Il ricordo di Luigi Baldan, ultimo internato miranese in Polonia, scomparso a 99 anni
In piena Seconda Guerra Mondiale si prese cura di un gruppo di ragazze ebree conosciute nel suo stesso campo di concentramento e le salvò dal massacro nazista. Nel 2006, oltre sessant’anni dopo la drammatica esperienza nel lager, Luigi Baldan riuscì a mettersi in contatto epistolare con alcune di loro: erano ormai anziane nonne segnate dalla vita, vivevano in Israele ma non avevano mai dimenticato quell’eroe italiano.
Il “Cavaliere della Repubblica” Luigi Baldan, originario di Dolo ma miranese d’adozione, è morto lo scorso 3 febbraio, a 99 anni. Non è riuscito a spegnere le 100 candeline, ma continua ad emozionare chiunque si imbatta tra i toccanti aneddoti della sua storia. Il suo libro “Lotta per sopravvivere. La mia resistenza non armata contro il nazifascismo”, pubblicato da Cafoscarina nel 2007, è appena stato tradotto in lingua francese. Ci ha pensato la figlia di una donna ebrea deportata nel lager polacco di Sackisch Kudowa, lo stesso dove era prigioniero Luigi. Perché l’eco dei suoi racconti si è esteso in tutta la penisola e anche ben oltre i confini nazionali.
Luigi Baldan apparteneva all’ultima generazione che ha vissuto da protagonista la Seconda Guerra Mondiale. Era un marinaio motorista della Marina Militare quando, nel 1943, venne catturato dai tedeschi, caricato su un carro bestiame e costretto a passare due anni di fame e di massacrante lavoro nei lager nazisti, sfruttato nella produzione dei pezzi meccanici per gli aerei tedeschi. Prima a Bad Orb e poi a Francoforte sul Meno in Germania e infine a Sackisch Kudowa in Polonia. Un’esperienza che Luigi affrontò con tenacia e coraggio, perché lui le atrocità della vita le aveva già conosciute, quando perse il padre all’età di 12 anni e quando poi, durante la guerra, morì anche la madre mentre lui era nei Balcani con la Regia Marina Militare.
Durante il massacrante lavoro nelle fabbriche belliche, Baldan respinse continuamente l’invito ad aderire al nazifascismo. La sua fu un’audace lotta quotidiana per sopravvivere, con tutti gli espedienti possibili, sabotando anche la produzione bellica tedesca e creando nei campi una rete clandestina di informazioni e amicizie tra i prigionieri di varie nazionalità.
In questa drammatica situazione riuscì a donare solidarietà e amore verso chi soffriva più di lui: rischiando la propria vita, aiutò e sfamò, con le poche risorse alimentari trovate, le ragazze ebree del campo di lavoro polacco.
Terminata la guerra e rientrato a Mirano, Baldan non ha mai spesso di raccontare la propria storia. Nel 2010, all’Università Ca’ Foscari di Venezia è stata perfino discussa una tesi di laurea che narra la sua vita. Il suo libro, ben prima di essere tradotto in francese, era già stato tradotto in inglese e in cecoslovacco: alcune copie sono depositate allo Yad Vashem (ente per la commemorazione della Shoah) di Gerusalemme in Israele, al museo di Storia dell’Olocausto di Washington e al Museo del Lager di Gross Rosen – Rogoznica in Polonia.
Ora a tenere in vita il ricordo del padre c’è soprattutto il figlio Sandro, miranese doc, che ha recentemente visitato i luoghi dove Luigi era stato prigioniero e schiavo di Hitler. «Papà amava molto ricordare il fatto che, durante la guerra, durante la prigionia e appena scappato dal lager, ha avuto più volte occasione per uccidere persone che l’hanno affrontato e lui non l’ha mai fatto, rischiando ancora di più la sua vita», ricorda oggi Sandro. «Era orgoglioso di non aver ammazzato altri uomini. La sua solidarietà verso le ragazze ebree prigioniere nel campo di lavoro nazista è nata veramente dal suo cuore. Avrebbe potuto pensare a se stesso, visto che stava male, ma ha preferito aiutare il prossimo». A chi, mezzo secolo dopo, gli domandò dove trovò la forza per pensare prima di tutto a mettere in salvo quelle ragazze, Luigi rispose: «Cristiane o ebree, non cambiava nulla. Il cuore mi diceva: aiutale, se puoi».
Ha realizzato tanti sogni, Luigi. Ma ne è rimasto ancora uno: desiderava fortemente che il suo libro diventasse la sceneggiatura di un film, per continuare a trasmettere ai ragazzi i suoi valori e i significati di certi gesti. Ci sarebbe ancora tempo: il figlio ha conservato tutto, comprese quelle lettere scritte a mano ricevute dalle ragazze ebree. Con una grafia tremolante, ma un’emozione purissima.