I risultati dell’ultima indagine dell’Ocse: competenze più basse delle medie europee, che non incidono sulla carriera e poco sulla paga
La laurea, il famoso “pezzo di carta” che i nostri genitori agognavano tanto riuscissimo a conseguire nella prospettiva non solo dell’accrescimento delle nostre competenze, ma anche di un miglior futuro lavorativo, costa indubbiamente tanto impegno e non pochi soldi.
Ma è un investimento che, alla resa dei conti, nel nostro Paese incide assai poco.
Lo sottolineano i dati della più recente Indagine sulle competenze degli adulti svolta dall’Ocse.
Dalla quale emerge che se i nostri diplomati sono in linea con quelli degli altri Paesi presi in considerazione per le capacità di lettura e calcolo, i laureati italiani sono molto al di sotto delle medie.
Una situazione che, si può aggiungere, è in sostanza avallata dal mondo produttivo, visto che un titolo di studio più elevato si traduce concretamente in una paga non di molto superiore e, in prospettiva, non garantisce nessuna opportunità in più di far carriera.
Le competenze di lettura e calcolo degli adulti italiani
Paradossalmente, i dati Ocse testimoniano tra gli italiani un progressivo calo delle competenze tanto maggiore è il livello di preparazione.
Chiariamo subito: i laureati hanno competenze di gran lunga maggiori rispetto a chi si è fermato molto prima negli studi. Ma l’incremento del patrimonio di conoscenze è il più ridotto rispetto alle altre realtà estere.
A parità di titolo di studio con gli adulti di altri Paesi, i nostri adulti che non hanno nemmeno il diploma risultano infatti sopra le medie Ocse sia per la comprensione dei testi scritti che per la capacità di utilizzo di informazioni matematiche e numeriche. Il gap pagato dai laureati è invece pari a 11 punti per la lettura e 17 per il calcolo.
Il difficile rapporto degli italiani con lo studio
Gli italiani, va aggiunto, lasciano la scuola prima del diploma più degli altri studenti europei (10,5% del totale rispetto al 9,5%), con oltretutto una quota più bassa (43,8% contro 47,3%) di chi lo fa avendo già un posto di lavoro, e si iscrivono molto meno all’università (lo fa il 50% dei diplomati, mentre la media Ocse è del 65%).
Inoltre, solo il 53% di chi si iscrive a una laurea triennale completa il percorso di studi (la media Ocse è del 68%, toccando per esempio l’85% nel Regno Unito), con un abbandono tra il primo e il secondo anno pari al 7,3% nei corsi biennali e all’8,2% in quelli a ciclo unico. E anche chi ce la fa, ci mette più tempo: solo il 37% si laurea prima dei 25 anni (in Europa si sale in media al 50%).
Le (poche) conseguenze lavorative
La domanda di fondo che si pongono in molti, del resto, è: “ma chi me lo fa fare?”. Considerazione che si lega, per esempio, al fatto che solo il 27% dei dirigenti italiani è laureato: dato in assoluto più basso a fronte di una media del 50%, con punte dell’84% in Finlandia. E anche a livelli più bassi i compiti effettivamente svolti non richiedono spesso le competenze garantite dal tutolo di studio.
Ne consegue anche che la retribuzione di chi ha competenze basse e quella dei laureati risulta pressoché simile, con il divario di preparazione che risente ai livelli più bassi, rispetto agli altri Paesi, del titolo di studio più elevato. Piuttosto, evidenziano le indagini, la retribuzione più alta (9.590 euro al mese) viene portata a casa da artisti e sportivi. È in questo ambito, pensando che la media europea è di appena 2.643 euro, che l’Italia si guadagna il primato.
Alberto Minazzi