È questo l’ingrediente speciale dei Dolci di Giotto: dolci creati dai detenuti del carcere di Padova. Attività di recupero e reinserimento analoga è svolta anche a Venezia da Rio Terà dei Pensieri che in carcere produce verdura, cosmesi ed accessori, occupandosi anche di serigrafia e pelletteria
C’è un ingrediente nei dolci sfornati dalla pasticceria del carcere Due Palazzi che fa la differenza. Assieme all’acqua, alla farina, alle uova, c’è la dignità recuperata. I detenuti impastano panettoni e colombe, secondo le ricette di maestri pasticceri come Lorenzo Pillon del Caffè Pedrocchi, e nel lavoro artigiano ritrovano la dignità di persone. Una scommessa della padovana Cooperativa Giotto, divenuta un caso nazionale con i riconoscimenti dell’Accademia Italiana della Cucina, del Gastronauta, del Gambero Rosso e che nel 2009 ha suscitato la curiosità del pasticcere Albert Adrià, fratello di Ferran executive chef del celebre El Bulli. L’anno precedente, i dolci del pasticceria del Due Palazzi erano stati eletti miglior prodotto del made in Italy al G8 de L’Aquila. Superata la prova di palati così esigenti, oggi è l’e-commerce che fa viaggiare i “Dolci di Giotto” in Italia e all’estero, sino alla partecipazione alla trasferta londinese di “Re Panettone”, nell’ottobre dello scorso anno.
«Abbiamo voluto sfidare un pregiudizio – spiega Nicola Boscolo, presidente della Giotto – e cioè: che cosa può mai uscire di buono da un luogo di persone che nella loro vita hanno fatto del male? Il tempo ci ha dato ragione. Nel 2004, con già tre lustri di esperienza nel lavoro col disagio sociale, la Giotto ha iniziato a far lavorare i detenuti per la preparazione dei pasti dei detenuti del Due Palazzi; di lì a poco è iniziato il laboratorio di pasticceria. L’idea di commercializzare i dolci del carcere ci è venuta dopo il parere entusiasta di Davide Paolini del Gastronauta». Il risultato non smette di stupire, non solo per i riconoscimenti di settore. Se la pasticceria è il fiore all’occhiello del lavoro nel carcere di Padova, la Giotto fa anche assemblare biciclette o monili per una casa di gioielleria e rispondere ad un call center. «La percentuale di recidivi usciti dal Due Palazzi, che abbiano lavorato, è del due per cento, contro una media nazionale del 90 per cento. Noi, insomma, applichiamo il dettato costituzionale che prevede il recupero del detenuto» ricorda Boscolo. Dei circa cento detenuti lavoratori (altri venti escono al mattino per tornare in carcere la sera), sono meno di una ventina i pasticceri. La commercializzazione fa i conti con gli spazi dei laboratori che non permettono produzioni industriali. Anzi, forse il segreto dei Dolci di Giotto sta proprio qui. «L’eccellenza – conclude Nicola Boscolo – ha un aspetto artigiano e manuale, questo è il riscatto di questi ragazzi».
Il fine non è solo quello di insegnare un mestiere, è soprattutto insegnare il rispetto delle regole e degli altri individui, attraverso un lavoro, i suoi orari e le sue dinamiche. Questa è la sintesi delle attività che dal 1994 la cooperativa Rio Terà dei Pensieri svolge invece a Venezia nella Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore e nella Casa di Reclusione per donne della Giudecca. «La cooperativa è nata nel 1994 – spiega la Presidente Liri Longo – a seguito di un evento particolare: un uomo finisce in carcere e, in un ambiente lontano dalla frenetica vita quotidiana a cui era abituato, l’uomo chiede aiuto ad un amico per trovare qualcosa con cui occupare il suo tempo. Nascono così le due prime attività attinte dalle competenze personali delle due persone: l’orto nel carcere femminile e la serigrafia in quello maschile. E come si può ben immaginare due sole persone presto si sono dimostrate insufficienti per gestire il tutto. Così si sono aggiunte altre persone come volontarie finché nel 2000 la cooperativa ha avuto anche una vera e propria sede».
Quante persone sono coinvolte oggi nelle attività e come si sono sviluppate le diverse attività? «Sei non detenuti, più i detenuti che lavorano, più alcune figure professionali di supporto. Ogni attività è nata quasi spontaneamente dall’altra: l’orto esisteva già all’interno del carcere, ma era incolto. Oggi è completamente lavorato e produce verdura, che ogni settimana è acquistabile fuori dall’istituto alla Giudecca, e piante aromatiche. Da queste ultime si è sviluppata la suggestione di intraprendere l’avventura della cosmetica, che è stata una sfida importante. Si tratta dell’attività forse più complessa tra tutte quelle che svolgiamo, soprattutto per la normativa che la regola. Grazie a una collaborazione con un grosso albergo veneziano che acquista le confezioni di cortesia riusciamo a sostenerci e a produrre linee di cortesia accanto a linee specifiche per i privati. E non smettiamo di sperimentare: da quest’anno abbiamo creato un linea biologica certificata. Al maschile, dalla serigrafia, si è invece sviluppato un laboratorio di pelletteria e dal 2009, grazie ad un’idea di Fabrizio Olivetti, allora responsabile dell’ufficio grafico del Comune, la produzione di borse e accessori in PVC con il riutilizzo di banner pubblicitari. Sempre al maschile, grazie ad un’intuizione della fornace Orsoni di Venezia, è stato creato un laboratorio per taglio del vetro per mosaico, che dà lavoro a ben sette detenuti».
Come si impara un lavoro in carcere? «Dopo aver avuto l’approvazione dei corsi dalla Regione, organo che tutela la normativa in merito, si aprono le selezioni: i detenuti sono soggetti a due selezioni diverse, una del carcere, legata alle questioni disciplinari, una nostra per quelle attitudinali. Inizia poi per loro un percorso formativo che va dai 3 ai 5 mesi e il successivo inserimento in laboratorio. Il numero degli ammessi varia a secondo delle richieste. Per i tre mesi successivi i detenuti possono avvalersi di una “borsa lavoro” e, una volta terminata, possono essere contrattualizzati. Privilegiamo contratti part time, per poter dare questa opportunità al numero più alto di detenuti possibile. A chi accede a misure meno restrittive di detenzione, grazie ad un accordo con Veritas, diamo inoltre l’opportunità di entrare tra il personale che si occupa dello spazzamento delle strade, oppure di lavorare all’interno dei nostri negozi in Campo Santo Stefano e a Santa Fosca».
DI ENRICO BELLINELLI E CHIARA GRANDESSO
Salute +
LA DIGNITA' RECUPERATA
8 Dicembre 2012