Elena Savoia: da Mirano ad Harvard per studiare le emergenze sanitarie. I suoi consigli sul nuovo virus trasmesso dalle zanzare: «Essere vigili, non spaventati»
La preoccupazione? È naturale, perché c’è ancora molta incertezza: non conosciamo bene questo virus e non sappiamo quali danni può fare. Ma di certo sappiamo come proteggerci dalle zanzare, e questo è già un aspetto fondamentale».
Quanto dobbiamo avere paura del virus Zika? Come dobbiamo comportarci? E i medici come stanno affrontando l’emergenza? Tre domande che ci siamo posti moltissime volte negli ultimi mesi. Il tam-tam mediatico legato al virus Zika è esploso a livello mondiale suscitando grandi timori e portando l’Organizzazione Mondiale della Sanità a parlare di “emergenza di portata internazionale”. Gli esperti sono impegnati da mesi ad approfondire le conseguenze di questo virus e a gestire le campagne informative per dare i giusti consigli alla popolazione: tra loro, nella squadra creata dall’università di Harvard, c’è anche una donna originaria di Mirano, nel Veneziano. Si chiama Elena Savoia, ha 43 anni e dopo una brillante laurea in Medicina a Bologna è emigrata a Boston dove la sua carriera è decollata portandola a ricoprire un ruolo di grande responsabilità. Un’eccellenza veneta in una delle università più prestigiose al mondo, dunque.
Dottoressa Savoia, di cosa si occupa ad Harvard? «Sono vice-direttore del Programma per l’addestramento e la ricerca sulle grandi emergenze di sanità pubblica. I nostri progetti vengono finanziati dalle grandi istituzioni, come ad esempio l’OMS».
Tra i vostri progetti ora c’è proprio la ricerca legata al virus Zika. Proviamo a spiegare di che si tratta? «Stiamo parlando di un virus che viene trasmesso dalle zanzare. Nella maggior parte dei casi una persona infetta non si accorge neanche di averlo e non causa sintomi; in alcuni casi può dare un po’ di febbre, dolori articolari e un eritema cutaneo».
Perché questa infezione virale preoccupa così tanto? «Purtroppo si sospetta che nelle donne in gravidanza possa causare anomalie al nascituro, in particolare neurologiche. Sappiamo che il virus è stato riconosciuto per la prima volta oltre mezzo secolo fa in Uganda, nella foresta Zika. Negli ultimi mesi, l’allarme è esploso soprattutto in Sudamerica, con diversi casi riscontrati per esempio in Brasile, proprio dove tra pochi mesi ci saranno le Olimpiadi».
Potremo riscontrarlo anche da noi? «Il virus prolifera in certe parti del mondo, dove le zanzare soggiornano più volentieri. Al momento non sappiamo se l’epidemia colpirà l’Europa con casi autoctoni. Le condizioni climatiche lo rendono possibile nelle stagioni più calde ma non vi sono certezze».
Di cosa si occupa lei, concretamente? «Il nostro gruppo studia la risposta dei sistemi di sanità pubblica alle grandi emergenze. Cerchiamo di capire come poter rispondere all’emergenza nel migliore dei modi. Ora stiamo raccogliendo informazioni dai media su come le notizie su Zika vengono presentate al pubblico e chiediamo ai medici che difficoltà devono affrontare nel rispondere alle domande dei loro pazienti. È importante essere trasparenti e onesti per comunicare in modo adeguato».
A proposito di comunicazione: quali sono i consigli più elementari da fornire alla nostra popolazione? «Il consiglio è evitare i viaggi nelle zone colpite se si è in gravidanza. Se proprio al viaggio non si può rinunciare, usare repellenti anti-zanzare giorno e notte ed evitare rapporti sessuali non protetti anche con chi ritorna da un viaggio nelle zone geografiche colpite dall’epidemia».
Che evoluzione sta avendo la ricerca? «Ci vuole del tempo per ottenere dei risultati precisi. Le informazioni che abbiamo cambieranno e non ci dobbiamo stupire di questi cambiamenti. Però la buona notizia è che esistono mezzi per controllare la diffusione delle zanzare e le persone possono proteggersi in modo poco costoso ed efficace».
In Europa è giusto essere preoccupati? «La preoccupazione è comprensibile: quando si vedono immagini di neonati con serie conseguenze neurologiche, come si fa a non preoccuparsi? Ma, come dicevo, sappiamo bene come proteggerci dalle zanzare, come bonificare gli ambienti e come vigilare su possibili casi. Essere vigili non danneggia nessuno. Essere vigili non significa essere preoccupati».
Stiamo assistendo ad una corretta campagna informativa da parte delle autorità sanitarie? «Sì, è molto importante diffondere i pareri degli esperti nei mass-media e nei social network. Per noi è importante ascoltare le preoccupazioni della gente, capire che domande hanno e se le raccomandazioni vengono ben recepite. Da quel che ho potuto osservare la sanità pubblica sta svolgendo un ruolo d’eccellenza nella condivisione delle informazioni».
Veniamo invece alla sua posizione. Quando 13 anni fa è arrivata in America per frequentare un master in Sanità Pubblica, si sarebbe aspettata questa carriera? «Quando sono arrivata, non era affatto mia intenzione rimanere negli Stati Uniti. Ma appena mi sono accorta delle differenze ho capito che non sarei tornata indietro. Qui non c’è pessimismo ma solamente fiducia e voglia di fare: sembra che tutto sia possibile».
In Italia invece questa carriera non sarebbe stata possibile? «Dopo 13 anni non è ancora stata creata una posizione di ricercatore nel dipartimento di Bologna che frequentavo. I professori apprezzavano il mio lavoro ma nell’università italiana purtroppo non c’erano posizioni per me».
Quali sono i problemi del sistema italiano, visto dall’altra parte dell’oceano? «Il sistema è rigido come una pietra, non cambierà mai finché ci sarà gente pagata senza produrre. Qui invece sei continuamente spronato a migliorarti, a trasformare le idee in fatti e a lanciarti in nuove sfide».
Una delle sfide della dottoressa Savoia è legata proprio al virus Zika: uno spauracchio che non dovrà più fare paura.
ELENA SAVOIA MEDICO LAUREATO IN MEDICINA E CHIRURGIA ALL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA, SPECIALIZZATA IN MEDICINA PREVENTIVA E SALUTE PUBBLICA
Dopo le scuole elementari e medie a Mirano, ha frequentato a Mestre il liceo Santa Caterina da Siena. Dopo la laurea, si è specializzata in Igiene sempre a Bologna e, nel 2003, durante l’ultimo anno di specializzazione, è stata selezionata per il master di Sanità Pubblica ad Harvard nel Massachusetts. Nel 2004, terminato il master con il massimo dei voti, è stata assunta dall’ateneo statunitense. Negli ultimi anni, ha lavorato a numerosi progetti di ricerca, legati ad esempio alla pandemia H1N1 e ad un caso di contaminazione dell’acqua da prodotti chimici in West Virginia. Durante Ebola ha collaborato con l’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla comunicazione del rischio. Partecipa a numerosi convegni scientifici in qualità di esperta: lo scorso febbraio era all’ECDC di Stoccolma, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. È sposata con due figlie.