Gli studi lo confermano: i cambiamenti climatici creano situazioni ideali per la nascita di nuovi virus
C’è chi sostiene che siamo in ritardo di almeno 15 anni.
E chi ha già coniato il nome di una nuova era caratterizzata dalle pandemie.
C’è da una parte chi vorrebbe credere che con il coronavirus il capitolo si chiuda. E ci sono i ricercatori dall’altra, sempre più propensi a ritenere che le conseguenze dei cambiamenti climatici comporteranno l’insorgenza di nuove patologie.
E’ per questo che Ed Yong, vincitore del premio Pulitzer per le sue pubblicazioni sul Sars-CoV-2, ha definito l’era che stiamo vivendo Pandemicene.
La sezione dell’Onu che si occupa di biodiversità e di ecosistemi (Ipbes), sulla base dell’analisi di ben 600 studi pubblicati d’altra parte ha avvallato che l’aumento delle temperature, l’alterazione del grado di umidità, la siccità, gli uragani e le alluvioni, creeranno le condizioni per il diffondersi di nuovi virus.
L’ultima ricerca scientifica pubblicata, “Climate change increases cross-species viral transmission risk”, lo conferma: i cambiamenti climatici stanno facendo emigrare 3000 specie di mammiferi verso luoghi meno caldi, spesso abitati dall’uomo.
D’altra parte lo vediamo nelle nostre città, dove diventano sempre meno rari gli avvistamenti di animali inconsueti.
Secondo gli autori dello studio, Gregory Albery e Colin Carlson, biologi dell’Università di Georgetown, a un eventuale aumento della temperatura globale di 2 gradi, nei prossimi 50 anni corrisponderà l’affermarsi di almeno 15 mila nuovi virus.
Non tutti saranno trasmissibili all’uomo ma molti potranno essere pericolosi.
Già oggi si ritiene che alcune nuove patologie respiratorie siano collegate a uccelli e pipistrelli non autoctoni. E già sappiamo, come ha riportato nel 2020 il Financial Times, che attualmente già circolano“circa 1,6 milioni di virus nei mammiferi e negli uccelli, di cui circa 700mila potrebbero avere il potenziale per infettare gli esseri umani. Ma di questi, solo circa 250 sono già entrati in contatto con noi. Gli altri ancora no”.
Il salto dei virus tra specie diverse non è una novità e, sottolinea Carlson nello studio, “dobbiamo prepararci all’idea che le pandemie saranno sempre più frequenti”.