Said: “Arriverà presto il giorno in cui il Leone, simbolo della Persia, ma anche di Venezia, tornerà a ruggire come un tempo”.
Mahsa Amini, 22 anni, arrestata e picchiata a morte lo scorso 16 settembre dalla Polizia morale per non aver coperto interamente i suoi capelli con l’hijab.
Hadis Najafi, 20 anni, era scesa in piazza per protestare contro la morte di Mahsa come migliaia di altre donne iraniane. Le forze di sicurezza iraniane le hanno sparato sei colpi d’arma da fuoco alla testa, al collo, al torace e all’addome. Un ultimo video la ritrae mentre si raccoglie i capelli biondi in una coda prima di unirsi alle manifestazioni.
La “ragazza con la coda” ha pagato con la vita un gesto comune a tante donne occidentali, un gesto quotidiano che in Iran oggi è visto come un palese atto di sfida, una provocazione contro il regime della repubblica islamica.
Nika Shahkarami, 16 anni, è un’altra martire della rivolta, anche se le autorità non hanno mai ammesso sia stata uccisa durante le proteste. L’autopsia ha però rilevato che il cranio, il bacino, l’anca, le braccia e le gambe dell’adolescente erano fratturati.
Masooumeh, 14 anni, è morta in ospedale per emorragia vaginale: si era tolta il velo a scuola in segno di ribellione. Identificata attraverso le telecamere di videosorveglianza e arrestata dalle forze di sicurezza che avevano fatto irruzione nella scuola, Mossoumeh è stata brutalmente violentata durante la custodia ed è morta dopo una breve agonia.
Un lungo elenco dell’orrore
Potrebbe essere molto più lungo questo elenco dell’orrore, un elenco che non riguarda solo le donne, visto che anche molti uomini, unitisi alle proteste, hanno pagato con la morte, la reclusione, le torture, la propria ribellione contro il regime ultra conservatore di Ebrahim Raisi, il nuovo presidente iraniano eletto nel 2021, capo di un parlamento che non lascia spazio alla fazione riformista.
A darci qualche numero è Jalal Saraji, esponente dell’associazione democratica degli iraniani di Venezia: “A partire da settembre si contano in Iran 600 morti identificati, tra cui 70 minorenni e una bambina di 7 anni, uccisa mentre le milizie sparavano sulla folla. Ventimila le persone in carcere, molte delle quali hanno subito torture. Tra i morti si contano diversi condannati all’impiccagione senza alcuna prova e senza un giusto processo”.
“Onore a questo giovane calciatore impiccato dal regime”
Said Chavoshbaran, nato a Salò e residente a Venezia da genitori provenienti dall’Iran, ex studente del Dams di Bologna, musicista e, per anni, gestore del locale veneziano “Ai Biliardi”, ha voluto ricordare sul suo profilo Facebook uno di questi giovani martiri, Majid Reza Rahnavard: “Onore a questo giovane calciatore impiccato dal regime sanguinario iraniano che come ultimo desiderio chiede che ci sia allegria e festa al suo funerale e non preghiere, né pianti, né il Corano. La sua colpa è quella di aver manifestato per la libertà di tutti e per il rispetto delle donne. Un’altra giovane vita spezzata, un’altra famiglia distrutta, un altro vano tentativo di impaurire un popolo ostaggio di questo regime. Che festa sia…al tuo funerale, caro fratello, ma nel frattempo non so come sentirmi se non profondamente triste e deluso. Una sensazione di impotenza e rabbia perché sono lontano solo geograficamente dall’Iran e da questi avvenimenti a cui avrei voluto partecipare anche io. Lo facevo ai tempi dell’università quando sentivo il dovere di manifestare in primis per la pace nell’ex Jugoslavia, per i diritti umani, per il diritto allo studio e alla casa, per criticare la globalizzazione. Arriverà presto il giorno in cui il Leone (simbolo della Persia, ma anche di Venezia) tornerà a ruggire come un tempo“.
Le ragioni di un popolo in rivolta
L’obbligo del velo islamico non è il solo motivo per cui la popolazione iraniana è insorta, anche se questa imposizione resta uno dei simboli della rivolta che ha dato vita a movimenti di protesta nel Paese e a una crescente mobilitazione internazionale.
Lo spiega Jalal Saraji, esponente dell’associazione democratica degli iraniani di Venezia, promotrice a ottobre e novembre scorsi di due manifestazioni di protesta organizzate in città alle quali hanno partecipato complessivamente oltre 3mila persone, non solo iraniane.
“La mancanza di pari diritti, le leggi discriminatorie verso le donne, le condizioni socioeconomiche di un Paese con un’ inflazione che supera il 50%, hanno spinto la popolazione a ribellarsi e a non accettare più un regime anacronistico non più compatibile con la società attuale iraniana – spiega Jalal – Purtroppo in Iran non ci sono mai state elezioni libere e le ultime, con un’affluenza del 20%, ufficialmente del 50%, hanno portato all’elezione di Ebrahim Raisi e al conseguente crollo di quel poco di democrazia che ancora c’era nel Paese”.
Damiano: “Venezia, crocevia di culture diverse, non può restare indifferente”
In occasione del primo corteo di solidarietà organizzato a Venezia, la presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano aveva incontrato a Ca’ Farsetti Jalal Saraji e Samereh Sagheb: “Non bisogna spegnere i riflettori su questa tragedia che calpesta i diritti umani delle persone e non solo quelli delle donne – commenta oggi la Presidente – Personalmente ho poi partecipato anche alla mobilitazione indetta a Punta della Dogana dall’Ordine degli Avvocati di Venezia: ritengo sia importante fare rete, coinvolgere le diverse parti della società civile per contribuire a far passare un messaggio di solidarietà e di vicinanza nei confronti di questo Paese martoriato. Venezia, crocevia di culture diverse non può restare indifferente, da qui sono sempre partiti messaggi di pace e solidarietà e da qui deve partire una ferma condanna contro le barbarie di questo regime. Incontrerò di nuovo Jalal Saraji per gettare insieme le basi per altre iniziative a sostegno della popolazione iraniana”.
Gli esponenti dell’associazione democratica degli iraniani di Venezia nel frattempo hanno incontrato anche il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti, un incontro che ha portato a una mozione di solidarietà verso il popolo iraniano, approvata all’unanimità dal consiglio regionale: “chiederemo anche al consiglio comunale di Venezia di appoggiare apertamente il movimento “Donne Vita Libertà” attraverso iniziative che abbiano una forte risonanza mediatica. Stiamo calendarizzando le prossime manifestazione, la prima sarà domenica 8 gennaio a Torino”, aggiunge Jalal Saraji.
La ragazza scomparsa dopo il corteo. 15 giorni senza sue notizie
Tra i numerosi partecipanti ai cortei veneziani dello scorso autunno c’era anche una ragazza iraniana residente in città, trasferitasi poi in Francia per lavoro. E’ Jalal Saraji a raccontare la sua storia: “dopo il primo corteo la giovane studentessa veneziana sembrava scomparsa nel nulla, poi abbiamo saputo che anche la sorella e la madre, infermiera specializzata che curava in casa i giovani manifestanti feriti in Iran, erano scomparse. Erano state fatte prigioniere dalle milizie dopo essere state denunciate, sotto tortura, proprio da uno dei manifestanti da loro curati. La ragazza veneziana per non essere identificata come partecipante alle proteste indette a Venezia e peggiorare la situazione già precaria delle proprie congiunte si era nascosta, facendo perdere per 15 giorni le proprie tracce. In seguito le due donne sono state rilasciate ma dovranno subire un lungo processo”.
L’appello al governo italiano
L’associazione democratica degli iraniani di Venezia non si sta muovendo solo a livello locale ma anche nazionale. Questo, in sintesi, l’appello inviato al Governo: “chiediamo alle autorità governative italiane di assumere una netta posizione di condanna nei confronti del regime della repubblica islamica con il quale l’Italia intrattiene non solo rapporti diplomatici ma anche un fiorente rapporto commerciale (le cartucce che uccidono i nostri ragazzi sono prodotte in Italia) e ciò a dispetto di quel che succede alla popolazione iraniana e alla feroce repressione in atto in Iran. Non siamo a chiedere armi o soldi, chiediamo coerenza e solidarietà nei fatti”.
Nella casa della cultura di Mestre si trasmette la memoria dell’antica cultura persiana
L’associazione democratici iraniani di Venezia, guidata da Jalal Saraji e Samereh Sagheb, non è l’unica realtà presente nel territorio veneziano. A Mestre, in via Cesare Cecchini 9, esiste già dal 1996 la Casa della Cultura Iraniana che, per scelta, anche in questo momento così delicato per il Paese, preferisce non occuparsi di politica, continuando però la propria missione, ovvero promuovere attraverso la cultura, intesa sotto i suoi più vari aspetti, l’integrazione e l’interazione tra popoli diversi che convivono nel territorio. Vi fanno infatti parte, oltre a iraniani, anche cittadini di Venezia, italiani e di altre nazionalità. “L’immigrazione iraniana in Italia e, nello specifico nel nostro territorio, è iniziata sin dagli anni ’50 in prevalenza con studenti venuti per frequentare le università, oggi architetti, ingegneri, medici – spiega un referente della Onlus che preferisce restare anonimo – Le nostre attività, oltre a trasmettere la memoria dell’antica e complessa cultura persiana tra la comunità degli iraniani che vivono qui e tra coloro che vogliono avvicinarsi a essa, hanno l’obiettivo di avviare un proficuo circuito di scambio interculturale, creando occasioni di confronto e dialogo tra culture e tradizioni diverse attraverso l’organizzazione di eventi musicali, cinematografici, teatrali, artistici, culinari”. Le attività della Onlus sono organizzate in sinergia e condivisione con le istituzioni culturali e artistiche del territorio e, come tiene a precisare il referente “si contraddistinguono per l’assoluta assenza di qualunque impostazione ideologica, enfasi nazionalistica e accento religioso”.
Claudia Meschini