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L'Italia senza giovani

L'Italia senza giovani

Pubblicato il Rapporto Istat 2023: persi oltre 3 milioni di under 35 in 20 anni, soprattutto al Sud. Sempre più anziani nelle Città metropolitane

Denatalità e invecchiamento, che si traducono anche in spopolamento, sono le difficili realtà demografiche con cui l’Italia si trova a fare sempre più i conti.
Lo conferma il Rapporto 2023, appena pubblicato dall’Istat, che, tra i dati più significativi evidenzia la crescente riduzione di giovani tra 18 e 34 anni, l’innalzamento dell’età di uscita dalla famiglia di origine e l’alto numero di anziani soprattutto nelle Città metropolitane.

In 30 anni, persi 5 milioni di giovani

Numericamente, i residenti under 35 nel nostro Paese lo scorso anno si sono attestati poco oltre quota 10 milioni e 330 mila.
Rispetto al 2002, la fascia 18-34 anni ha dunque perso oltre 3 milioni di unità, il -22,9%, con cifre ancor più pesanti se confrontate al picco del 1994.
In questo caso, il calo è del -32,3%, pari a circa 5 milioni di giovani in meno.

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A causa di denatalità e ripresa dei flussi migratori, continua l’analisi, la riduzione del numero di giovani negli ultimi 20 anni è stata più marcata nelle regioni meridionali, con un -28,6% rispetto al -19,3% del Centro-Nord, dove il fenomeno, oltre che dai saldi migratori positivi, è stato attenuato anche dalla maggior fecondità dei genitori stranieri.
Sempre per le stesse motivazioni, a risentire del calo di giovani sono state più le aree interne (-25,7%) che i centri (-19,9%) e le zone rurali (-26,9%) rispetto alle città (-19,2%).
Quanto alla carenza di risorse (della famiglia, della scuola e dei luoghi di vita) e alle difficoltà negli esiti scolastici, le situazioni più complicate riguardano Sicilia, Puglia, Campania e molte zone rurali del Centro-Nord.

La transizione verso l’età adulta e lo spopolamento

In questo contesto generale, l’Istat si sofferma su 2 aspetti particolari.
Il primo riguarda le “transizioni sempre più protratte verso l’età adulta”. I giovani, cioè, vanno a vivere da soli molto più tardi: nella fascia 18-34, vive in famiglia il 67,4%, contro il 59,7% del 2002, con punte vicine al 75% in Campania e Puglia.
Una situazione che aggrava ulteriormente il tema denatalità, visto che anche la scelta di sposarsi o di mettere al mondo un figlio viene a sua volta posticipata.

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L’età media del primo matrimonio, in 20 anni, è salita da 31,7 a 36,5 per gli uomini e da 28,9 a 33,6 per le donne.
Che partoriscono per la prima volta in media a 31,6 anni (erano 29,7 nel 2002).
Dal 2012, la popolazione italiana è complessivamente diminuita di oltre un milione di unità: -1,8% totale, con anche in questo caso la punta del -4,7% al Sud. E le previsioni demografiche sono ancor più preoccupanti: entro il 1° gennaio 2042, la popolazione residente in Italia potrebbe ridursi di circa 3 milioni e, in 50 anni, cioè al 1° gennaio 2072, di oltre 8,6 milioni.

Un caso significativo: le Città metropolitane

Il rapporto definisce la realtà specifica delle 14 Città metropolitane italiane come “un caso di studio importante sull’invecchiamento”.
Se, in Italia, il 24% della popolazione ha oltre 65 anni, oltre un terzo di questa, ovvero circa 5 milioni, vive in queste aree.

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L’Istat sottolinea, al riguardo, che, pur con un indice di vecchiaia (cioè il rapporto tra over 65 e residenti in età tra 0 e 14 anni) più basso della media nazionale (182,9 contro 193,1: dato questo aumentato del +61,4% dal 2002), nei contesti metropolitani del Nord è superiore (198,5) rispetto al Sud (175,8).
Va inoltre aggiunto che quasi un terzo di questi anziani vive da solo: percentuale che supera la media nazionale, inferiore al 30%. Si tratta però di persone più istruite rispetto alla media nazionale, visto che oltre un terzo è in possesso almeno del diploma (in Italia la media è attorno al 25%) e l’11,1 per cento, contro l’8% nazionale, ha conseguito una laurea o altro titolo terziario.

Alberto Minazzi

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Tag:  istat, Italia