Il lavoro di Orlandini e Marzari ricostruisce la storia del marchio Colussi e vince il premio di Confindustria Veneto Est
Per chi ha qualche anno in più, “frollino” e “Gran Turchese” sono quasi sinonimi. E ancor prima un altro biscotto, il “baicolo”, ha avuto un tale successo da diventare un dolce tipico della città in cui è nato, Venezia.
Sono solo due degli esempi di prodotti che hanno permesso nei secoli a un’azienda, la Colussi, di crescere, evolversi e diventare una delle realtà più affermate del settore alimentare, fino all’attuale gruppo che comprende una decina di noti marchi, tra cui Misura, Sapori e Pasta Agnesi.
Come tutte le belle storie di imprenditoria italiana, tutto è però partito da una piccola attività artigianale, avviata nel “profondo Nord” delle Dolomiti bellunesi, con radici ancor più profonde nella storia rispetto al primo biscottificio aperto nel 1911 a Venezia.
Il premio per “Una ricetta di famiglia”
La storia dell’azienda è stata ricostruita, con un lavoro durato 3 anni e mezzo, da Massimo Orlandini e Simone Marzari nel corposo volume (400 pagine e 500 immagini) “Colussi 1791, Una ricetta di famiglia” (Silvana Editoriale), che è stato ora premiato da Confindustria Veneto Est come vincitore della quarta edizione del Premio letterario “Valori d’impresa”, nella categoria “Storie e racconti di impresa e del lavoro”.
Una scelta che è stata spiegata da Leopoldo Destro, presidente della giuria del Premio, sottolineando la capacità degli autori di raccontare “con maestria” la storia di una famiglia “esempio emblematico della capacità italiana di unire tradizione e modernità con una visione imprenditoriale lungimirante”.
“Quando mi viene chiesto – spiega Orlandini – qual è il segreto di una delle aziende più longeve del settore, che ha saputo andare ben oltre un semplice biscottificio, io rispondo: “la famiglia”. Perché è proprio questo legame familiare che ha dato origine a un’attività che ha saputo gestire rivoluzioni, guerre ed epidemie, cavalcando i secoli in maniera brillante”.
C’era una volta, in val di Zoldo…
La motivazione ufficiale del premio evidenzia come il libro racconti “il percorso di un’impresa familiare, dalle origini artigiane all’espansione globale”. “Un’opera – aggiunge la giuria – che celebra non solo un pezzo significativo della storia economica italiana, ma anche il valore culturale di un saper fare radicato nel territorio e aperto al mondo”.
“La nostra ricerca – riprende l’autore – è partita dall’idea di Angelo Colussi Serravallo, attuale titolare del gruppo, di ricostruire la genealogia della famiglia Colussi Maneta, casata proveniente da Pianaz, frazione di Zoldo. E abbiamo trovato, negli Archivi di Stato di Venezia e Belluno, documenti che precedono di molto la nascita del biscottificio di Santa Caterina, in Laguna”.
Colussi, rivela l’autore, ha richiesto espressamente la massima scientificità della ricerca. E se, alla fine, si è scelta come data d’inizio dell’epopea quella “intermedia” del 1791, quando nacque Giacomo Colussi, titolare dello storico forno di Rio Terà San Leonardo, in realtà le testimonianze risalgono addirittura al ‘600.
Dalle Dolomiti, alla Laguna, al Mondo
Orlandini sottolinea dunque che tutto ebbe inizio dalla “catena migratoria zoldana”.
“I Colussi – racconta – erano già nel 1600 venditori di “zaleti” e pere cotte e seppero progredire nella trafila delle posizioni dell’arte fornaria, partendo da semplici garzoni e arrivando a essere gastaldi di un’arte, specializzandosi poi in biscotteria una volta caduta la Repubblica Serenissima”.
Ecco, allora, il baicolo, primo vero prodotto “di punta”, sulla cui storia il libro aggiunge alcune novità.
“Nell’Ottocento, l’epoca del Grand Tour – spiega l’autore – divenne un biscottino da tè richiestissimo in particolare dai francesi e dagli inglesi, che lo intingevano nel rum, nel cioccolato o nella malvasia”.
Il legame della famiglia Colussi con Venezia, dunque, fu sempre molto forte. Basti pensare che si contavano in giro per la città una trentina di ragioni sociali, nell’Ottocento, quando Angelo Colussi si posizionò nel capoluogo veneto insieme ad altri zoldani, che si davano reciprocamente una mano. E la natura cosmopolita di Venezia portò anche la sua attività ad aprirsi al Mondo.
Il salto industriale e l’espansione
Verso la fine dell’Ottocento, allora, la famiglia Colussi Maneta divenne una casata industriale.
Fu proprio Angelo, nonno e omonimo dell’attuale titolare, ad fondare lo storico biscottificio di Vittorio Veneto, che rimase in attività fino al 2008, e una trentina di pasticcerie, 10 delle quali a Venezia, 2 a Mestre, e poi a Padova, Vicenza, Udine, Trieste, Milano, Roma.
I suoi figli, poi, proseguirono le aperture di nuovi stabilimenti, ognuno con il proprio ramo. Da Milano, dove si trovano ancora oggi gli uffici del gruppo, a Napoli e Catania. In particolare, Giacomo, papà di Angelo, fondò il ramo di Perugia, con lo storico stabilimento di Petrignano di Assisi, e inventò il “Gran Turchese”, che divenne iconico anche grazie al Carosello.
“Gioele”, il pupazzo collage di animali che reclamizzò dal 1967 il prodotto nello storico contenitore pubblicitario televisivo, contribuì così a far conoscere l’impresa, in giro per l’Italia, come “Colussi Perugia”. Finché, a fine ‘900, l’attuale titolare riunì le ragioni commerciali dei vari cugini, facendo nascere la “Colussi Spa” e il “Colussi Group”.
Un’epopea che continua
A 233 anni dalla data scelta come inizio ufficiale, l’epopea dei Colussi continua, mantenendo sempre la capacità di leggere i segni dei tempi. “Io – conclude Orlandini – sono specializzato in heritage marketing e, nella parte finale del libro, mi sono concentrato sulle iniziative di sostenibilità intraprese dall’azienda, perché ritengo che questa sia una parte importante dell’heritage”.
Oltre al libro, il lavoro di Orlandini e Marzari ha infine permesso di riscoprire l’archivio Colussi, implementandolo di moltissimi pezzi, anche nella prospettiva di una futura apertura di uno specifico museo di impresa dedicato.
Alberto Minazzi