A Venezia la prima tappa italiana dell’esposizione promossa dal più grande archivio al mondo sulla deportazione nazista
Raccontare una triste pagina di storia può ricondurre le famiglie ai propri cari. Può cancellare decenni di totale assenza anche di un solo ricordo che non sia quello custodito dal cuore. Quanti oggetti dei deportati sono rimasti nei lager nazisti? Ognuno di questi racconta un piccolo pezzo di storia, restituisce un’immagine e ridona in qualche modo vita alla persona cui è appartenuto. Al loro arrivo nei campi di concentramento, la ferocia nazista requisiva ogni effetto personale ai prigionieri. Oggi, a quelle vittime umane private dell’ identità e destinate a diventare numeri, un’insolita mostra rende giustizia.
Dall’archivio più grande del mondo sulla persecuzione nazista arriva a Venezia (Ca’ Foscari, San Sebastiano, fino al 7 febbraio 2020) “La Memoria rubata”.
La mostra che vuole restituire ai familiari delle vittime ancora in vita almeno un ricordo dei loro cari.
Dall’associazione Arolsen Archives – International Center on Nazi Persecution è infatti partita nel 2016 la campagna #StolenMemory, grazie alla quale sono state trovate già centinaia di famiglie.
Quando gli oggetti diventano identità
“La Memoria rubata” è una mostra fotografica. La maggior parte degli oggetti sequestrati ai prigionieri sono stati distrutti, persi o rubati. Ma tremila pezzi sono ancora conservati a Bad Arolsen, in Germania. Lì dove oggi si trova l’archivio più grande del mondo sulla persecuzione nazista. Fedi nuziali, documenti, lettere, carte d’identità, monete, penne e orologi. Perfino alcune pagelle scolastiche, come quella del piccolo Waldemar Rowinki, deportato polacco.
Stolen Memory, Memoria rubata
La mostra ripercorre storie di vita non vissuta, ridisegna la topografia del terrore anche nei nostri territori, dove sono stati ben 31 i campi di concentramento e di smistamento istituiti dalla Repubblica Sociale Italiana a livello provinciale. Questo erano il campo di Vo’ Vecchio, a Padova (nella seicentesca villa Contarini-Venier) o il campo di Tonezza del Cimone, a Vicenza, nella colonia Alpina Umberto I. Solo due esempi delle tappe dell’orrore del genocidio nazista.
Gli oggetti fotografati che si trovano in mostra provengono per lo più dal campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo e da quello di Dachau.
Effetti personali che le vittime, provenienti da 30 paesi, soprattutto dalla Polonia e dai paesi dell’Ex Unione Sovietica, avevano con sé al momento del loro arresto.
Oggetti dal valore inestimabile per le famiglie, nella maggior parte dei casi le ultime tracce rimaste delle vittime dell’olocausto.
Il percorso espositivo è arricchito da pannelli che illustrano lo scenario dei campi di concentramento in Italia e i comuni in Veneto in cui gli Ebrei vennero internati tra il 1940 e il 1945. Un lavoro realizzato da Iveser con gli studenti e le studentesse di Cà Foscari – che hanno anche curato la traduzione dei testi dall’inglese all’italiano e in altre dieci lingue – e alcuni dell’Istituto Benedetti – Tommaseo.