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Le chat incidono sulle nostre emozioni. Soprattutto quelle lunghe

Le chat incidono sulle nostre emozioni. Soprattutto quelle lunghe

L’analisi del neuroscienziato Gallese: le “piazze virtuali” lasciano strascichi anche una volta spenti i dispositivi elettronici. Rabbia e tristezza corrono in rete

Nel terzo millennio, le “chiacchiere da bar” si sono spostate sul terreno della tecnologia. E, con esse, anche le conseguenti liti che spesso derivano dal confronto tra chi ha opinioni diverse.
Ma la realtà fisica e quella digitale sono molto più vicine di quanto si possa pensare. E non bisogna dunque commettere l’errore di pensare che le conseguenze sulla nostra vita della frequentazione delle “piazze sulla rete” finiscano insieme con il ritorno alla vita reale.
“Non dobbiamo illuderci che, quando spegniamo il telefonino, questo non lasci strascichi emotivi– ricorda il neuroscienziato Vittorio Gallese, che a Firenze, in occasione del 62° congresso della Società delle neuroscienze ospedaliere ha tenuto una lectio magistralis su questi temi  – . Le emozioni sono emozioni, siano esse evocate da una partita di calcio vista allo stadio, da un litigio con la propria moglie o da un confronto sul web. Cioè, in altri termini, quando ci arrabbiamo, ci arrabbiamo. Con tutto quello che ne consegue”.
E per farci arrabbiare a volte basta una chat più lunga del solito.
“Uno studio del 2015 su una chat di commento alle notizie quotidiane – spiega Gallese – ha dimostrato che più gente interviene su un argomento, più sale la temperatura emotiva e la tendenza ad arrabbiarsi”. O a rattristarsi.

Vittorio Gallese, professore ordinario di Psicobiologia all’Università di Parma, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Cognitive Sociali

Lo smartphone: non un semplice elettrodomestico

“Noi – continua – abbiamo una tendenza naturale a considerare la tecnologia digital touch portatile e wireless un elettrodomestico al pari di tv o frigorifero. In realtà, le implicazioni psicologiche dell’uso di questi dispositivi tecnologiche sono molto diverse. Se scelgo di stirare una camicia – esemplifica – il mio rapporto con il dispositivo finisce lì. Già diverso è il discorso quando si vede un film, che ci può accompagnare più a lungo nel racconto e nel confronto con altre persone. Ed è tutt’altro l’ordine di grandezza degli strascichi di telefonini e tablet, il cui uso è molto cospicuo e in crescita costante, soprattutto tra i nativi digitali, ma non solo”.

Chiacchiere moltiplicate al cubo e abbassamento della soglia dell’offesa

Vi è inoltre, fa notare Gallese, una “costellazione di gruppi sociali a mediazione digitale, con cui si discute di argomenti vari. Abbiamo chat di lavoro, sport, amici, ex compagni, genitori di amici dei figli… Sono strumenti che non vanno demonizzati, perché moltiplicano le possibilità di relazione. Ma, contemporaneamente, si moltiplicano al cubo anche le chiacchiere”.
Le chat, poi, hanno una caratteristica: “Spesso, a un commento positivo arriva una risposta di segno opposto. Perché la distanza fisica, per me solo apparente, abbassa notevolmente le soglie delle offese, indipendentemente dal fatto che spesso ci si nasconda dietro l’anonimato o si agisca da provocatore, e rende possibili degli stili di comportamento che non ci sogneremmo mai di adottare nella vita reale”.

chat

La realtà parallela digitale e l’espansione del tempo

Da qui, dunque, deriva un ulteriore aggravio emotivo legato al digitale, come quello della reperibilità h24.
“Il tema dei temi – approfondisce il professore dell’Università di Parma – è il rapporto tra realtà fisica e virtuale. Quest’ultima, al momento, resta un fenomeno di nicchia. Ma si può già parlare di una “realtà parallela digitale” in cui il tempo si espande sempre più”.
Una realtà che, per Vittorio Gallese, è “altrettanto reale di quella fisica, visto che il telefonino è un oggetto e lo stesso cloud consuma il 10% dell’energia globale del pianeta”. “Incontrare amici su zoom – fa notare – è diverso dal farlo in piazza. E anche se le relazioni in presenza si stanno sempre più riducendo, io non le demonizzo ma invito a riflettere se siano realmente “a costo zero””.

Dalla tecnoprotesi all’evoluzione delle relazioni sociali

Ovviamente, la risposta del neuroscienziato è che un impatto c’è. “Il punto successivo – spiega – è quello di usare la scienza per capire questo impatto. Al momento non ci sono dati univoci, per esempio sull’impatto dell’apprendimento su libri digitali piuttosto che cartacei o sulla diversità a livello psicologico di vedere una serie in televisione piuttosto che su un device. Si comincia a studiare sistematicamente questi aspetti, ma si può e si deve fare di più”.
Lo schermo dei moderni dispositivi, per Gallese, è dunque ormai una “tecnoprotesi” a tutti gli effetti. “Prima di stracciarci le vesti contro la tecnologia – conclude – come del resto si fa dai tempi di Platone ritengo quindi opportuno provare a capire se e in che misura la nostra soggettività e la nostra società verranno cambiate da tutto ciò. Il vero problema, oggi, è quello dell’evoluzione delle relazioni sociali: un tema cruciale per capire in che società viviamo. E, in questo, la scienza ci può aiutare”.

Alberto Minazzi

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Tag:  chat, smartphone