Il reportage del The Guardian: correte ai ripari. Adami: “C’è una grande attenzione, moltissime aziende del nostro Consorzio sono certificate SQNPI”
«Oro verde? Direi piuttosto giallo paglierino scarico con riflessi verdognoli» scherza Franco Adami da pochi giorni a capo del Consorzio Prosecco Conegliano-Valdobbiadene Docg. E continua «Però, capisco perché lo si possa chiamare oro verde: è la sensazione magica, quasi un ricamo, data dalle cordonate di vigneti sulle colline diventate patrimonio dell’umanità».
Un delicato e storico ricamo finito in un recente reportage dell’autorevole quotidiano britannico “The Guardian”.
Il Prosecco, e nella fattispecie proprio il Conegliano-Valdobbiadene, ovvero la produzione più nobile (8.653 ettari totali), assieme all’Asolo Montello, è minacciato dagli effetti del cambiamento climatico già accanitosi proprio su quelle colline certificate dall’Unesco.
Inaridimento, erosione e saturazione delle terre, smottamenti e frane, allarme anche delle amministrazioni locali da Valdobbiadene a Guia a Farra di Soligo (15 i comuni compresi nella Docg). E c’è fermento tra alcuni gruppi locali per la continua espansione dei filari che si appropriano di terreni.
Correte ai ripari, invita il giornale d’Oltremanica, se volete preservare questo prodotto e dimostrare che lo si vuole davvero tutelare come da mission del Consorzio.
Adami però non si lascia travolgere dall’onda lunga innescata da quell’articolo e replica.
«In realtà, dobbiamo aiutare quegli eroici produttori che lavorano su quei vigneti, difficili, ripidi, le cosiddette rive. Tutti amano fotografarli e ammirarli ma pochi hanno il coraggio di dedicarsi e impegnarsi in quel lavoro. Se non ci fossero questi produttori, questo territorio non sarebbe ugualmente suggestivo e prezioso e non sarebbe certamente patrimonio Unesco».
Detto questo, il presidente del Conegliano-Valdobbiadene riconosce la minaccia rappresentata dal climate change, con eventi severi sempre più frequenti e intensi.
«Il Consorzio, i singoli produttori, sono già mobilitati, su più fronti. Uno è il passaggio generazionale che significa anche nuove sensibilità, nuovi approcci alla lavorazione con maggiore e migliorata attenzione al fattore climatico, ovvero non solo quella dettata dalla saggezza ed esperienza della tradizione».
Già, però qui non è solo questione di trasferimento di questo “sapere” dai padri ai figli, è in gioco un’intera economia, ovvero un territorio, una comunità con o senza il timbro Unesco.
«Infatti. Quando si verificano eventi estremi, come abbiamo avuto anche in queste settimane, quei vigneti sono compromessi per due, forse tre anni. Dobbiamo fare i conti con fenomeni e danni non più episodici. E la loro frequenza rischia effettivamente di cambiare gli scenari per il Prosecco Conegliano-Valdobbiadene».
Oro verde in pericolo? Colline del Prosecco minacciate? Basta selfie tra filari e video su Tik-Tok da mandare agli amici a Tucson o Lubecca?
«Voglio rassicurare anche i lettori del Guardian -precisa Adami-: sono ormai moltissime le aziende di produzione del nostro Consorzio certificate SQNPI (Sistema di qualità nazionale produzione integrata che fa capo al Ministero dell’Agricoltura, ndr). Una certificazione su tracciamento delle varie fasi di lavorazione che possono comportare rischi e sull’utilizzo di metodi, sistemi e prodotti necessari in modo consapevole e praticamente a impatto zero».
Adami: “C’è un grande impegno su questo versante”
Non è sempre stato così, il Prosecco di oggi viene da un passato in cui tale attenzione era scarsa, molto scarsa.
Poi è diventato “oro” con un boom di produzione e, infine, a protestare sono state le popolazioni locali. Insomma a Firenze a Roma a Venezia si bevevano “prosecchini” a ruota libera (peraltro senza conoscere etichette e tipologie) ma sulle colline letteralmente si preparava il terreno favorevole a conseguenze sempre più gravi dovute al cambiamento climatico.
«Storicamente sì. Molti anni fa i trattamenti erano pressoché solo a calendario e con metodi e prodotti molto più nocivi per l’ambiente. Oggi la mentalità è diversa, come presidente del Consorzio posso garantire esserci grande impegno su questo versante».
Verso una nuova viticoltura sostenibile
Innovazione e know-how. Le parole di Adami fotografano un “nuovo” Prosecco sostenibile capace di coniugare (in primis con il protocollo viticolo) attenzione all’ambiente e necessità di produrre. E l’obiettivo è molto ambizioso: «Vogliamo diventare vero Distretto sostenibile di produttori viticoli. Ci vorrà del tempo ma è un buon percorso e Il Consorzio Conegliano-Valdobbiadene non è solo».
Ad affiancarlo è il mondo della ricerca che vuol dire anche l’Università di Padova o il Centro ricerche agricole di Conegliano e Veneto Agricoltura, modelli e strumenti d’indagine 4.0.
«Ma attenzione -avverte Adami- il concetto di sostenibilità non riguarda solo il Prosecco, è tutta la viticoltura, forse sottoposta a stress atmosferici più di altre produzioni agricole, a dovere fare i conti con le problematiche ambientali. Non solo qui sulle colline patrimonio Unesco e non solo il Conegliano-Valdobbiadene, come peraltro ricorda lo stesso The Guardian».
La coscienza ecologica è già la nuova frontiera
Adami immagina il Consorzio Docg casa comune per tutte le varie realtà che ne fanno parte –viticoltori (circa 3.300), vinificatori, cantine– con la prospettiva di diventare vero Distretto. Che porta in dote oltre 92 milioni di bottiglie (il 98% è spumate) per un valore (2023) di quasi 600 milioni di euro.
Con più di 7.000 addetti diretti compresi i 293 enologi, un po’ i maghi della vite. Eppure, non è solo questione di numeri e di contributo al Pil del Veneto.
«Il Prosecco è un vino moderno. Piace, è attuale, sa comunicare. Moderno anche perché ha sposato con convinzione l’impegno di difesa dell’ambiente e del territorio, il che comporta pure sapere rinunciare a qualcosa. È sicuramente un vino per socializzare, ma sa essere anche social e la coscienza ecologica, non il semplice e facile green washing, oggi è davvero una discriminante per questo territorio e per mercati e consumatori moderni e consapevoli».
Agostino Buda