato il timore di un ritorno della malattia in Italia, con varie ipotesi: che fosse stata trasmessa da una cosiddetta “zanzara da bagaglio” ( arrivata cioè attraverso container, valigie o lo stesso aereo) o che il plasmodio fosse stato veicolato da una zanzara autoctona, la anofeles labranchiae.
La “competenza” delle zanzare italiane a trasmettere la malaria
“In Italia – spiega il virologo Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana malattie infettive (Simit) – è presente questa zanzara “competente”, ovvero in grado di trasmettere il plasmodio, sia pure non con la stessa facilità di altre zanzare. E questo ha fatto sì che non ci siano molti casi autoctoni. Ma tecnicamente è una possibilità da tenere in considerazione. Eventi di questo tipo non si sono mai verificati dopo gli anni ’70, ma anticamente sì”.
A questo va aggiunto, ricorda Andreoni, la recente segnalazione veterinaria, in Puglia, di altre anofeles un po’ più competenti della labranchiae.
Tra le ipotesi, per spiegare un eventuale caso autoctono, era stata paventata anche quella di zanzare diverse o di una maggior competenza acquisita dalle specie già presenti. Un’ eventualità probabilistica, da tenere in considerazione, anche per altre malattie.
Il clima che cambia e le malattie tropicali in Italia
Fabrizio Pregliasco, così come gli altri virologi che si sono espressi nelle ultime ore, invita comunque in ogni caso a una riflessione a più ampio raggio. “Le mutate condizioni climatiche – afferma – favoriscono la moltiplicazione delle zanzare per un periodo di tempo più lungo, suggerendo la massima attenzione agli aspetti ambientali e di gestione delle zone a maggior rischio. E tutti devono tenere comportamenti adeguati, perché alle zanzare è sufficiente un po’ di acqua stagnante in un sottovaso per riprodursi”.
E se il grande lavoro di bonifiche che ha nei decenni scorsi fatto sì che la malaria non sia più diffusa in Italia come un tempo, proprio il clima mutato, unito all’aumento dei viaggi nelle zone a rischio, non permette di sentirci tranquilli.
Non solo malaria
“Anche sul fronte della diagnosi – aggiunge il virologo milanese – dobbiamo porre la massima attenzione, per evitare che si ripetano episodi come quello che, nel 1960, provocò la morte del campionissimo di ciclismo Fausto Coppi, i cui sintomi di rientro da un viaggio furono sottovalutati portando all’esito tragico”.
“La possibilità di casi autoctoni – conclude Pregliasco – non riguarda infine la sola malaria, ma tutte le malattie trasmissibili attraverso vettore: da Dengue, a Zika, a Chikungunya, fino a West Nile, che ormai è presente in diverse regioni d”Italia”.
La malaria si manifesta con febbre, brividi intensi, sudorazione, mal di testa, nausea, vomito, dolori muscolari. La malaria è una malattia trattabile e può essere curata efficacemente se diagnosticata e trattata tempestivamente, riducendo così il rischio di complicazioni gravi.
Alberto Minazzi