Alla scoperta dell’estuario: a trent’anni dalla prima edizione del libro-reportage se ne riparla per vedere cosa è cambiato
La pubblicazione di una ricerca è motivo di soddisfazione per gli autori, specialmente se giovani e con tanta passione per il tema trattato. La ristampa, arricchita dalla traduzione in lingua inglese, è una ulteriore grande emozione. Quando gli amici Chris Wayman e John Phillimore ci hanno proposto di ripubblicare la nostra ricerca di oltre trent’anni fa abbiamo accettato con entusiasmo per almeno due motivi: sondare i cambiamenti avvenuti e riflettere ancora sulle isole e sul loro ruolo nel contesto della laguna di Venezia. Nel 1977, poco più che ventenni, ci siamo forse trovati avvantaggiati rispetto ai nostri coetanei. Percorrendo spesso la laguna con la nostra piccola barca a remi siamo stati testimoni di un cambiamento: antichi mestieri stavano scomparendo, vele e remi erano progressivamente sostituiti dai motori e anche l’ambiente circostante, a iniziare dall’acqua, non era più incontaminato come qualche anno prima. Sulle ali dell’entusiasmo provocato dalla prima Vogalonga nel 1975, che aveva lo scopo principale di denunciare lo stato di degrado della laguna e la valorizzazione della cultura anfibia, ci siamo impegnati ad approfondire alcuni argomenti e in particolare lo stato di alcune piccole isole, abitate per secoli e poi abbandonate al loro destino.
Ci stimolava soprattutto comprendere il perché isole con un passato storicamente importante e con edifici realizzati dai più importanti architetti del Rinascimento fossero ridotte in questo stato di abbandono. Un tour tra le barene, vivendo in barca per una decina di giorni ci ha poi convinti sull’opportunità della ricerca. Contemporaneamente abbiano iniziato a raccogliere informazioni e a ricercare in biblioteche e archivi. Oltre a essere abbandonate scopriamo che quelle piccole isole hanno una storia importante. Le fotografie da noi realizzate sono state messe a confronto – isola per isola – con le immagini storiche che avevamo trovato (stampe del 6-700 del Coronelli, del Tironi-Sandi, del Visentini ed altri), compilando una scheda tecnica (dimensioni, proprietà, stato immobili, ecc.) e con una antologia trascritta di noti autori con le loro citazioni riferite alle isole (Molmenti, Paoletti, Carrer, Miozzi, Zorzi, tanto per citare alcuni autori). Senza saperlo abbiamo seguito gli insegnamenti di John Ruskin. Il critico d’arte e riformatore sociale inglese che promuove, nell’800, l’uso della fotografia come metodo imprescindibile per l’indagine storica. Sulla nostra strada e con il nostro entusiasmo abbiamo coinvolto gli amici di allora della Settemari, che all’epoca si stava costituendo.
Ricordiamo con emozione quel periodo: un gruppo eterogeneo di persone per età, professione, cultura, tutte armoniosamente unite per realizzare la mostra fotografica “Isole abbandonate. Com’erano e come sono”, dal 4 al 20 giugno 1978, alla Scuola Grande di S. Teodoro, in Campo S. Salvador, per denunciare pubblicamente e civilmente quella situazione. Parlando di date è opportuno un rapidissimo passaggio storico a beneficio dei più giovani. Molte isole sono già attive in epoca romana e trovano uno sviluppo importante all’inizio del Medioevo. Quelle attorno a Rialto formano la città, altre, grandi e piccole, con i litorali le fanno proficuamente da corona. Durante la storia della Serenissima che corre fino alla fine dell’epoca Moderna ogni isola ha un suo ruolo: di produzione, di attività religiosa, di sanità. Con la fine dell’Antico Regime finisce la Repubblica e per alcune isole cambia la destinazione d’uso. Le attente amministrazioni francesi e austriache privilegiano la funzione difensiva delle isolette attorno alla città e dei litorali. Poco cambia con l’Unità Italiana. I militari continuano a conservare la maggior parte degli spazi (ricordiamo, a titolo di esempio, che anche S. Giorgio Maggiore era parzialmente occupata dall’Artiglieria prima dell’iniziativa di Vittorio Cini).
Altre isole diventano centri ospedalieri specializzati. Un altro cambiamento avviene nel secondo dopoguerra. Alcuni interventi legislativi e in particolare il Piano Regolatore del 1962 portano nuovi sviluppi, confermando e privilegiando la crescita industriale delle zone lagunari di terraferma. Nuove politiche, nuove tecnologie e nuovi baricentri svuotano anche il ruolo militare delle isole minori. Gli anni del boom economico condizionano inoltre nuovi stili di vita, più proiettati sulla città di terra. Per le piccole isole inizia la fase di abbandono, da noi documentata a partire dal 1977. A trent’anni di distanza, qualche passo è stato compiuto. Alcune isole non sono più abbandonate e hanno trovato una proficua destinazione d’uso (pubblica o privata). Altre, che all’epoca stavano per essere abbandonate, hanno trovato una rapida riconversione (ad esempio San Servolo). Se è vero che la vita veneziana è cambiata notevolmente, è anche vero che alcune isole della laguna hanno trovato un loro ruolo attivo nello spazio lagunare, sia in ambito culturale sia in quello turistico. Dal punto di vista morfologico le isole lagunari possono essere classificate in diverse categorie: quelle formate dall’azione dunosa della sabbia marina come i litorali (Lido, Pellestrina, Sant’Erasmo); quelle formate dall’azione dei fiumi (Torcello, Burano, Giudecca, San Giorgio Maggiore); quelle create artificialmente dall’uomo, bonificate con fanghi e materiali di risulta (Sacca Sessola, Sacca Fisola, “sacca” in dialetto veneziano significa isola artificiale). Quelle di formazione mista come le “insule” che danno la forma urbis di Venezia o Murano. Insomma molte isole sono sorte con il lavoro di badili e di mani pronte a sottrarre terra alla laguna.
Dalle barene asciutte o dossi di Rivus Altus (Rialto) e di Olivolo è nato tutto quel clamore urbano che chiamiamo Venezia. Un mosaico di centinaia di appezzamenti anfibi collegati da trecento ponti e cementati da oltre mille anni di storia. Il tutto tenuto in piedi da migliaia di tonnellate di pietra d’Istria e di trachite euganea di Monselice. In laguna, da sempre isolotti e “motte da cason” affiorano e scompaiono in continuazione. Analizzando le modifiche otto-novecentesche vi saranno isole conglobate nella citta’ e nella terraferma come, Santa Marta e Santa Chiara. Riformate ai fini urbanistici della stazione ferroviaria e del nuovo porto commerciale. Sant’Elena diventerà nuovo quartiere cittadino. Treporti, Lio Piccolo e Lio Grando diventeranno terraferma e congiunte alla penisola del Cavallino. Sant’Erasmo per l’avanzare di quest’ultimo cordone sabbioso, da lido (Litto bianco) fronte mare si trasformerà in isola interna lagunare. Così anche i “Do Casteli” dell’isola di Sant’Andrea, della Certosa e di San Nicolò, arretreranno in un posizione più interna non più a diretto contatto con l’Adriatico. Vi saranno inoltre isole unificate come S. Cristoforo e S. Michele per creare il nuovo cimitero dopo il rifiuto dell’Amministrazione Austriaca di trasformare a tale scopo il convento della Certosa.
L’elenco delle isole scomparse è già stato in parte citato. S.Leonardo di Fossamala, S.Marco di Boccalama sono ricordate in occasione della peste del 1348 ma oggi di esse non restano tracce. Ammiana, Ammianella, Costanziaco, Centranica, sono nomi favolosi eppure lo storico Vittorio Piva nel 1938 elenca e disegna ben otto chiese appartenenti a queste isole. Esistono poi isole ridotte radicalmente, come Torcello. Secondo Marziale che ne descrive le belle ville romane contava 30 mila anime, oppure Poveglia. Inoltre vi sono isole che hanno perso la loro antica funzione, ma per acquisirne altre. Da insediamenti religiosi all’epoca della Serenissima a forti militari durante le amministrazioni austriaca e francese. Dalla fine degli anni Settanta a oggi molte isole cambieranno destinazione d’uso. S.Clemente e San Servolo, ex manicomi ora albergo di lusso, e centro studi. Certosa, da caserma a centro velico e scuola del design. Lazzaretto Nuovo, da deposito di munizioni a scuola di studi archelogici, Lazzaretto Vecchio, da caserma a canile, ora felicemente restaurato dal Magistrato alle Acque e in attesa di utilizzo. Poi ci sono isole private abitate o comunque non abbandonate. Crevan, Santa Cristina, La Salina, Campalto, Carbonera, Tessera, Sacca Sessola dove i lavori di ristrutturazione da ospedale ad albergo sono fermi per crisi finanziaria.
S.Giacomo in Paludo, attualmente in fase di consolidamento strutturale da parte del Consorzio Venezia Nuova e di prossimo riutilizzo sociale. Santa Maria delle Grazie, da ospedale per le malattie infettive, acquistata da una società in attesa di essere trasformata in residence turistico. Brillante rimane l’attività di San Francesco del Deserto anche se i frati residenti sono ridotti a quattro. Così come valida l’attività culturale e religiosa dei padri Armeni a San Lazzaro. Isole nuovissime: come tali sono da considerare le casse di colmata nella zona industriale di Porto Marghera, oppure l’isola del Tronchetto (superficie di 18 ettari), sorta nel 1955 dai depositi di materiale edile di risulta e oggi parcheggio automobilistico e importante area di servizi. Ultima nata: l’Isola del Bacan o Novissima (il nome è ancora da definire) sorta artificialmente dopo il 2001 a metà del porto di Lido. Fungerà da centrale operativa per il Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico in caso di maree eccezionali).
Infine, elenco delle isole abbandonate e in pericolo di sopravvivenza: Madonna del Monte, già convento poi polveriera militare, ora a rischio di estinzione, Sant’Arian, ex ossario, La Cura, dove la casa colonica settecentesca è da poco crollata, San Secondo, a rischio il forte austriaco, Santo Spirito, in pericolo di estinzione, San Giorgio in Alga, dove sono stati rubati da poco fregi architettonici e marmi, a rischio di demolizione, Sant’Angelo delle Polveri, struttura militare abbandonata del dopoguerra, in precarie condizioni. Le ex batterie militari: Campana o Podo, Ex Poveglia, Fisolo, Trezze. Gli Ottagoni: Alberoni, Abbandonato, Ca’Roman, San Pietro. La saggezza di un tempo si è un po’ persa e così anche la vera politica. Per le isole veneziane la storia è stata un susseguirsi di saccheggi e di rovina. Agli inizi degli anni Sessanta, paradossalmente, due Decreti Ministeriali dichiaravano le isole di notevole interesse pubblico e le sottoponeva alla “tulela paesaggistica”. Dal 1965 al 1968 invece si aggiungeva la dismissione militare di alcune di esse che le portava in brevissimo tempo alla quasi totale distruzione fisica. Le isole ospedaliere furono abbandonate tra il 1970 e il 2001 (ultima Le Grazie). Abbiamo già detto che le isole della laguna sono una settantina.
Le isole abitate tra grandi e piccole sono 23; quelle ex abbandonate sono 5; in corso di riutilizzo 7. Le isole ancora abbandonate sono 8. Altre 28 sono isolotti, motte, ottagoni, casoni o semplici secche, che non si possono considerare abbandonate perché non sono mai state abitate, ma frequentate occasionalmente da pescatori, orticoltori o militari. C’è un dato positivo in controtendenza – un paradosso – riferito alle isole in generale. Gli abitanti delle isole lagunari non subiscono il regresso demografico manifestato nel centro storico. Se Venezia riduce la sua popolazione di 2/3 da 180.000 a 60.000 tra il 1951 e il 1999, nelle isole la flessione è contenuta da 38.000 a 33.000. Forse perché si vive bene? Che sia la premessa di una nuova fase, di una data che segna un futuro più roseo anche per le isole minori? E’ con l’elemento acqua e la tranquillità lagunare dei canali e delle isole che il nucleo cittadino di Venezia e Mestre e di tutta la Provincia ritrova la sua dimensione umana. Un neo-umanesimo, legato ai territori lenti, una sorta di slow life. E in questo noi crediamo che anche le piccole isole possono avere ancora un ruolo originale di lagunarità che potrebbe coinvolgere oltre a Venezia anche le province di Padova e Treviso attraverso il Brenta e il Sile.
La laguna è dunque un insieme di sistemi naturali, storici ed urbanistici che fin dai tempi dei primi insediamenti è stata trasformata in paesaggio e la cui caratteristica fondamentale è il fragile rapporto tra l’antropico ed il naturale. Sapientemente gli antichi veneti hanno saputo mantenere negli insediamenti lagunari un equilibrio tra architettura e natura anche quando fu necessario che la laguna subisse grandi trasformazioni idrauliche come la diversione dei fiumi e i Murazzi. In realtà occorrono enormi risorse per realizzare un supporto economico su grandi dimensioni urbane disperse, perchè non possono esistere soluzioni unitarie e, poiché Venezia può e deve utilizzare la propria eccezionalità, bisogna che le isole abbandonate possano rigiocare un ruolo importante di costellazione nel sistema laguna. Isole come nuovo concetto di dimostrazione urbana, perché Venezia è la sua laguna.
DI GIORGIO E MAURIZIO CROVATO