Il settore femminile dell’Umana e la sua importanza nella “famiglia Reyer”
Tra coloro che hanno festeggiato lo scudetto al PalaTrento c’era anche lei: Roberta Meneghel, team manager della prima squadra femminile dell’Umana Reyer. «Non potevo mancare: ci tenevo in maniera particolare ad essere presente in Gara6, perché sapevo che poteva esserci il modo di festeggiare con la “famiglia-Reyer”».
Già, perché non bisogna mai dimenticare che, nel 2006, l’Umana Reyer è ripartita con un progetto all’interno del quale ragazze e ragazzi hanno assolutamente pari dignità. «Questa società dà importanza ai valori dello sport indipendentemente dal genere, ma considerando solo gli atleti e le persone. La Reyer dà la possibilità a bambine e bambini di approcciarsi ad uno sport meraviglioso, che è vita e dà insegnamenti di vita. Ed avere due prime squadre ai vertici dei rispettivi campionati offre un’ulteriore opportunità. Certo, conciliare in una sola società una prima squadra maschile professionistica e una femminile dilettantistica non è facile. All’interno della stessa barca ci sono tanti collaboratori: diciamo che qui sono bravi i “timonieri” a far andare le cose per il meglio».
Nel suo piccolo, anche l’Umana Reyer femminile è ripartita dal basso, ma per sua scelta. Ed è tornata subito ai vertici, più solida di prima. «Quella del patron Brugnaro di decidere di ripartire con la prima squadra femminile dalle serie minori, puntando in particolare sulle ragazze uscite dal nostro settore giovanile, è stata decisamente una scelta coraggiosa, ma giusta, perché ci ha fatto costruire una mentalità nuova, che oggi credo si veda alle nostre partite. Uno “spirito Reyer” che in campo non facciamo mai mancare riuscendo anche, credo, a trasmetterlo a chi ci segue».
Ecco allora i (tanti) successi e scudetti giovanili. «Il settore giovanile femminile è il nostro vanto, a partire dal reclutamento e passando per le tante ore di allenamento in palestra che fanno le nostre ragazze», sottolinea Meneghel. E un sogno: «Lo scudetto dei ragazzi, poco ma sicuro, ci dà ancor più voglia di vincerlo anche noi! Non parlerei di competizione, perché siamo le prime a gioire dei loro successi, come loro dei nostri. È invece certamente uno stimolo in più per far bene e cercare di emulare quanto hanno fatto loro. Noi siamo una squadra di base umile, ma al tempo stesso ambiziosa. La vittoria della prima squadra maschile, poi, ci ha confermato che costruendo un buon gruppo e lavorando sodo in palestra, tutto è possibile. Rubando uno slogan al patron Brugnaro, diciamo insomma che lo scudetto “non succede, ma se succede…”».
Liberalotto e De Zotti: il coach e lo storico dirigente
Tre anni nelle giovanili, altrettanti da assistente, poi il grande salto: dall’estate 2011, Andrea Liberalotto è l’head coach dell’Umana Reyer femminile che, dopo la coraggiosa scelta di rinunciare all’A1 e ripartire con le giovani del vivaio dalle serie inferiori, è tornata a essere una delle società-traino del movimento cestistico femminile italiano. «Ricordo benissimo i giorni della scelta del presidente Brugnaro – racconta Liberalotto – una scelta dettata da motivi non tanto economici, quanto legata a quei valori che tanto piacciono al patron e a tutti quelli che credono in questo progetto, ma che si stavano perdendo. Abbiamo quindi cercato delle giocatrici che sapevano cos’è la Reyer e avevano voglia di emergere. Abbiamo così rinsaldato l’unità della società e siamo riusciti a risalire nella serie che ci competeva nel più breve tempo possibile. Credo che quella compiuta dai ragazzi sia quasi un’impresa, ma al tempo stesso un successo figlio della programmazione e della bravura di tutte le componenti. Noi cercheremo di emularli, pur sapendo che ogni stagione fa storia a se. Ma l’insegnamento che ci arriva dalla Reyer maschile è che bisogna essere pronti a cogliere il momento giusto e le opportunità».
Lo scudetto della Reyer maschile è partito… dalla Reyer femminile. Luigi Brugnaro, infatti, si è avvicinato al mondo del basket come sponsor proprio della “metà rosa” del mondo orogranata. «Possiamo dire che all’inizio – ricorda Paolo De Zotti, da quasi cinquant’anni dirigente del basket femminile veneziano – Brugnaro, attraverso la sponsorizzazione, ci ha “studiato” e ha capito come eravamo organizzati. Poi, nel 2006, con l’avvio del nuovo progetto complessivo, le cose sono cambiate in maniera radicale, perché il patron ha inserito i sistemi di un’azienda nella gestione dell’evento sportivo, dai contratti a tutto il resto. Dal punto di vista della struttura, è stata una rivoluzione epocale».
De Zotti ha veramente vissuto tutte le fasi del basket femminile di vertice: tra i fondatori, nel 1968, del Favaro, diventato Basket femminile Venezia nel 1994 e poi Reyer nel 1998 (affittando per una cifra simbolica il marchio dal curatore fallimentare Pizzigati), è ancora oggi l’anima dell’Umana Reyer femminile, realtà consolidata ai vertici del basket nazionale. «Per me la Reyer ha sempre rappresentato un qualcosa di importante, di storico, di straordinario, che ha fatto sognare tante persone in tanti anni. È un mito e poter far parte della continuazione di questa storia è una grande sensazione. Se lo scudetto della prima squadra è arrivato “al maschile”, il primo trionfo “senior” del progetto Umana Reyer è stata la Coppa Italia femminile. Un epilogo straordinario: l’emozione del ricordo di Mary Andrade che si ferma a centrocampo a braccia alte, con la palla della vittoria in mano, mi rimarrà per sempre. Adesso, il tricolore dei ragazzi potrà aiutare anche il settore femminile orogranata. Questo è già iniziato a succedere».