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La danza dei capodogli tra Ischia e Ventotene

La danza dei capodogli tra Ischia e Ventotene

Almeno 4 esemplari della specie a rischio di estinzione nel Mediterraneo avvistati nel monitoraggio della onlus Oceanomare Delphis

In tutto il Mediterraneo, gli esemplari di capodoglio attualmente rimasti non raggiungono il migliaio.
Ogni avvistamento di questi cetacei viene dunque considerato straordinario.
Anche in aree marine protette come quelle del Regno di Nettuno e di Ventotene e Santo Stefano identificate dall’International Union of Conservation of Nature (Iucn) come zone “Imma”.
Un acronimo che, tradotto, indica le “aree importanti per i mammiferi marini”.
Riconoscimento che, pur senza garantire un livello di tutela pari a quello delle aree marine protette vere e proprie, ha fornito un un ulteriore stimolo alle associazioni che vi operano per lavorare insieme nel monitoraggio e la protezione dei cetacei.
Proprio in occasione di uno di questi monitoraggi, curato dalla onlus Oceanomare Delphis, è stato individuato nelle ultime ore un gruppo di capodogli che nuotavano insieme.
“La barca – fa il punto la presidente, Barbara Mussi – è ancora in navigazione, per cui i dati non sono ancora stati elaborati. Si tratta comunque di esemplari, tra 4 e 8 unità, molto probabilmente giovani maschi”.

Barbara Mussi

 

I capodogli tra Ischia e Ventotene

Nonostante la rarità nel Mediterraneo, i capodogli sono una specie abituale nelle acque di Ischia.
“La conformazione del fondale nel tratto di mare verso Ventotene – spiega la presidente di Oceanomare Delphis – è molto particolare, con una serie di canyon sottomarini che fanno sì che le acque producano quantità di cibo importante. Di conseguenza, molte specie, tra cui proprio i capodogli, vi si fermano per periodi più o meno lunghi per mangiare e riprodursi”.
Si ritiene che il gruppo di cetacei intercettato dal monitoraggio, curiosamente sia durante il viaggio di andata che in quello di ritorno della nave, fosse impegnato in un’attività di “traveling”, cioè lo spostamento da un punto all’altro del Mediterraneo. “Nel nostro catalogo – riprende Mussi – abbiamo oltre 100 esemplari e abbiamo visto che il 20% ritorna in queste acque”. Oceanomare Delphis li monitora infatti dal 2000, con foto identificative ad alta qualità di pinna caudale, fianchi e testa, che sono diversi per ogni esemplare.

capodogli

Le abitudini di una specie a rischio

L’Iucn, che monitora lo stato di conservazione delle specie viventi, tra cui i cetacei nel Mediterraneo, ha inserito il capodoglio nella “lista rossa” di quelle a rischio di estinzione. E l’attività di associazioni come Oceanomare Delphis contribuisce al monitoraggio, fornendo un quadro completo della consistenza numerica della popolazione nell’area di competenza e dando indicazioni proprio sulle abitudini dei singoli esemplari a fare ritorno periodicamente nella zona.
“Il capodoglio – racconta Barbara Mussi – ha una struttura sociale particolare, basata su diversi gruppi di aggregazione. Ci sono in primo luogo quelli delle femmine con i piccoli, dai quali i maschi, una volta cresciuti, si allontanano e col tempo diventano solitari. Anche se, prima di isolarsi, si formano gruppi di giovani maschi, l’aggregazione più comune nelle acque tra Ischia e Ventotene, che possono stare insieme anche per diversi anni”.

Le principali insidie per il capodoglio

Un capodoglio può normalmente vivere fino a 100 anni: un’età che, però, è molto raro veder raggiungere dagli esemplari adulti del Mediterraneo, che spesso muoiono ancor prima, per esempio, che i maschi arrivino a isolarsi.
Faticano a diventare adulti – illustra la presidente di Oceanomare Delphis – a causa di diversi tipi di minacce causate dalle attività umane in mare: dall‘inquinamento alla riduzione del cibo legata alla pesca”.
“Nelle nostre zone – conclude Mussi – la prima causa di morte dei capodogli, così come di altri grandi cetacei a partire dalle balenottere comuni, è però la collisione con le grandi navi veloci, a cui solo alcuni esemplari riescono a sopravvivere. Anche i capodogli che non muoiono dopo questo incontro, però, riportano evidenti segni dell’avvenuto impatto. Ne abbiamo potuti riscontrare anche noi, per esempio sulle loro pinne o sul loro dorso”.

Alberto Minazzi

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Tag:  cetacei, mare