Secondo uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore-Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, la gastroenterite acuta può lasciare strascichi pesanti fino a 5 anni, potendo evolvere in sindrome dell’intestino irritabile
Secondo le stime della Sige, Società italiana di gastroenterologia, la sindrome dell’intestino irritabile colpisce il 20-40% della popolazione italiana, in particolare le donne e la fascia d’età compresa tra 20 e 50 anni. E’ caratterizzata da dolori addominali ricorrenie, gonfiore e alterazione della funzione intestinale con stipsi alternata a diarrea. Se i sintomi sono variabili e per alcune persone è un disturbo di live entità, per altre hanno un impatto negativo sulla qualità della vita.
Tuttavia, poiché le cause della patologia ancora non sono ben definite, risulta difficile trovare efficaci soluzioni terapeutiche. In questo senso un contributo arriva dallo studio messo a punto dai ricercatori dell’Università cattolica del Sacro Cuore-Fondazione Policlinico Gemelli di Roma secondo il quale la cosiddetta influenza intestinale o gastroenterite acuta può appunto degenerare in sindrome dell’intestino irritabile e per questo non va sottovalutata.
Un’eredità del Covid?
Nello studio, pubblicato sul gruppo British Medical Journal, il gruppo di ricercatori ha acceso i riflettori su virus come Sars CoV-2 e batteri aggressivi come Campylobacter e pro-infiammatori come Enterobacteriaceae e Proteobacteria, responsabili di tante infezioni gastrointestinali estive. Secondo quanto rilevato la gastroenterite acuta o influenza intestinale mai deve essere sottovaluta in quanto, nel caso evolva in sindrome dell’intestino irritabile, può lasciare strascichi pesanti che possono protrarsi fino a 5 anni.
Gli scienziati hanno evidenziato che i sintomi compaiono in 1 persona su 7 dopo un episodio di infezione gastrointestinale. L’analisi dei dati ha consentito anche di verificare che permangono per 6-11 mesi in almeno la metà delle persone colpite da una gastroenterite acuta. Come spiegano gli autori di questo studio, ve ne sono altri che suggeriscono che la durata potrebbe protrarsi fino a oltre 5 anni.
I disturbi d’ansia triplicano il rischio di sviluppare la sindrome
Non solo. Come sottolinea il primo autore della ricerca Serena Porcari, la presenza di disturbi d’ansia prima dell’episodio di gastroenterite triplica il rischio di sviluppare la sindrome dell’intestino irritabile. Per quanto riguarda gli agenti infettivi, lo studio ha evidenziato che nel 21% dei casi la comparsa della stessa si ha dopo una gastroenterite acuta da Campylobacter mentre le possibilità che si manifesti sono 5 volte maggiori dopo un’infezione Proteobacterica o da Sars-CoV-2 e 4 volte maggiori dopo infezioni da Enterobacteriaceae.
Il coautore del lavoro e preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, nonché ordinario di Medicina interna e direttore della Uoc di Medicina interna e Gastroenterologia del Gemelli, Antonio Gasbarrini, precisa inoltre che non essendo la fisiopatologia ancora sufficientemente nota sia tra i medici, sia nell’opinione pubblica, quelli che sono compresi nel nome di sindrome dell’intestino irritabile sono disturbi con un’importante componente psicologica e non una malattia di tipo organico.
Si corre così il rischio di sottovalutarla e di conseguenza non trattare adeguatamente i pazienti. In questo senso i risultati del nuovo studio aprono le porte a una più attenta evoluzione dei disturbi in un paziente dopo un episodio di gastroenterite acuta.