Cos’hanno in comune un’infermiera che decide di “tornare in campo” per dare il proprio contributo nella gestiione dell’emergenza-coronavirus, una modella di body painting e una ragazza che gestisce col marito un negozio di noleggio, riparazione e vendita di biciclette? La domanda è volutamente un trabocchetto.
Perché stiamo parlando sempre della stessa persona. E la risposta è quindi: ciò che accomuna le diverse “anime” di Sabrina Tòrmena (accento sulla prima “o”) è l’entusiasmo che la giovane montebellunese da anni trapiantata al Lido di Venezia mette in tutto quello che fa.
L’infermiera che torna in campo
Partiamo allora da qui. Dalla scelta, tutt’altro che facile e scontata, che Sabrina ha fatto qualche mese fa nei momenti più difficili della pandemia.
«Dopo 10 anni – racconta – di fronte all’emergenza mi sono sentita di dover ritornare a fare quello per cui ho studiato e che ho sempre sentito dentro di me come qualcosa di più di un semplice lavoro fine a se stesso. Quando scegli di fare l’infermiera è perché, in te, hai un senso di umanità che rimane anche se non eserciti più. E, in fondo, lo continui a fare anche a casa, con genitori, figli e, perché no, con gatti e altri animali di famiglia».
Infermiera professionale prima in ginecologia-ostetricia e sala parto, poi nel reparto di medicina e, negli ultimi 12 anni, in patologia neonatale e pediatria, Sabrina Tormena per 18 anni ha sempre lavorato all’ospedale di Montebelluna, sua città natale, dove conserva ancora affetti e amicizie. E lì è tornata in questa occasione legata al coronavirus. «Sono sempre rimasta in contatto con le ex colleghe, mantenendo il rapporto di amicizia. Quando ho sentito l’esigenza di rientrare, ho deciso quindi di farlo lì».
L’esperienza nel reparto Covid
Sabrina è stata così assegnata al reparto Covid dell’ospedale montebellunese. E, più precisamente, all’area di riabilitazione subintensiva, all’interno dell’équipe che si occupava dei pazienti affetti da coronavirus dopo il periodo di intubazione.
«Venendo stubate dopo 2 o 3 settimane – sottolinea – queste persone uscivano dalla terapia intensiva con una serie di problemi ed enormi difficoltà. Ovvero difficoltà motorie, difficoltà respiratorie persistenti e valori del fegato alterati. Senza dimenticare eventuali difficoltà legate a patologie di base e quelle psicologiche, anche perché si è trattato di ricoveri molto lunghi».
Un’esperienza durata 2 mesi, prima che, per fortuna, la fase emergenziale più intensa scemasse.
«La scelta di licenziarmi, 10 anni fa, per seguire l’attività di mio marito – ammette – non è stata facile, perché questo lavoro mi è sempre piaciuto. E, di fronte a persone in difficoltà che arrivano in ospedale stando male, non ho mai potuto non aiutarle. Certo, in questa occasione, non è stato facile rimettermi in gioco, tanto più in un reparto diverso. Le conoscenze di base restano. Ma, in questi anni, sono cambiate tante cose, compreso il sistema operativo di lavoro. E anche piccole differenze, come il variato colore delle provette, hanno la loro importanza. Ho cercato quindi di adattarmi rapidamente, per poter essere davvero un aiuto e non un problema».
Coronavirus: un nemico da affrontare insieme
Sabrina Tormena ha dunque conosciuto da molto vicino il Covid-19. «Non tutte le persone – fa notare – riescono bene a comprendere cosa è stato il coronavirus. Ma credo che uno non possa aver visto la pericolosità della cosa. Perché è stata dura, ve lo assicuro sulla base della mia esperienza personale, anche se non credo di essere stata un’eroina, perché ho fatto quello che sentivo dentro di me. Per questo spero che non si torni ai livelli dei mesi scorsi, anche se vedo tante cose che mi lasciano un po’ perplessa. È già difficile gestire una famiglia, a volte è difficile gestire anche noi stessi. Figuriamoci una comunità o uno Stato. E c’è quindi il rischio che ognuno si faccia le proprie regole».
In altri termini: dal coronavirus si può uscire solo tutti insieme. «Ognuno dovrebbe fare il proprio dovere civile, avere certe accortezze, per sé e per gli altri. Da sempre, io sono stata abituata a lavorare in équipe. Ed è stata una grande lezione di vita, perché è così che si impara a comportarsi. È insieme che si vince, si fanno conquiste, si va avanti. Le regole del lockdown, a partire dal dover restare a casa, sono state limitanti. Ma, se c’è la volontà, anche un piccolo sforzo da parte di tutti, è tanto. Perché, avendola vissuta da dentro l’ospedale, sono questi i comportamenti che evitano di far rischiare gli altri, operatori sanitari compresi. “L’unione fa la forza” è uno slogan abusato, ma al tempo stesso è vero: è davvero importante fare gruppo e collaborare».
Una modella di body painting di livello internazionale
Prima del coronavirus, il nome di Sabrina Tormena era conosciuto soprattutto per come modella di body painting.
Un’attività iniziata 7 anni fa, un po’ per caso, e diventata via via sempre più significativa. «Io – racconta Sabrina – sono sempre stata una persona estrosa ed estroversa. Anche quando lavoravo in reparto, ho sempre amato ridere, scherzare e, quando possibile, rendere leggero il mio operato da infermiera. Anche perché, in pediatria, ho purtroppo spesso visto situazioni pesanti, che ancora mi porto dentro. Quando ho conosciuto l’artista montebellunese Gilberta Bianchin, che mi ha dipinto il volto da topolina in una festa di carnevale, è iniziata questa avventura».
Anche la storia di Gilberta, che ha saputo superare una pesante vicenda di trapianto, meriterebbe di essere raccontata. Qui basterà dire che, dall’incontro tra le due ragazze di Montebelluna, è iniziata una esperienza che le ha portate a disputare campionati italiani e mondiali, vincendo più di qualche premio. «Quando ci siamo conosciute, Gilberta ha visto il mio stupore e la mia spontaneità di fronte allo specchio. E mi ha subito detto che le sarebbe piaciuto dipingere anche il mio corpo. Il body painting, pur essendo un’arte molto antica, allora non aveva ancora preso molto piede in Italia ed era vista quasi come tabù. Però, dopo averne parlato a casa e capito che non c’è niente di volgare, ho detto sì».
Il mondo del body painting
Adesso, Sabrina ormai ben conosce ogni aspetto di quest’arte. «Ritengo la pittura del corpo un bell’esempio di un’arte effimera come la vita. È quasi una filosofia, perché è possibile catturarla solo con le fotografie, magari con un video. Ma poi ti lavi e sparisce tutto. C’è un mondo che gira attorno al body painting. Basta pensare che ai mondiali partecipano 67 nazioni, con oltre 300 fotografi accreditati, e un palco come quelli dei concerti rock. E, nel tempo, la gente ha iniziato a comprendere anche le difficoltà che ci sono. È una vera e propria disciplina. Durante le gare, cerco di mangiare e bere il meno possibile. Le sedute di pittura, nei concorsi, durano 6 ore, 7 se con effetti speciali. E 2-3 ore se si tratta solo del viso. L’altro ieri, poi, siamo andati avanti dalle 9.30 alle 20, prima di passare al set fotografico».
È dunque richiesta, sia per l’artista che per le modelle, una accurata preparazione. «In fondo – prosegue Tormena – si tratta di un’esibizione. E quel che più mi piace è interpretare l’opera. Mi devo osservare, far mia la parte come un’attrice. Alla fine, a parte un piccolo slip, su quel palco, a certi livelli, sei completamente nuda, per non avere elementi di disturbo all’opera. E quindi tiri fuori tutta te stessa, quello che senti. La cosa più bella è trasmettere, fantasticare. Mi fa quindi piacere sentirmi dire che sono una vera attrice. Centrare l’obiettivo, dare vita all’opera mi rende felice».
Il noleggio bici
Ed eccoci alla terza Sabrina. Quella della quotidianità. Quella del negozio di noleggio, riparazione e vendita bici in cui trascorre gran parte della giornata, dando una mano al marito. «Lui è molto bravo nelle riparazioni. Io ho scelto di venire a supportare la sua attività occupandomi soprattutto del noleggio, ma anche del gonfiaggio gomme, del montaggio di cestini e campanelli. Cerco cioè di dare una mano sia nel contorno, sia nell’organizzazione. Perché, avendo dovuto ascoltare anche quattro medici contemporaneamente, credo di avere una mente ben abituata all’emergenza».
Fortunatamente, nonostante le difficoltà passate col lockdown, la mole di lavoro adesso non manca. E il segreto è sempre lo stesso: «Io credo che una cosa, sia una torta a casa, l’infermiera o il meccanico, la fai bene quando la fai come se la facessi per te. È la cosa più soddisfacente, che ti fa stare bene. Per questo, in negozio voglio andare col sorriso. Voglio che il mio “buongiorno” non sia tirato, ma sentito. L’importante è lo spirito e il lavorare in armonia. È così che la gente è contenta del servizio e poi torna. Non costa nulla spiegare una mappa o dire ai clienti che al Lido ci sono le spiagge. Perché, credetemi, molti arrivano qui e non lo sanno».
Complimenti bellissimo articolo!
Semplicemente fantastico, sia l’articolo che il soggetto.