Il Pedagogista Francesco Tonucci: “La buona scuola è quella che offre a ciascun alunno la possibilità di sviluppare le proprie capacità individuali”
Dal ritorno ai giudizi più comprensibili sulle pagelle delle elementari alla stretta sui cellulari che comporterà la limitazione del loro uso nelle scuole “dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado” e all’uso solo per scopi didattici del tablet nelle scuole primarie.
Sono le nuove linee guida che stanno prendendo corpo in questi giorni e che saranno applicate dall’anno scolastico 2024-2025.
Segnali di un sistema scolastico che guarda a una nuova didattica e a nuove forme di apprendimento.
Basteranno a fare della scuola una nuova scuola e una scuola migliore?
Lo abbiamo chiesto a uno dei più riconosciuti specialisti dell’educazione, il pedagogista Francesco Tonucci.
Autore di numerose pubblicazioni, tradotte in diverse lingue, sull’infanzia, l’educazione e la formazione dei docenti, sui quali ha anche realizzato vignette e illustrazioni con lo pseudonimo di “Frato“, responsabile del Laboratorio di Psicologia della Partecipazione infantile dell’ Istc-Cnr, insignito di nomine di “Dottore honoris causa” da parte di numerose università nel mondo, della medaglia d’oro al merito educativo (2011) e del Premio Unicef (2019), è anche il creatore del progetto internazionale “La Città dei Bambini”.
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Dott.Tonucci, come dovrebbe essere una buona scuola?
“Una premessa è fondamentale. Il diritto a studiare dovrebbe essere il diritto ad avere un buon maestro. E se sembra una cosa scontata per nulla invece lo è. Riguardo al ritorno dei giudizi di una volta perché siano più comprensibili, mi soffermerei soprattutto a riflettere sulla vera questione che ritengo piuttosto che sul come, sarebbe fondamentale si concentrasse su cosa si valuta e chi valuta. Una lettera che il grande insegnante, pedagogista e scrittore italiano Mario Lodi, esponente del Movimento di cooperazione educativa ha scritto ai genitori di alcuni alunni nel 1973 sintetizza il mio pensiero. Lodi spiegava che i ragazzi sono tutti intelligenti e hanno capacità di apprendimento e dunque sono tutti da promuovere, altrimenti la colpa è del maestro. La vera questione oggi è dunque quale sia l’obiettivo della scuola e dell’educazione”.
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Quindi che direzione si dovrebbe seguire?
“L’articolo 29 della Convenzione sui Diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989 a New York ed entrata in vigore il 2 settembre 1990 e che rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia, dice che hanno diritto a un’educazione che sviluppi le loro personalità, capacità, attitudini in tutta la loro potenzialità. Questo avviene attraverso due punti chiave di riferimento che sono la famiglia e, appunto, la scuola. Oggi a scuola i bambini si annoiano perché il modello proposto non è abbastanza capace di sviluppare le capacità e gli interessi che sono diversi da studente a studente. Una buona scuola è quella che sa fare ciò che dice la legge sull’educazione, che offre a ciascuno degli alunni la possibilità di sviluppare le sue capacità individuali. Se poi guardiamo al numero di ore in cui i bambini sono a scuola e tenendo anche conto di quello che dovrebbe essere il loro tempo libero da dedicare al gioco, occupato invece per fare i compiti, i risultati dovrebbero essere eccellenti. Invece non è così e questa è una spia di qualcosa che non funziona”.
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Che voto darebbe al modello scolastico attuale?
“Non la sufficienza, pur nella consapevolezza che i bravi maestri ci sono. L’attuale modello è quello di una scuola “trasmissiva” che non favorisce lo sviluppo della personalità di ciascun alunno. Un’educazione che trasmettendo conoscenze mira alla sufficienza, è triste perché deve guardare all’eccellenza e l’eccellenza è ciascuno nel suo.
L’azione educativa deve perciò iniziare dalle motivazioni degli alunni per far emergere le vocazioni nei vari ambiti, approfondirle. Quando i bambini arrivano a scuola a sei anni sanno già esprimersi, disegnare, muoversi, hanno una loro individualità. Purtroppo però il modello attuale di educazione poi continua ad andare avanti come scuola della lingua e della matematica senza che negli anni faccia emergere i valori di ogni singolo studente. I bambini poi che non sono supportati dalle famiglie sono maggiormente esposti all’abbandono scolastico”.
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Venendo al suo progetto “Città dei bambini”, come sta proseguendo?
“La risposta è buona, attualmente è arrivato a coinvolgere 200 città in molti Paesi: Italia, Spagna, Svizzera, Francia, Portogallo, Argentina, Uruguay, Cile, Messico, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Libano. Si tratta di un progetto politico, rivolto ai sindaci, che ha per protagonisti i bambini in età tra 8 e 10 anni. Il loro punto di vista, quali partecipanti attivi alla della città, diventa fondamentale nella consapevolezza che se una città è buona per i bambini, lo sarà anche per tutte le categorie di cittadini. L’obiettivo di “Città dei Bambini” è di metterli al centro delle decisioni politiche delle città ascoltandoli, chiedendo loro proposte per aiutare a scoprire cosa non va dal loro punto di vista e rendere migliori i luoghi dove viviamo”.
Silvia Bolognini
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