Nel ’79 inizia l’era Carrain: per quattro stagioni la Reyer punta ai massimi traguardi italiani ed europei. È l’epoca d’oro di Dalipagic e Haywood e della finale stregata di Barcellona. Irripetibili anni di basket a Venezia, come a Mestre
QUARTA PARTE
La nuova decade apre un ciclo completamente nuovo per la Reyer. Nello spazio di una sola estate, terminano l’era della presidenza Ligabue (17 anni) e la prima esperienza di Zorzi sulla panchina orogranata (8 stagioni consecutive). A issare le vele dell’imbarcazione reyerina è il nuovo e ambizioso presidente Roberto Carrain, figura di spicco del settore alberghiero veneziano e grande appassionato di sport.
PROVE DI RISALITA.
La retrocessione dell’anno precedente non scoraggia i piani della rinnovata dirigenza. Anzi, per il campionato di A2 ‘79/’80 il direttore generale Antonluigi Lelli allestisce una squadra di tutto rispetto, guidata in panchina da uno dei tecnici più in vista del panorama nazionale, “Dido” Guerrieri. Obbiettivo: il ritorno nella massima serie. L’avvio di stagione è uno dei più brucianti di sempre: sette vittorie consecutive. Il parco italiani è di prim’ordine: al fianco di Carraro arrivano due nazionali del calibro di Serafini e Della Fiori, oltre a un Grattoni che inizia a ritagliarsi spazi sempre più importanti. Gli stranieri sono Lloyd Scott, sotto le plance e Joe De Santis, in regìa. Una deludente parte centrale di stagione (9 sconfitte su 14 incontri) compromette però i sogni di risalita e a nulla vale il disperato sprint finale (5 vittorie di fila). All’appello per la serie A1 mancano due soli punti.
MERCATO STELLARE.
A quel punto però nemmeno il più ottimista dei tifosi può immaginare cosa si prepara per la stagione seguente. Carrain decide che non basta una buona squadra per far tornare in auge la Reyer. Ci vuole una squadra “super”, che centri i playoff e si misuri direttamente con le grandi della pallacanestro italiana. “Il Grande Sogno” nasce nell’estate dell’80. Per prima cosa la Reyer cambia marchio e diventa Carrera. Alla guida tecnica si rivede Tonino Zorzi, mentre ritorna anche il figliol prodigo Stefano Gorghetto. Da Treviso arriva un giovane di belle speranze, Andrea Gracis. Poi gli stranieri. Per primo viene annunciato lo jugoslavo Drazen Dalipagic. Il suo ingaggio fa sensazione: si tratta infatti di uno dei giocatori europei più forti dell’epoca. Tremendo realizzatore, arriva all’età di trent’anni con alle spalle un oro e un argento olimpici, un oro e un argento mondiali e tre ori europei, oltre a due Coppe Korac conquistate nel ’77 e nel ‘78 con il Partizan Belgrado. Ma non c’è nemmeno il tempo di riprendersi dal moto di gioia, perché poco dopo viene annunciato il nuovo pivot americano: Spencer Haywood. La notizia manda in visibilio la città, i media locali e nazionali riversano fiumi d’inchiostro su una squadra subito definita “stellare” e sulla coppia di stranieri forse più forte mai vista in Italia. Nonostante i problemi di droga che lo hanno perseguitato negli anni precedenti, Haywood è ancora una stella di prima grandezza del campionato NBA. Pochi mesi prima, l’insanabile rottura con Kareem-Abdul-Jabbar, lo aveva spinto fuori dalla rosa dei Lakers a stagione in corso, perdendo così la possibilità di fregiarsi dell’anello NBA. L’offerta principesca di Carrain (comprese casa sul Canal Grande e gondola personale) lo convincono a lasciarsi l’America alle spalle. È così che arriva a Venezia uno dei più grandi talenti della storia del basket: il giocatore che più di ogni altro ha fatto sognare – e disperare – i tifosi reyerini.
BASKET IN ESPANSIONE.
Il momento di maggior esaltazione attorno alle sorti della Reyer coincide con il periodo di maggior espansione del basket nell’intera penisola. Nel ’79 l’Italia ospita i campionati europei vinti dall’URSS e tra le sedi c’è anche il nuovissimo palasport Taliercio di Mestre. In quel periodo la palla a spicchi diventa un fenomeno di massa, in grado addirittura di insidiare la passione nazionale degli italiani, il calcio. La finale tra Bancoroma e Billy del 1983 segna l’acme di questa ascesa. I palazzetti dello sport si riempiono tanto nelle grandi città (Milano, Roma, Torino, Bologna), come nelle piazze storiche della provincia italiana (Varese, Cantù, Pesaro, Gorizia, Trieste, Livorno). Anche squadre meno blasonate come Torino e Bologna (sponda Fortitudo), compiono grandi imprese in Europa (finali di Korac rispettivamente nel ’76 e nel ’77). Nel 1980 tocca Rieti far propria la seconda competizione continentale, un anno prima della maledetta finale di Barcellona che vedrà protagonista la Reyer. Ma non è un periodo magico solo per i club. I primi anni Ottanta sono il tempo delle imprese di una nazionale azzurra irripetibile. Alle Olimpiadi di Mosca del 1980, infatti, l’Italia raggiunge la medaglia d’argento alle spalle della Jugoslavia. A Nantes nel 1983, infine, la nazionale composta tra gli altri da Meneghin, Marzorati, Villalta, e guidata da Sandro Gamba, regala all’Italia il primo successo di sempre ai campionati europei.
MALEDETTA BARCELLONA.
Nel frattempo, per l’intera stagione ‘80/’81, l’Arsenale fa registrare il tutto esaurito. E come da preventivo la Reyer non delude, rivelandosi fuori portata per qualsiasi avversario. L’unica squadra in grado di impensierire la corazzata orogranata è la Superga Mestre di Chuk Jura, che impone alla Carrera il primo stop stagionale dopo nove successi consecutivi. Nonostante le prime bizze di Haywood e la montante incompatibilità caratteriale con Dalipagic, la squadra guidata da Zorzi detta legge anche in Coppa Korac. Per la finale in programma al Palau Blaugrana di Barcellona contro la Joventud di Badalona, partono da Venezia due voli charter e due pullmann di tifosi. La città si ferma. La delusione, alla fine, sarà traumatica. Un incredibile tiro sulla sirena di Galvin impatta il punteggio. Ai tempi supplementari i catalani hanno la meglio e la gioia è solo per i tifosi della Penya. La sconfitta di Barcellona pesa come un macigno sul finale di stagione. Al primo turno di playoff la Reyer incrocia Forlì e ha la meglio solo in gara-3, violando il parquet romagnolo al termine di una partita tesissima. Nei quarti di finale la Turisanda Varese di Meneghin e Morse chiude la serie 2-0, contro una Reyer ancora provata dalla sconfitta in Korac e condizionata dall’ingestibilità di Haywood.
IL RILANCIO.
La più entusiasmante e al contempo deludente delle stagioni si porta dietro non pochi strascichi. La prima conseguenza è la partenza di Dalipagic che ritorna al Partizan. Lasciano la laguna anche Della Fiori e pure Carraro, il giocatore simbolo. Questa volta, però, si riparte dalla A1 e le ambizioni rimangono intatte. Lo testimonia l’ingaggio di un’altra “super-star” NBA, da affiancare ad Haywood. Si tratta di Sidney Wicks, campione NCAA con UCLA, seconda scelta assoluta nel ’71, 12.000 punti e 6.000 rimbalzi in dieci anni di NBA. Attorno ai due “mori” ruotano i prodotti del vivaio, l’esperienza di Serafini e Gorghetto e due italiani affidabili come Palumbo e Spillare. L’avvio di campionato, tuttavia, è scadente (sei sconfitte nelle prime otto uscite). La fuga di Haywood costringe Lelli a tornare immediatamente sul mercato. Arriva Bruce Seals. La rotta però non si inverte, neanche quando Medeot subentra a Zorzi. Si lotta disperatamente per non retrocedere. Nel frattempo il percorso europeo regala soddisfazioni (dalla rivincita sulla Joventud, all’impresa di Mosca sul parquet dello Spartak), ma non il successo finale. Il campionato finirà con lo spareggio contro la Juve Caserta dell’ex Carraro: in campo neutro in quel di Siena, la Reyer batte finalmente i campani e si conferma, soffrendo come non mai, nella massima serie.
IN CADUTA.
Dopo due stagioni tanto ambiziose, quanto avare di soddisfazioni, l’ultimo campionato dell’era Carrain, parte sotto un cattivo presagio. La Reyer, infatti, sembra aver fatto l’ennesimo colpo estivo, assicurandosi il pivot emergente Ario Costa. L’accordo, però, è solo verbale. Costa prende la via di Pesaro e Venezia resta con un palmo di naso. La dirigenza punta tutto su una guida tecnica d’eccezione: il “professore” Aza Nikolic. La squadra, però, è corta e si adombrano le prime difficoltà economiche della società. Nonostante l’ala statunitense Brian Jackson si riveli un formidabile cecchino (sarà capocannoniere dell’A1 al termine del campionato con 28.5 punti a partita), il gruppo fatica (solo tre vittorie nelle prime dieci gare). Neanche il taglio di Lambert per Leon Douglas sortisce l’effetto sperato. La salvezza rimane alla portata fino all’ultima giornata. A Gorizia, però, la Carrera esce sconfitta e dopo due stagioni ritorna mestamente in A2. È la fine del “Grande Sogno”. Dopo quattro anni termina l’era Carrain. La Reyer torna alla dura realtà e si addentra in un periodo difficile da decifrare, sempre in bilico tra la voglia di tornare “grande” e l’oggettiva carenza di mezzi per farlo. Nessuna epoca, tuttavia, segnò tanto la storia della Reyer e dello sport veneziano e mestrino, come quelle quattro stagioni. Fu allora che i tifosi reyerini impararono a sognare. Fu allora che due città, Venezia e Mestre, grazie alla Reyer da una parte, e alle imprese della Superga di Celada dall’altra, diventarono un’unica grande capitale del basket italiano. Se la pallacanestro è ancora oggi lo sport più amato da una parte all’altra della laguna, molto lo si deve a quei quattro, irripetibili anni.
…CONTINUA NEL PROSSIMO NUMERO DI REYERZINE…
DI ALESSANDRO TOMASUTTI
La Reyer di oggi potrebbe essere ancora più grande. Anzi forse lo è già.