Dal proliferare di specie aliene in Puglia, alla velocissima evoluzione registrata a Venezia. Il biologo: “La fauna marina cambia anche da un anno all’altro”
“Perfino i negozi di pesca sono costretti ad adattarsi, vendendo ora sempre più finali in acciaio destinati alla cattura dei pesci serra, i cui denti non fanno fatica a spezzare le attrezzature classiche. Pesci, tipici del Sud Italia, che fino a 3 anni fa qui erano sconosciuti, mentre ora si trovano anche in Laguna e in grandi branchi”.
Le parole di Luca Mizzan, biologo marino e direttore del Museo di Storia naturale di Venezia, sono solo l’ultima testimonianza della continua evoluzione della fauna che non sta risparmiando nessun mare italiano. E che, per di più, “sta cambiando sempre più velocemente, con specie diverse anche da un anno all’altro”.
I mari italiani hanno cambiato velocità
È proprio questo uno degli aspetti che spaventano maggiormente il biologo di fronte a quella che definisce “un’evidenza quotidiana ormai sotto gli occhi di tutti”: “I processi sono molto più veloci di quello che sperassimo e ci attendessimo”, ammette Mizzan.
“Il mare – spiega – avendo una capacità termica infinitamente maggiore dell’aria dovrebbe seguire con una certa lentezza i cambiamenti dell’atmosfera. I meccanismi tradizionalmente più lenti delle comunità marine in realtà stanno da tempo accelerando, probabilmente a causa del riscaldamento più rapido del pianeta”.
E, in tal senso, il Mediterraneo è tenuto particolarmente sotto osservazione, visto che sta sperimentando una serie di rapidi cambiamenti. Al punto che Confcooperative-Federagripesca ha quest’estate quantificato come il 5,88% delle specie ittiche del Mediterraneo siano già aliene, stimando di arrivare al 30% entro il 2050.
La tropicalizzazione della fauna marina
I nomi dei nuovi abitanti dei nostri mari sono ormai noti ai più: dal granchio blu, al vermocane, al pesce scorpione, fino al pesce palla e al pesce coniglio. Una regione che spesso è al centro delle cronache, in tal senso, è la Puglia: dal boom estivo dei pesci pappagallo, all’arrivo del carango, fino al pesce luna da oltre un quintale da poco avvistato.
È il fenomeno, noto da decenni, della cosiddetta “tropicalizzazione”.
Ovvero lo spostamento delle specie in zone dove prima non c’erano, reso possibile nel Mediterraneo dal canale di Suez.
“Per ragioni termiche e di salinità – chiarisce Mizzan – il fenomeno fino a qualche anno fa si registrava solo in Libia o sulle coste della Palestina”.
“Adesso – prosegue – con il riscaldamento questi animali si stanno diffondendo, perché trovano condizioni sempre migliori e competitori meno efficienti. Le specie indigene abituate a certe condizioni dell’ambiente marino, di fronte alle novità di questo tipo vengono infatti spiazzate”.
La meridionalizzazione nell’Alto Adriatico
Alla tropicalizzazione, guardando in particolare all’Alto Adriatico, si accompagna poi l’altro fenomeno della meridionalizzazione.
Nel golfo di Venezia, la parte più alta del Mediterraneo, stanno arrivando cioè specie diverse, in precedenza presenti molto più a Sud, per esempio in Sicilia.
“La risalita verso Nord – specifica il biologo – avviene mano a mano che mutano le condizioni medie della temperatura dell’acqua, ma soprattutto quelle invernali. Se finora l’Adriatico si era abbastanza salvato è proprio perché si raffreddava molto in inverno, scendendo in superficie anche sotto i 7°-8°”.
Le specie non migranti, dunque, non si spingevano così a Nord, per quanto, vista la limitata profondità, l’Adriatico si riscaldasse notevolmente in estate. “Adesso – conclude il direttore del Museo – il quadro è completamente cambiato, con inverni sempre meno rigidi che favoriscono le novità nella fauna”.
Le nuove specie e il paradosso veneziano
A Venezia, dunque, non ci sono solo i pesci serra, ma anche quest’anno sono arrivate diverse segnalazioni di grandi pelagici. Altra specie che sta proliferando molto sono le leccie, che sono passate dall’essere oggetto di una pesca di nicchia al paradosso attuale legato ai grandi numeri presenti nelle acque locali.
“I pescatori non professionisti – illustra Luca Mizzan – adesso riescono a prendere pesci sempre più grandi e in quantità sempre più abbondanti, tant’è che in molti si sono forniti di frigoriferi da gelati per conservarli. Chi prima pescava orate, adesso punta proprio sulle leccie. E anche il Mose ha favorito la diffusione di più pesci “da scoglio””.
“La cosa grave – aggiunge – è che, al contrario, di questa situazione non beneficiano in alcun modo i pescatori professionisti, sia di Laguna che di mare, che anzi sono penalizzati per esempio dalla sofferenza indotta dai cambiamenti a vongole e mitili. Sono loro a mandarci spesso foto di pesci che non avevano mai visto prima”.
Un futuro incerto
Cosa attendersi, allora? Le previsioni, anche per un esperto biologo marino, sono tutt’altro che semplici. “La situazione – conclude Mizzan – è in evoluzione continua. A Venezia, la temperatura dell’acqua quest’estate ha superato i 30°, adesso siamo sotto i 28. Io credo che scenderà velocemente, ma possiamo solo augurarci, in tale prospettiva, che il prossimo inverno sia particolarmente freddo”.
Alberto Minazzi