Le previsioni sul futuro, con innalzamento dei mari di 60 centimetri
Per un’intera settimana, ha occupato le cronache cittadine e italiane.
Ora, del Mose e dei suoi quattro giorni di barriere alzate a più riprese, si parla oltre oceano.
“Il Washington Post celebra l’ultima prodezza del Mose”, riporta l’agenzia di stampa Agi.
E infatti la salvezza di Venezia dalle previsioni più nefaste, che la pronosticavano sommersa dalle inondazioni come la leggendaria isola di Atlantide citata da Platone come un immenso impero nell’Atlantico sprofondato nel nulla, è legata dal più antico e diffuso quotidiano di Washington alla geniale opera di ingegneria italiana.
Costata 6 miliardi di dollari –viene ricordato ai lettori americani nell’articolo – ma che esattamente una settimana fa ha evitato che a Venezia accadesse il peggio.
Grazie al Mose “la città ha resistito ed è stata risparmiata dal disastro”
L’acqua alta eccezionale che ha minacciato Venezia il 22 novembre, infatti, ha rischiato di essere ricordata come la terza più alta della storia dopo quella del 12 novembre 2019, che, rileva ancora il giornale “allora ha inondato ristoranti e chiese, lasciando barche nelle calli e lasciando i veneziani attoniti e angosciati per un futuro di eventi sempre più estremi” e quella del 4 novembre 1966.
Invece, con l’arrivo del ciclone che martedì scorso si è abbattuto sull’Italia e con condizioni di marea eccezionale, “la città ha resistito ed è stata risparmiata dal disastro” a tal punto che, si legge, “ a parte un po’ di vento e di pioggia, i residenti si sono accorti a malapena” di quel che stava accadendo al di là delle barriere mobili del Mose.
“È una soluzione storica per il cambiamento climatico, che ha richiesto 30 anni di progettazione e 20 anni di costruzione ma che ora ha ridotto i timori che Venezia si trasformasse in una moderna Atlantide”, rileva il quotidiano.“La città lagunare è ora protetta da 78 barriere metalliche rettangolari, ciascuna dell’altezza di un edificio di cinque piani, che vengono pompate d’aria e sollevate dal fondo del mare ogni volta che l’acqua alta la minaccia”.
L’ipotesi di scenari catastrofici legati ai cambiamenti climatici
L’articolo del Washington Post chiude con alcuni interrogativi.
Cosa potrebbe accadere in futuro, “quando il sistema di salvaguardia potrebbe esser messo alla prova con un innalzamento del livello del mare di 60 centimetri?”
In quel caso, fa due conti l’autore dell’articolo sull’opera italiana, il Mose verrebbe utilizzato fino a 500 volte all’anno.
“Proiezioni più terribili, per il 2100 suggeriscono un innalzamento del mare di oltre un metro. A quel punto – questo è lo scenario prospettato – la laguna sarebbe chiusa praticamente tutto l’anno”.
E allora emerge l’immagine ipotetica di una “palude asfittica, putrida e maleodorante” nel migliore dei casi. Di nuovo di una moderna Atlantide sommersa se le onde, per effetto di un più rilevante innalzamento dei mari rispetto alle stime, dovessero oltrepassare le salvifiche barriere.
Ma c’è qualcosa che tutti noi possiamo fare affinché tutto ciò non avvenga: ridurre drasticamente le emissioni di Co2 nell’atmosfera che sono all’origine del cambiamento climatico.
Se così accadesse, conclude il Post, “il Mose potrebbe ancora funzionare per 100 anni come previsto” dagli scienziati.