San Giorgio in Alga, isolotto della laguna veneta posto tra la Giudecca e Fusina, non è stato teatro solo di leggende legate ai Templari e al loro mai ritrovato tesoro o a misteriose storie di segregazione e morte come nel caso della nobildonna veneziana affogata nel tentativo di fuggire dall’isola.
San Giorgio in Alga, in tempi molto più recenti, ha fatto da suggestiva cornice anche a una struggente e appassionata storia d’amore: quella tra la giovanissima Leda Beda, allora sedicenne e Antonio Pittalis, un bel marinaio di 22 anni originario della Sardegna.
A raccontare quest’amore nato e cresciuto nell’isola di San Giorgio in Alga è oggi la figlia Marialugia Pittalis.
Quando nell’isola vivevano i soldati
L’isolotto lagunare di appena 1,5 ettari di superficie, negli anni appena antecedenti alla seconda guerra Mondiale aveva funzione militare e ospitava anche un deposito e una batteria antiaerea.
“Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, mio nonno Guglielmo Beda, comandava il forte dell’isola di San Giorgio in Alga – racconta Marialuigia – nel 1939, in questo remoto isolotto della laguna, si sono conosciuti mia mamma Leda, figlia del comandante e mio padre Antonio, che faceva parte di un gruppo di otto marinai della Regia Marina militare italiana, presenti nell’isola insieme a circa 80 militari dell’esercito di terra”.
Guglielmo Beda aveva un difetto fisico, i piedi piatti, e per questo motivo avrebbe potuto evitare non solo il servizio militare ma anche l’arruolamento nell’esercito durante la guerra.
Nonostante ciò, aveva preferito offrirsi volontario ed era partito per le Campagne d’Africa in Abissinia, l’odierna Etiopia ed in Eritrea. Ferito in battaglia e premiato con una medaglia al valore militare, Beda era stato nominato comandante del forte di San Giorgio in Alga, isola già da tempo militarizzata.
Vi giunse nel 1935 e visse in isola per quattro anni insieme con la moglie Maria Benetta e la giovane figlia Leda che crebbe secondo un’educazione di tipo militare.
L’amore di Antonio e Leda
“Da ragazzina mia mamma lucidava i cannoni e, pur non sapendo nuotare, guidava il caicco per recarsi all’Angelo Raffaele, a Venezia, a fare la spesa – ricorda Marialuigia – Nel 1939, a 16 anni, conobbe Antonio, un marinaio di origine sarda, orfano fin da piccolo, cresciuto nel collegio militare.
L’amore sbocciò subito.
Antonio passeggiava nei momenti liberi lungo il muro di ronda mangiando i fiori di glicini e, arrivato vicino alla casetta dove viveva Leda, l’aspettava per una passeggiata.
All’epoca le regole che i fidanzati doveva rispettare erano molto rigide e così durante queste romantiche passeggiate i due innamorati erano “scortati” da mia nonna Maria Benetta che li controllava a vista”.
I bombardamenti, la fuga, la scomparsa…
Ma l’idillio, all’improvviso, venne spezzato.
Antonio Pittalis fu imbarcato sulla torpediniera Pallade, la famosa nave che il 4 agosto del 1943 affondò durante i bombardamenti a tappeto che colpirono la città ed il porto di Napoli, dove la Pallade si trovava. Antonio si salvò e riusci poi a raggiungere Mestre dove nel frattempo la famiglia di Leda si era trasferita dopo aver lasciato l’isola di San Giorgio in Alga.
Per diversi mesi la giovane innamorata non aveva saputo più nulla del suo Antonio e temeva fosse morto. “Immagino la gioia e il sollievo di mia madre e dei suoi genitori quando poterono riabbracciare il marinaio. Lo accolsero in casa come un figlio e lo nascosero dai soldati tedeschi che, all’improvviso, si erano trasformati in nemici dopo che l’Italia, in seguito al crollo del regime fascista, aveva avviato trattative segrete con gli Alleati, firmando poi l’armistizio di Cassibile”, racconta Marialuigia.
L’armistizio e le deportazioni
Quello fu un momento terribile per tutto il Paese, lasciato in balia delle truppe tedesche.
Per l’esercito italiano l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile firmato dal governo Badoglio l’8 settembre del 1943, provocò uno sfacelo: oltre 600.000 uomini vennero deportati nei campi di lavoro in Polonia e in Germania; fra i superstiti, molti fuggirono verso casa, molti altri diedero vita a bande partigiane che animeranno poi la Resistenza.
Dopo essere scampato al bombardamento e al naufragio della Pallade, Antonio, mosso dal forte amore per Leda, riuscì comunque a raggiungere Mestre attraversando, dalla Campania al Veneto, un Paese allo sbando.
Il ritorno all’isola di San Giorgio in Alga e la Madonna
“Poichè era sconveniente per una giovane coppia vivere sotto lo stesso tetto – spiega Marialuigia – Leda ed Antonio si sposarono subito, un anno dopo, nel 1944, è nata la prima figlia, mia sorella Graziella. Nel frattempo mio padre era tornato al fronte e mia madre non seppe più nulla di lui per diversi mesi fino a quando, a guerra finalmente finita, poté riabbracciarlo sano e salvo.
Nel 1952, in tempo di pace, quando per l’Italia cominciava il boom economico, nacqui io. I miei genitori non sono mai più tornati nel luogo dove si erano conosciuti fino ai primi anni’80, quando, tutti insieme facemmo una gita in barca partendo da Fusina. Ricordo ancora che, mentre ci avvicinavamo all’isola, la prima cosa che attirò la nostra attenzione fu la grande statua in marmo raffigurante la Madonna con il Bambino, posta su un angolo del muro di cinta dell’isola.
Sono convinta che la Vergine Maria abbia sempre protetto il loro amore e tutti noi”.
Qualche decennio fa ho visto la statua restaurata all’interno della chiesa di Mazzorbo. Probabilmente c’e’ ancora.