Uno stormo di farfalle ha fatto una traversata oceanica no-stop percorrendo in una sola settimana 4200 km
Per la sua bellezza è definita spesso “la dama dipinta” ed è la farfalla più cosmopolita in assoluto.
Normalmente attraversa due volte l’anno il Sahara migrando in autunno dall’Europa all’Africa tropicale rientrando al punto di partenza in primavera.
Ma ora uno stormo di dame dipinte, il cui nome scientifico è Vanessa cardui, ha scardinato ogni previsione possibile, segnando quello che, non solo nella sua specie, ma in tutte quelle degli insetti di piccola taglia, è un vero e proprio record.
Con un inedito volo transoceanico ha percorso ben 4200 km, dall’Africa occidentale al Sud America (Guyana francese) in un arco di tempo compreso tra soli 5 e 8 giorni.
Un volo no-stop, rivelano i ricercatori, facendo affidamento sugli alisei orientali, sfruttando quindi una sorta di autostrada aerea che collega i continenti.
“Uno dei più lunghi documentati per i singoli insetti – si legge nello studio pubblicato sulla rivista Nature Communication dal team di esperti coordinato dall’Istituto botanico di Barcellona – e potenzialmente la prima traversata transatlantica verificata”.
Il riposto su una spiaggia della Guyana francese
Non tutte le dame dipinte del gruppo ce l’hanno fatta.
Una decina di loro ha scelto di fermarsi a recuperare energia sulla spiaggia della Guyana francese, dove, la mattina del 28 ottobre 2023, sono state trovate durante una passeggiata da un entomologo che ne ha dato segnalazione.
Avevano le ali danneggiate e cercavano riposo, con le ali aperte nella sabbia a pochi metri dalla linea di galleggiamento. Ma erano vive.
Tre di loro sono state prelevate e, attraverso uno studio multidisciplinare che ha analizzato le traiettorie dei venti nei giorni precedenti, la diversità genetica delle farfalle, i pollini delle piante depositati sui loro corpi e la presenza di idrogeno e stronzio sulle loro ali, è stato possibile ricostruire il loro incredibile viaggio.
Cosa sappiamo sulla loro traversata oceanica
“Il DNA dai granuli di polline trovati sui corpi delle farfalle, per esempio, ha rilevato la presenza di “una miscela di polline da 8 a 15 specie di piante” la maggior parte delle quali di provenienza neotropicale.
“Una pianta ben rappresentata (per numero di letture) era l’endemica del Sahel Guiera senegalensis – scrivono i ricercatori nel loro studio- In misura minore, è stata rilevata anche un’altra specie sub-sahariana, Ziziphus spina-christi . Entrambe le specie sono arbusti che fioriscono alla fine della stagione delle piogge in Africa occidentale, da agosto a novembre, e sono quindi candidati significativi come fonti di nettare per le farfalle in dispersione. La loro distribuzione saheliana sulla costa occidentale dell’Africa restringe la potenziale origine del volo transatlantico”.
L’analisi degli isotopi di idrogeno e stronzio presenti sulle loro ali ha invece dimostrato che la loro vita larvale doveva essersi svolta nei paesi dell’Europa occidentale come Francia, Irlanda, Regno Unito o Portogallo.
Questo significa che le farfalle “hanno raggiunto il Sud America dall’Africa occidentale, volando per almeno 4.200 chilometri sopra l’Atlantico, ma il loro viaggio potrebbe essere stato anche più lungo – concludono gli studiosi- partendo dall’Europa e attraversando tre continenti, con una migrazione di 7.000 chilometri o più. Un’impresa straordinaria per un insetto così piccolo”.
Ma come possono aver fatto ad attraversare un oceano senza mai fare rifornimento di energie?
La risposta è arrivata dall’analisi dei venti, che ha individuato delle correnti-autostrade che hanno permesso il completamento del viaggio transatlantico.
Non senza mutuare una tecnica di volo tipica di altri insetti: quella del minimo sforzo.
“E’ molto improbabile che in dispersione abbiano mantenuto un volo attivo costante durante il loro viaggio – si legge nello studio -. Invece, probabilmente si sono impegnate in un volo “a sforzo minimo” in cui la farfalla genera la portanza minima necessaria per rimanere in volo, preservando la propria energia”.
Resta aperta però un’ultima domanda: perché?
Il cambiamento globale ha un suo ruolo in tutto questo.
“La siccità in Africa aumenta le concentrazioni di polveri trasportate nell’aria e si prevede che anche la connettività del paesaggio eolico cambierà in futuro e avrà un grave impatto sulle specie disperse dal vento – spiegano gli esperti -. I continui cambiamenti nell’areale e nei modelli di dispersione potrebbero non solo riconfigurare la distribuzione delle singole specie, ma anche quelle delle loro interazioni con le piante ospiti e alcuni patogeni. Una migliore comprensione di come i fattori estrinseci (ad esempio, il paesaggio del vento, il clima, l’inquinamento) o intrinseci (ad esempio, la fisiologia, la plasticità, il metabolismo) limitino o favoriscano la dispersione degli insetti aiuterà a prevedere le loro potenziali conseguenze ecologiche”.
Consuelo Terrin