La riforma costituzionale potrebbe annullare il potere del presidente della Repubblica di assegnare la carica parlamentare onoraria
L’idea dell’elezione diretta del presidente della Repubblica sembra ormai definitivamente tramontata, ma il Governo in carica va avanti sulla strada di uno dei temi caldi della politica italiana, affrontato più volte negli anni, sempre senza successo. Ovvero la riforma costituzionale che potrebbe riscrivere l’assetto dei massimi poteri istituzionali, assegnando un peso sempre maggiore al presidente del Consiglio.
Del cosiddetto “premierato”, al centro del disegno di legge su cui sta lavorando il ministro per le Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, si parlerà oggi, lunedì 30 ottobre, nel vertice di maggioranza, con il testo che verrà quindi discusso in sede di Consiglio dei ministri il prossimo venerdì 3 novembre, anche se poi servirà il via libera da parte della maggioranza qualificata (2/3) dei votanti in Parlamento.
Un “premierato all’italiana”, come l’ha definito la stessa Casellati, che dovrebbe passare innanzitutto per la modifica degli articoli 88 (facendo venir meno il potere di scioglimento delle Camere del presidente della Repubblica), 92, sulla nomina del premier da parte del Quirinale (in questo caso sarebbe nominato direttamente dal popolo) e 94 (relativo al voto di fiducia al presidente del Consiglio di Camera e Senato) della Carta.
Nelle ultime ore, insieme alla conferma dell’intenzione di procedere con la riforma da parte della premier Giorgia Meloni (che ha parlato di “Terza Repubblica”), ha però iniziato a circolare l’ipotesi di una modifica anche dell’articolo 59, che attribuisce al presidente della Repubblica la facoltà di nominare nuovi senatori a vita tra i cittadini che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario”.
Senatori a vita: c’è anche chi dice no
Anche la questione dei senatori a vita, considerati dai detrattori un retaggio storico ormai superato ma in ogni caso un’anomalia rispetto agli altri principali Stati occidentali, è stata più volte al centro di disegni di legge costituzionale per la loro abolizione.
Va detto che, adesso, la modifica riguarderebbe i soli senatori di nomina presidenziale, lasciando inalterato il meccanismo automatico per gli ex presidenti della Repubblica.
A passare dal Quirinale a Palazzo Madama alla scadenza del mandato, come potrà avvenire anche per Mattarella, sono stati infatti tutti e 11 i presidenti, da De Nicola a Napolitano.
Proprio l’ex presidente emerito, recentemente scomparso, è stato l’unico a diventare senatore a vita “di diritto” dopo una prima nomina presidenziale, arrivata per lui nel 2005.
Napolitano è infatti uno dei 38 italiani illustri che sono stati insigniti dell’incarico per i propri meriti, a partire dal matematico veneziano Guido Castelnuovo, nominato nel 1949 dall’allora presidente Einaudi insieme ad Arturo Toscanini.
L’88 enne direttore d’orchestra, però, rimase in carica in pratica un solo giorno, con l’accoglimento delle sue dimissioni immediatamente dopo aver ricevuto la comunicazione dal Quirinale.
Un “no” che, in seguito, si è ripetuto solo altre 2 volte, sempre nel 1991. Il presidente Cossiga, che interpretò estensivamente come il suo predecessore Pertini la seconda parte dell’articolo (sul tetto massimo di senatori a vita di nomina presidenziale), pensò tra gli altri a Indro Montanelli e Nilde Iotti. Ma il giornalista e l’allora presidente della Camera in carica rifiutarono.
Liliana Segre, l’ultima?
Nel lungo elenco di senatori compaiono rappresentanti dei più vari settori: tanti politici (come l’anche sacerdote don Luigi Sturzo), ma anche imprenditori (il più recente è Sergio Pininfarina), scienziati (nel 2001 toccò a Rita Levi Montalcini), poeti (come Trilussa o il premio Nobel Eugenio Montale), rappresentanti della cultura (da Eduardo De Filippo a Claudio Abbado).
Con il riaffermarsi della tesi restrittiva sulla previsione che “il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal presidente della Repubblica non può in alcun caso superiore a cinque”, il presidente Mattarella ha fin qui nominato, nel 2018, la sola Liliana Segre: una degli attuali 5 senatori a vita con Mario Monti (2011), la ricercatrice Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano e il fisico Carlo Rubbia (2013).
I senatori a vita tra indennità e diaria
L’idea di fondo, a giustificare la previsione di senatori a vita, è quella della possibilità, sulla base delle capacità concretamente dimostrate, di poter dare ancora un importante contributo, in sede istituzionale, alla vita del Paese. Molto spesso, però, l’effettiva loro partecipazione alle sedute in Senato è estremamente limitata.
Tutto questo, sottolineano invece i contrari, incide solo in parte sulla loro retribuzione. A calare è infatti solo la parte di diaria, ammontante a 3.500 euro, decurtati di 206,58 euro per ogni giorno di assenza (ovvero in cui non ha partecipato almeno al 30% delle votazioni giornaliere). Restano invece fermi i 5.304,98 euro di indennità mensile, i 4.180 euro di rimborsi spese per l’esercizio del mandato e i 1.650 mensili forfettari per telefonia e trasporti.
Alberto Minazzi