Se la “Yolo Generation” o “Yolo Economy” è la nuova tendenza che spinge i giovani a non cercare il posto fisso di lavoro perché “si vive una volta sola”, oggi si affianca un altro fenomeno: quello delle dimissioni.
Una fuga dal lavoro che, secondo i dati del Ministero del Lavoro, è in crescita. Nel secondo trimestre del 2021 si è infatti registrato un aumento del numero di contratti conclusi a causa della decisione di dipendenti di chiudere il rapporto di lavoro.
Su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati, sono state registrate quasi mezzo milione di dimissioni di cui 292 mila da parte di uomini, 191 mila da parte di donne.
Che cosa dicono i numeri del Ministero del Lavoro
Leggendo i numeri del Ministero del Lavoro, in riferimento al secondo trimestre del 2021, sono
2 milioni 587 mila le chiusure dei rapporti lavorativi con +768 mila unità, rispetto allo stesso trimestre del 2020. Di queste, 484 mila per dimissioni dei lavoratori.
Tra le regioni italiane vi è una netta differenza riguardo il tasso di variazione. E’ superiore nel Centro con +69,1%, pari a +275 mila rispetto al Nord che registra +39,3% pari a +298 mila. Nel Mezzogiorno abbiamo un +33,2% pari a +213 mila.
La crescita varia anche a seconda dei settori e il più coinvolto risulta essere sanità/sociale con +44%. Un dato questo strettamente legato alla pandemia, che ha visto gli operatori sanitari impegnati in prima linea nell’emergenza e che hanno preferito rassegnare le dimissioni perché fortemente provati dagli sforzi fisici e psicologici.
Perché sempre più persone lasciano il posto di lavoro?
Negli Usa il significativo e anomalo aumento di chi lascia il lavoro è indicato come “Great Resignation” o “Big Quit”. Un trend in crescita dall’altra parte dell’oceano ma anche in Italia. Quest’anno l’incremento delle dimissioni rispetto al trimestre precedente è stato del 37%.
Se però si confrontano i dati con il secondo trimestre del 2020, la crescita raggiunge addirittura l’85%.
Secondo il dottor Nicolò Giangrande, economista e ricercatore della Fondazione Giuseppe di Vittorio «il fenomeno va monitorato nei prossimi mesi e approfondito in tutte le sue dimensioni. Siamo in un contesto che ancora non può essere definito post pandemico e le dimissioni possono essere state determinate dai più diversi motivi. Ad esempio essere state decise tempo fa e rimandate a causa dell’incertezza generata dalla pandemia, oppure forzate da parte delle imprese che non potevano licenziare o incentivate in vista di una propria riorganizzazione».
Se infatti l’aumento delle dimissioni dovesse essere soltanto temporaneo, potrebbe essere solo la conseguenza di un mercato del lavoro per molti mesi “congelato” dalla crisi legata alla pandemia.
Se invece l’osservazione dei dati nei prossimi mesi dovesse confermarlo e rimanere su livelli alti, potrebbe essere l’effetto di un fenomeno di ricollocamento della forza lavoro. Vale a dire lavoratori che da un settore in crisi scelgono di spostarsi in uno in crescita.
In crescita le attivazioni di contratti di lavoro
Sempre secondo i dati del Ministero del Lavoro, a fronte di una crescita tendenziale delle dimissioni, nel secondo trimestre 2021 si è registrato un aumento del 64,5%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, di attivazioni dei contratti di lavoro che sono risultati pari a 2 milioni 932 mila. Se a questi si aggiungono le trasformazioni a tempo indeterminato – circa 143 mila – il numero complessivo raggiunge 3 milioni 74 mila. Dato in crescita del 61,1%, pari a 1 milione 166 mila attivazioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2020. L’aumento delle attivazioni ha coinvolto in percentuale maggiore il Centro Italia con +90,9%. Seguono il Nord con +67,9% e il Sud con 38,8%.
Silvia Bolognini
Leggi anche:
Yolo Generation : con la pandemia, un nuovo stile di vita – (metropolitano.it)