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Il lavoro al tempo del Covid. L'indagine di Umana e Fondazione Nord Est sul momento più delicato per le aziende del territorio

Il lavoro al tempo del Covid. L'indagine di Umana e Fondazione Nord Est sul momento più delicato per le aziende del territorio

Anche il mondo del lavoro, dopo il coronavirus, non sarà e non potrà essere più lo stesso. Non solo, e per fortuna non tanto, per le durissime conseguenze economiche, che, sia pure con tempi non immediati, potranno essere riassorbite dal sistema. Piuttosto, e con una prospettiva di crescita, nell’organizzazione del lavoro, sia sul fronte delle imprese e del management, sia su quello dei lavoratori. Perché saranno richieste sempre più nuove forme organizzative, una nuova cultura manageriale e nuove competenze, allargando l’orizzonte a nuovi settori.

L’indagine

Tutto questo emerge dall’indagine sul futuro del lavoro al tempo del Covid-19 svolta in collaborazione tra Umana e Fondazione Nord Est, nell’ambito dell’Osservatorio Capitale Umano. A rispondere ai quesiti relativi agli effetti della pandemia sul lavoro e sui suoi cambiamenti nell’ambito delle organizzazioni della formazione, delle competenze e delle politiche necessarie per superare l’attuale fase di incertezza, un campione di oltre 518 imprese di tutti i settori del Nordest ed Emilia Romagna.

«La pandemia – commenta Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana – sta costringendo le aziende, e le persone che vi lavorano, a una rapida trasformazione organizzativa. Le imprese vivono uno dei momenti più delicati della storia di questo Paese, ma oggi davanti a loro si pone anche una straordinaria opportunità da cogliere. Formazione, digitalizzazione, sviluppo delle competenze hard e soft, confronto fra generazioni in azienda: sono strumenti indispensabili per sopravvivere, certo, ma sono anche strategie virtuose che consentiranno loro di vincere la sfida della competitività nei prossimi decenni».

«Abbiamo avuto la prova – sottolinea Paolo Gubitta responsabile dell’Osservatorio Capitale Umano, Formazione e Lavoro di Fondazione Nord Est – che le imprese e l’organizzazione del lavoro non saranno più come erano prima della pandemia. Per le imprese si apre una stagione di cambiamento che richiederà sia cambiamenti nei processi interni sia investimenti formativi mirati per le posizioni intermedie e per quelle operative. Si apre una nuova stagione e la comunità imprenditoriale è chiamata a un grande sforzo collettivo»

Umana indagine 2020
Umana indagine 2020

Imprese e smartworking

La modalità di lavoro agile ha registrato negli ultimi mesi una forte accelerazione, anche nel rispetto delle varie normative anticontagio che si sono susseguite con i DPCM e i provvedimenti di urgenza. Il processo di revisione dei modelli organizzativi era in ogni caso già iniziato ed è stato individuato, nella situazione contingente, come il mezzo per dare una pronta risposta al nuovo contesto competitivo. Ben il 42,8% delle imprese del Nordest (il 58% delle quali ha dovuto sospendere più o meno a lungo l’attività durante il lockdown) ritiene così necessaria una revisione completa della propria organizzazione di lavoro.

Non si tratta però di una situazione transitoria. Circa l’80% del campione di imprese interpellato ha previsto infatti un ricorso sempre più massiccio allo smartworking, anche senza obblighi imposti o suggeriti dal legislatore. È il segnale di quel cambio di cultura organizzativa ritenuto necessario, insieme all’adeguata dotazione tecnologica, per superare le diffidenze verso questa moderna forma di lavoro, che invece può dare benefici anche all’impresa.
Sono infatti ancora numerosi gli imprenditori (65,1% degli intervistati) che temono, con lo smartworking, un danno alla produttività o al clima aziendale (73%).
Per rispondere alla riduzione di attività, comunque, già il 29,3% delle imprese ha previsto un maggior ricorso allo smartworking per rispettare le normative e garantire una maggior sicurezza dei propri dipendenti.

Lavoratori e smartworking

Dal lato del lavoratore, la nuova organizzazione del lavoro si tradurrà nella necessità di sviluppare sempre più alcune competenze e abilità: da quelle digitali, alla capacità di lavorare in autonomia e per obiettivi. L’81,7% degli intervistati puntano ad esempio su lavoratori responsabili che sappiano gestire in modo autonomo il proprio tempo e il raggiungimento dei risultati previsti. Un risultato che passa, per il 74,2% del campione, anche attraverso un diverso modello di management, basato prima di tutto sulla fiducia.
I responsabili dell’organizzazione del lavoro dovranno cioè essere capaci di andare oltre la logica del controllo fisico, sapendo stimolare e gestire i lavoratori da remoto. E il giudizio dell’operato dovrà dunque basarsi sul raggiungimento degli obiettivi posti.
A essere maggiormente ricercati saranno quindi i lavoratori in grado di offrire un mix di competenze e l’elasticità e la trasversalità propria di un lavoro ibrido.

Umana indagine
Umana indagine

La base di partenza sono le conoscenze tecniche (ritenute le più importanti dal 23,8% degli intervistati) e quelle digitali (30%). Ma sarà sempre più fondamentale la “resilienza”. I lavoratori dovranno insomma essere in grado di gestire situazioni e problemi nuovi e imprevisti (lo chiede il 43,7% del campione), di farsi carico di attività nuove e sfidanti (40,5%) e di garantire un elevato livello di autonomia (40,9%).

Il ruolo della formazione

Nella nuova organizzazione del lavoro, a dover essere ripensate sono anche le attività formative dell’azienda.
Solo un quarto delle imprese, a fronte dell’emergenza, si è trovata a doverle sospendere. Il 30%, al contrario, ha confermato quelle già programmate, rimodulandole ove possibile con modalità a distanza come l’e-learning (35,5%). Un’impresa su dieci ha poi addirittura programmato nuove attività formative. A essere coinvolti, prima di tutto i nuovi assunti (26,7% delle imprese) e i lavoratori altrimenti destinati alla cassa integrazione (23,9%).

Le nuove esigenze di impresa si confermano anche guardando alle tematiche affrontate dalle attività formative. Nel 73,2% dei casi si è scelto di puntare su nuove competenze per gestire i cammbiamenti. Nel 70,6% sulla sicurezza. Quasi metà del campione (44,7%) si è invece incentrato sul tema delle competenze trasversali, dall’autonomia all’imprenditorialità, con una spiccata attenzione ai nuovi fattori di competitività. La formazione dei manager, infine, ha puntato sulle modalità del lavoro da remoto.

I settori del futuro

Pur nel diffuso clima di incertezza, gli imprenditori hanno chiari anche gli ambiti economico-produttivi che offriranno migliori opportunità di impiego.
Il 78,2% degli intervistati prevede una crescita del settore farmaceutico, il 72,5% di quello digitale, il 72,3% della sanità e il 46,3% della logistica. A essere favoriti, i lavoratori portatori di esperienze pregresse (68,7%), anche rispetto ai giovani (possibile per loro un calo di occasioni occupazionali del 70,5%). In particolare dal lato delle nuove generazioni, può giocare però un ruolo importante sul collocamento una formazione significativa in ambito digitale, ritenuta altamente qualificante dall’87,8% del campione.

Ciò servirà a far fronte alle diminuzioni occupazionali previste nei settori del turismo (come ritiene l’80,8% degli intervistati), della moda (65,2% per abbigliamento-calzature, 64,9% per il tessile), dell’automotive (61,3%), del commercio (53,7%) e del legno-arredo (50,6%). Per questo, al fianco della riorganizzazione interna, le aziende chiedono per i prossimi mesi politiche di ristoro e azioni proattive. In particolare, il 70,4% degli imprenditori ritiene necessaria la proroga della cassa integrazione, da sfruttare per il 75,6% facendo svolgere attività di formazione ai lavoratori coinvolti. Occorrono anche incentivi all’assunzione dei giovani (90%) e una riduzione dei limiti alla stipula dei contratti a termine (69,2%).

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