“La detenzione deve essere recupero, riabilitazione. Gli istituti penitenziari devono essere comunità. Le carceri devono essere l‘inizio di un nuovo percorso di vita. Questa dev’essere l’occasione per far voltar pagina al mondo del carcere”.
Il premier Mario Draghi è chiaro quando, all’uscita dal carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove si è recato con la ministra della Giustizia Marta Cartabia, rilascia le sue dichiarazioni. Ha incontrato anche la polizia penitenziaria, ha preso atto del fatto che il corpo è sottodimensionato rispetto alle reali esigenze e ha garantito che la riforma della giustizia e dell’ordinamento penitenziario riguarderà anche loro.
Ma ha ribadito forte che “non può esserci giustizia dove c’è sopruso“.
Ricordando anche come l’Italia sia stata “condannata due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento carcerario” e che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono invece tendere alla rieducazione del condannato“.
Non tutti come il carcere sotto inchiesta
L’istituto penitenziario “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere è sotto inchiesta per gli scontri che ci sono stati nella primavera del 2020.
Il Gip che ha valutato le accuse durante l’udienza preliminare avrebbe definito quanto accaduto all’interno del carcere tra poliziotti e detenuti un’ “orribile mattanza” per la quale la direzione della struttura e 52 agenti dovranno rispondere dei reati di violenza e tortura.
Ma ci sono anche realtà, in Italia, in cui succede il contrario e un detenuto si trova a far parte di una start up.
Succede nel carcere di Bollate, a Milano, dove il progetto “IntegrazioNen” coinvolge numerosi reclusi nel controllo qualità delle nuove forniture elettriche attivate dalla startup dell’energia Nen.
I detenuti curano il servizio clienti e contribuiscono alle attività di business promosse dall’azienda.
La rieducazione attraverso il lavoro
Sono 90 le persone che fanno parte dell’impresa sociale Bee4 nata all’interno del carcere. Hanno fatto un periodo di formazione affiancando i dipendenti di Nen e ora si occupano di data entry, di validazione documentale, di controllo e inserimento delle autoletture.
Il tutto percependo uno stipendio che quasi sempre viene destinato alle proprie famiglie fuori dal carcere (si chiama “mercede” e rispetta le retribuzioni minime previste dai contratti collettivi).
Ma, soprattutto, costruendo per sé stessi un efficace percorso di rieducazione e reinserimento nel mondo del lavoro e nella società civile.
Una nuova sfida per il carcere di Bollate, la seconda casa di Reclusione di Milano, inaugurata nel dicembre del 2000 come Istituto a custodia attenuata per detenuti comuni.
Il bilanciamento di pena e rieducazione
La politica dell’Amministrazione penitenziaria dei circuiti penitenziari differenziati prevede per ogni tipologia di detenuti una risposta punitiva differente, bilanciando l’aspetto punitivo e quello rieducativo della pena, in un ventaglio di opzioni che va dal regime del “41 bis” all’alta sicurezza, al circuito dei detenuti comuni, e infine, alla custodia attenuata per tossicodipendenti e per detenuti comuni non pericolosi socialmente e all’esecuzione penale esterna (lavoro all’esterno e misure alternative alla detenzione).
Meno ritorni a delinquere, più reinserimento
“Il carcere di Bollate è, sin dalla sua apertura, un’eccellenza nell’ambito delle politiche di rieducazione dei detenuti. E gli effetti di questo modello si vedono: qui il tasso di recidiva è del 30%, contro il 70% di media nazionale. In altre parole, è la dimostrazione che far lavorare i detenuti abbatte sensibilmente la possibilità che questi tornino a delinquere una volta scontata la loro pena – spiega Pino Cantatore, l’attivissimo presidente di Bee4, che ha in prima persona vissuto un percorso di formazione professionale in carcere prima di fondare la cooperativa – A Bollate la Direzione lavora per garantire percorsi di rieducazione e opportunità di reinserimento, e i detenuti si impegnano attivamente in percorsi individuali di responsabilizzazione e formazione professionale.
Bee4 agisce come ponte con il mondo esterno e favorisce l’interazione con la comunità territoriale. La cooperativa impiega oggi circa 120 persone, di cui 90 con problemi di giustizia. “Ma puntiamo a raggiungere i 200 occupati entro il prossimo triennio – anticipa Cantore -Abbiamo anche un gruppo di detenuti che la mattina si svegliano, raggiungono un ufficio e a fine giornata lavorativa tornano “dentro'”.
E di lavoro si tratta, a tutti gli effetti, con tanto di obiettivi di performance e attività di team.
Le persone che lavorano a Bollate sono considerate parte integrante del team, con cui spesso vengono organizzati momenti di interazione che vanno a beneficio della crescita di tutti: dei detenuti, dei dipendenti NeN e del team nel suo complesso.
Carlo D’Elia