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La fotografia evocativa di Luca Campigotto a Cortina

La fotografia evocativa di Luca Campigotto a Cortina
Il fotografo veneziano al lavoro per un progetto fotografico in montagna

I Teatri di guerra, il silenzio delle montagne e le urla silenziose di chi vi andò a combattere.
La Storia nelle immagini

Voleva fare cinema e invece si laureò in Storia (tesi sulla letteratura di viaggio, un segnale).
Mentre preparava la tesi, s’innamorò della fotografia. E per non farsi mancare nulla si è ritrovato a fotografare la Storia.
Per effetto di una telefonata. Da Palazzo Chigi.
Era la Presidenza del Consiglio di allora, era il 2013, e lui, Luca Campigotto, instancabile giramondo e fotografo veneziano, era stato chiamato per “ricordare” i luoghi delle epiche battaglie di montagna della Grande Guerra.
Dall’Adamello al Tonale, dall’Altopiano di Asiago all’Ortigara alla Marmolada al Monte Grappa e poi ancora verso est i contrafforti del Carso e in Slovenia.
Ne nacque un libro, l’unico libro fotografico ufficiale a cura del Comitato per il Centenario Prima Guerra Mondiale 1914-2018.

 

E oggi è (in selezione) la mostra che Campigotto ha appena aperto alla Galleria Farsettiarte di Cortina d’Ampezzo. Località che è storia essa stessa.
La regina delle Dolomiti è in fermento per le sue seconde Olimpiadi invernali (dopo quelle tutte ampezzane del 1956) anche se in condominio con Milano, ma nel 1914 era terra di confine, anzi era proprio imperialregia. Altro che Savoia, qui comandava Vienna.
Ergo, la mostraTeatri di Guerra”, che nel 2014 fu allestita al Museo del Vittoriano inaugurata da Giorgio Napolitano, al tempo Presidente della Repubblica, ora sta qui.
Le foto di Campigotto vogliono essere un monito: non c’è solo il silenzio delle montagne, “urla” anche il silenzio di coloro che su quelle cime andarono a combattere, a battersi, a morire o se fortunati a rivedere che “torneranno i prati”.
È lo stesso Campigotto a citare l’ultimo film di Ermanno Olmi, realizzato anch’esso nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra.

Viaggi e scenari, la passione di Campigotto. Eppure, quel progetto, quel libro e oggi la mostra rappresentano un viaggio diverso, inedito per lui che ci ha abituati ai suoi sguardi sulle megalopoli cinesi o ai paesaggi dalla spaziale architettura della Monument Valley tra Arizona e Utah o alla Venezia notturna.
«Però questa mostra di Cortina non si discosta da quello che ho sempre fatto e la considero in linea con il mio sentire perché mi ha permesso di coniugare l’amore per
questi grandi paesaggi naturali, selvaggi e durissimi, con l’amore per la Storia. Monti, strapiombi, trincee, fortificazioni che sono musei a cielo aperto. Incredibile che ancora dopo più di cento anni questa continui ad essere una scenografia della storia. Abbandonata e che pochi vanno a vedere. Io ci sono andato portandomi macchina e cavalletto a scoprire e fotografare resti arruginiti di filo spinato, ancora qualche scarpone chiodato, bossoli. Sì se ne trovano ancora. E il dolore e la ferocia della guerra. E io che pure amo e frequento la montagna, ero preso da questi scenari e da ciò che essi raccontano. A chi vuole ascoltarli».

Campigotto
Luca Campigotto con i suoi Teatri di Guerra

Centinaia di scatti su un ideale arco di oltre 600 chilometri dalle Alpi centro-orientali fino a dove esse finiscono.
Quasi come un alpino: nove chili fra attrezzatura fotografica e sistemi di ancoraggio e sicurezza, camminando e inerpicandosi in estate per due mesi di lavoro con un pensiero che lo inseguiva: confrontarsi con le foto d’epoca, gli originali «Tutti le conosciamo: sono foto commoventi, evocative. Meravigliose. Non potevo gareggiare con
quelle immagini, ho fatto il mio. E anche per questo progetto sono molto debitore alla bellezza del paesaggio. Anche qui ho trovato tanta evidenza poetica e così tanta tensione del luogo da sentirmi quasi un suggeritore. Indico con l’immagine quello che c’è da vedere, da vivere e che vale la pena di ricordare».

Un atteggiamento coerente anche per la sua Venezia, alla quale Campigotto ha dedicato cinque libri, a cominciare dal rarissimo Venetia Obscura.
«È un posto unico e incredibile ma  rappresenta anche una sfida infinita in quanto lo ritengo il luogo più difficile da fotografare benchè forse il più fotografato e iconico. Venezia è così ricca di dettagli, sfumature e suggestioni da moltiplicare le interpretazioni dell’obiettivo».

Luca Campigotto studia un’inquadratura per Teatri di Guerra

E la notte è un momento ideale per osservarla. Campigotto, che ama lavorare da solo e in libertà, sceglie spesso le ore notturne proprio perché la città si offre nella sua intimità e nella sua delicata potenza, che poi è il filone della fotografia notturna urbana (influenzata da forti suggestioni cinematografiche, confessa l’autore).
«L’ho fotografata nel silenzio e nel vuoto notturno e l’ho fotografata vuota durante il lockdown. Due realtà diverse. Percepivo che i due silenzi, i due vuoti non erano affatto gli stessi. Anche questo regala Venezia, vero teatro della Storia dove chi ancora vi risiede ha il privilegio di vivere negli stessi luoghi di cinque secoli fa. È proprio così che nacque Venetia Obscura».

Ma ammette che ora gli piacerebbe allargarsi alla “Greater Venice” e fotografare il Lido, Mestre, la cintura di terraferma, la laguna.
«Immagino sarebbe un lungo lavoro per muoversi e guardare tutte queste varie anime veneziane, al netto della Marghera industriale con i suoi stabilimenti e le sue architetture che per me è sempre stata una vera palestra fotografica».
Venezia, i paesaggi, le grandi città, i Teatri di Guerra per Luca Campigotto, dietro l’obiettivo ormai da più di 35 anni, l’importante «è che la foto sia evocativa al di là del momento documentario, deve far venire in mente qualcos’altro. Chi guarda quelle fotografie dovrebbe riuscire un po’ a perdersi dentro quella visione e fare un proprio percorso immaginifico. No, non mi considero un fotografo documentarista, mai stato commerciale del resto. Sono fotografo per passione, sempre fatto quello che mi piaceva e a piacermi sono gli spazi e la tipologia dei luoghi». E per quanto Campigotto si definisca un autodidatta, non nega di avere avuto un “maestro” in Gabriele Basilico, il più importante fotografo di paesaggi italiano «Da lui ho imparato l’approccio lento, meditativo e soprattutto l’impostare il lavoro per focus, progetti e libri. Esattamente come per questi “Teatri di Guerra”».

Agostino Buda

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Tag:  fotografia