L’allarme della Cgia di Mestre: al Sud il sorpasso sugli stipendiati è già arrivato, ma presto avverrà anche nel resto del Paese, mettendo a rischio sistema previdenziale e sanitario
Da dove arrivano i soldi per pagare le pensioni? La risposta, nel sistema adottato in Italia, è semplice: principalmente dai contributi che, durante la loro vita attiva, i lavoratori versano nella prospettiva di ricevere un domani a loro volta l’assegno dall’Inps o da un altro ente previdenziale di riferimento.
Ma cosa succederebbe nel caso in cui il numero di pensionati superasse quello degli occupati? Anche in questo caso, non serve una laurea in economia per rendersi conto che, in questo caso, si metterebbe a rischio la sostenibilità economica non solo del sistema pensionistico, ma anche di quello sanitario.
E lo scenario, sottolineano gli artigiani della Cgia di Mestre in uno studio appena pubblicato, purtroppo non è così remoto. Perché se al Sud in generale e in qualche altra realtà come la Liguria il temuto sorpasso è già avvenuto, il trend in atto sembra indicare che ciò possa avvenire a breve anche nel resto del Paese.
Il rapporto tra pensioni e stipendi in Italia oggi
I più recenti dati ufficiali dell’Istat, che l’Ufficio studi della Cgia ha elaborato nello studio insieme a quelli dell’Inps, sono relativi al 2022, quando i lavoratori dipendenti e autonomi sfioravano i 23,1 milioni, mentre le pensioni (tra quelle di vecchiaia, di invalidità, assistenziali, ai superstiti e indennitarie) erano poco meno di 22,8 milioni, con un saldo totale di +327 mila unità.
Il dato occupazionale, secondo i dati Istat di maggio 2024, è nel contempo aumentato, salendo a 23,9 milioni di lavoratori. Ma, sottolineano gli artigiani, “in attesa che l’Inps aggiorni le proprie statistiche, è altrettanto ragionevole ritenere che anche il numero di pensioni corrisposte in questo ultimo anno e mezzo sia cresciuto, addirittura in misura superiore all’incremento dei lavoratori attivi”.
Le principali criticità territoriali
Tornando ai dati consolidati, se si escludono Cagliari (+10 mila) e Ragusa (+9 mila), l’analisi evidenzia un saldo lavoratori/pensionati negativo per tutte le realtà del Meridione e dell’Italia insulare, soprattutto a causa dell’“elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità”. Va però detto che già nel 2022 ci sono 11 province settentrionali che presentano numeri sbilanciati.
In tal senso, spicca il dato ligure, dove tutte le province hanno più pensionati che lavoratori (la forbice varia tra il saldo di Genova, a -20 mila, e quello di Imperia, -4 mila). La provincia più squilibrata d’Italia è comunque Lecce, a -97 mila, seguita da Napoli con -92 mila. Quanto alle regioni, tra cui più della metà (11 su 20) hanno un saldo negativo, la peggiore è invece la Sicilia, con 303 mila.
Le realtà “più virtuose”
La regione che, al contrario, ha il saldo positivo più elevato è la Lombardia (+733 mila, con la sola Sondrio negativa, -1.000, e Cremona in sostanziale parità). Al secondo posto c’è il Veneto con +342 mila e, scendendo a livello provinciale, Rovigo in territorio negativo (saldo di -9 mila) e Belluno con 87 mila occupati e altrettanti pensionati.
Anche tra le province, in ogni caso, solo 47 su 107 presentano un saldo positivo. Sul podio, nell’ordine, ci sono Milano (+342 mila), Roma (+326 mila) e Brescia (+107). Di nuovo molto bene, complessivamente, il Veneto, con 5 realtà provinciali tra le prime 12: nell’ordine, Verona (5^ assoluta con +86 mila), Padova (+74 mila), Vicenza (+67 mila), Venezia (+63 mila) e Treviso (+61 mila).
Lo squilibrio: cause e possibili soluzioni
Nell’analisi di Cgia, le prospettive negative per l’intero Paese si legano anche ad alcune previsioni, come quella di marzo 2024 di Unioncamere, che prevede entro il 2028 l’uscita dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età di 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 nelle regioni del Nord. In linea con i principali Paesi occidentali, la tendenza italiana si lega comunque alla combinazione di 4 diversi fenomeni.
Si tratta di denatalità, invecchiamento della popolazione, basso tasso di occupazione e troppi lavoratori irregolari. “La spesa pubblica – conclude il segretario Cgia, Renato Mason – non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere. Questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici”. E la soluzione prospettata è così l’aumento degli occupati, “facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne”.
Alberto Minazzi