Il fuoco, per ora, non rallenta, in Sardegna. Sono già oltre 20 mila, soprattutto nell’Oristanese, gli ettari bruciati nell’incendio partito venerdì 23 luglio da un’auto in fiamme dopo un incidente. E più di 1.500 le persone evacuate a causa del rogo, che ha trovato terreno fertile nella vegetazione riarsa e nelle condizioni prolungate di forte vento.
Meno incendi, ma più aggressivi
L’estate 2021, con tragici incendi in ogni parte del mondo, ha dunque ribadito la tendenza che ha interessato negli ultimi anni l’Italia così come il resto dell’area mediterranea. «Dal 2000 – ammette Giorgio Vacchiano, ricercatore in Gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano – il numero di incendi in realtà è diminuito. Il problema è che si sono fatti più intensi e più aggressivi. E ricordo l’indicatore più utile, per valutarne la pericolosità, non è il numero di eventi, ma l’area percorsa dalle fiamme. In tal senso, va detto che sono aumentate le annate estreme». Un cambiamento del clima testimoniato anche dagli esempi delle scorse settimane, con le temperature estreme in Canada e le alluvioni in Germania.
L’evoluzione degli incendi negli anni
Nello specifico, spiega Vacchiano, se il 2018, il 2019 e il 2020 avevano registrato relativamente pochi eventi importanti, il 2021 rischia di attestarsi sui livelli del 2017, quando la media nazionale fu raddoppiata. «E questo è un chiaro segnale di cambiamento climatico». Il rapporto di Greenpeace dello scorso anno aveva evidenziato che, dal 2000 al 2017, le aree interessate da incendi nel bacino del Mediterraneo sono state 8,5 milioni di ettari, pari a 3,5 volte la superficie della Sardegna, con una media di 107 mila ettari annui bruciati in Italia negli ultimi 40 anni, quando pure i roghi sono numericamente diminuiti. Tra gli eventi più drammatici, quelli del Parco del Vesuvio del 2007 e in Val di Susa nel 2017.
Gli incendi: come si affrontano
In Sardegna, in queste ore, sono attive circa 7.500 persone, organizzate in 10 squadre e 57 unità operative a terra, con il supporto di 5 velivoli canadair. Altri 4 in arrivo in queste ore da Francia e Grecia. «Un incendio – sottolinea il ricercatore – a fine intervento si spegne sempre da terra. I mezzi aerei fungono solo da supporto, rallentando le fiamme e permettendo alle squadre di avvicinarsi, nel rispetto dei limiti di sicurezza, quando cioè le fiamme si fanno troppo intense e veloci. Se si supera una certa intensità, diventa impossibile spegnerle o controllarle. In questo caso, a favorire la propagazione dell’incendio hanno contribuito l’ondata di siccità e lo scirocco prolungato».
Sardegna: gli ultimi aggiornamenti
Ancora oggi (26 luglio ndr), la Protezione Civile della Sardegna ha emesso un nuovo bollettino di allerta. Il preallarme per alta pericolosità interessa tutto l’Oristanese, il Montiferru, la Planargia e parte del Nuorese.
Dalla Gallura al Campidano di Cagliari, fino al Sulcis, il codice è invece arancione con attenzione rinforzata.
Il timore, per gli sviluppi meteo, è legato soprattutto all’arrivo del vento di maestrale. Una stima dei danni, intanto, ancora non è possibile, ma la Giunta regionale ha approvato lo stato di emergenza e il presidente della Sardegna, Christian Solinas, ha annunciato che scriverà al premier Draghi chiedendo un sostegno economico immediato per i ristori.
Le cause degli incendi
Il rogo di Oristano non ha origine dolosa. Tuttavia «in Italia – quantifica Vacchiano – il 95% degli incendi non ha cause naturali, ma si verifica per disattenzione o per intenti criminosi. Quel che preoccupa non è però l’innesco, ma la propagazione. Una volta che l’incendio è partito, si propaga cioè più velocemente e in maniera più intensa quando la vegetazione è secca a causa della siccità e quando le condizioni di vento sono favorevoli al fuoco».
Incendi: cosa si può fare per prevenirli
In questo quadro, un ruolo importante lo giocano così anche i cambiamenti climatici, con l’innalzamento della temperatura media e l’aumento di eventi estremi.
«Una prima strategia di prevenzione – suggerisce l’esperto di Gestione e pianificazione forestale – è quella di agire sulle cause profonde di questi cambiamenti. A livello locale, si può invece pensare a una gestione della vegetazione per renderla più possibile “impermeabile” al fuoco, ostacolandone la propagazione con piste tagliafuoco. Nei boschi, invece, andrebbero lasciati a terra meno residui possibili, tra legna secca e arbusti. C’è comunque soglia oltre la quale anche tali accorgimenti diventano poco efficaci. Se l’incendio supera i 20 metri d’altezza, i tizzoni sono infatti in grado di scavalcare le piste tagliafuoco e una volta che le fiamme sono partite c’è poco da fare».
Una strategia diversa
Vacchiano suggerisce infine una ulteriore riflessione, relativa alle zone in cui si concentrano le attività umane. «Sono – illustra – le stesse logiche da applicare nei confronti del rischio idrogeologico. Succede infatti che, come dimostrato dai fatti della Germania, zone non considerate a rischio possano diventarlo. Proprio in Canada è stato ideato l’approccio delle “fire smart communities”: la previsione di una serie di raccomandazioni preventive per chi abita in zone che potrebbero diventare rischiose. Ad esempio, si suggerisce di lasciare uno spazio libero da alberi e piante di almeno 30 metri attorno alle case. Ma sono molti gli interventi possibili laddove la sicurezza è una priorità assoluta».
Alberto Minazzi