I segreti della “strada più bella del mondo”, come fu definita oltre cinque secoli fa, si svelano nel libro di Alberto Toso Fei che attraverso gli aspetti sconosciuti, curiosi e leggendari racconta la storia della Serenissima
Se volessimo fare un paragone potremmo dire che il Canal Grande sta a Venezia come gli Champs Elysées a Parigi, via Veneto a Roma o via Montenapoleone a Milano.
Ma quella del capoluogo veneto non è solo una “via” cittadina famosa, bensì “la strada più bella del mondo”.
Così la definì l’ambasciatore di Francia Philippe Commynes oltre cinque secoli fa dopo un doppio viaggio dalla Ferrovia a Piazza San Marco e da Punta della Dogana al Monastero di Santa Chiara.
E non solo per la sua peculiarità di essere una via d’acqua.
Il “canalazzo”, così come i veneziani chiamano il Canal Grande per distinguerlo dai più piccoli corsi d’acqua della città, lungo le sue rive, ha infatti tanto da raccontare. Vi si affacciano i palazzi più prestigiosi e importanti di Venezia nelle stanze dei quali ha preso vita e si è sviluppata la storia della Serenissima.
Leggendo le pagine del libro di Alberto Toso Fei “I segreti del Canal Grande. De Citra, De Ultra: viaggio nella Venezia più intima e sconosciuta” esplorando una riva e l’altra del Canal Grande, si va indietro nel tempo conoscendo personaggi illustri o leggendari come anche scoprendo i magnifici edifici, loro stessi portatori di storie.
Curiosità navigando lungo il Canal Grande
Sono centinaia i personaggi la cui storia è legata ai palazzi edificati sulle sue due rive. Libro alla mano, è come se i protagonisti della sua lunga storia si affacciassero da un edificio e l’altro rivelando vicende, segreti o semplici aneddoti che aiutano a ricostruire il glorioso passato della Serenissima.
Si scopre così, solo per fare qualche esempio, che in Riva de Biasio aveva bottega il terribile orco di Venezia.
Era un “luganegher”, termine veneziano per indicare il salsicciaio, chiamato Biagio Cargnio o Cargnico per la sua provenienza dalla Carnia, famoso per la bontà del suo “sguazeto”, un intingolo di carne particolarmente apprezzato. Tutto andò bene finchè una mattina un operaio trovò dentro la sua scodella la prima falange di un piccolo dito umano. Avvisate le guardie si scoprì che nel retrobottega si nascondeva ciò che rimaneva di alcuni corpi di bambini che l’orco trucidava per rendere più saporito il suo sugo. Al Cargnio non rimase che confessare le atrocità commesse.
Ca’ dei Camerlenghi e Ca’ Pesaro tra storia e misteri
Ca’ dei Camerlenghi, nel sestiere di San Polo, ai piedi del Ponte di Rialto è l’unico palazzo sul Canal Grande dal quale si vedono le sue acque da ognuno dei suoi lati che, curiosità nella curiosità sono cinque anziché i consueti quattro. L’edifico fu eretto nel 1525 da Guglielmo de’ Grigi, “il Bergamasco” per ospitarvi i Consoli, i Sopraconsoli e i Camerlenghi, con altre Magistrature. Al pianterreno, in particolare verso il Canal Grande, sono ancora chiaramente visibili le prigioni dove venivano rinchiusi i debitori e i rei di piccoli crimini.
Il grandioso Ca’ Pesaro, oggi sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna e del Museo d’Arte Orientale ai primi del Novecento, rappresentò un trampolino di lancio per tanti giovani artisti italiani quali Arturo Martini, Felice Casorati, Pio Semeghini, Napoleone Martinuzzi e Vittorio Zecchin, che qui ebbero la possibilità di esporre le loro opere. Da sempre poi corre voce che tra le sale all’ultimo piano si aggiri lo spettro di un antico samurai, bardato dell’armatura tipica dei guerrieri giapponesi e armato della leggendaria katana, la spada creata apposta per servire un solo combattente.
Casa del Boia, Parrucche e Papi sul Canal Grande
Percorrendo il canal Grande, la bassa e bella casetta rossa che si affaccia tra i palazzi a San Marcuola è conosciuta dai veneziani come la casa del boia che, secondo la tradizione dimorava qui. Anche se non è l’unico luogo in cui si ritiene abbia risieduto nei secoli l’esecutore delle sentenze di morte: un’altra sua abitazione è quella a pochi passi da campo dei Santi Giovanni e Paolo in calle de la Testa.
Tra le mura di Ca’ Correr Contarini Zorzi, nel sestiere di Cannaregio morì nel 1758 Antonio Correr, l’ultimo tra i patrizi veneziani a rifiutarsi di indossare la parrucca che giudicava un detestabile oggetto modaiolo. La parrucca era stata importata intorno al 1665 da Vinciguerra di Collalto e in breve tempo divenne di gran moda, tanto che in città sorsero numerose fabbriche di “polvere di Cipro” di cui si faceva gran uso per imbiancare i capelli finti di dame e gentiluomini. Oggi le parrucche imbiancate non si usano e la “polvere di Cipro” è diventata l’attuale cipria.
E ancora a Ca’ Fontana Rezzonico, situata poco prima della Ca’ d’Oro, il più celebrato esempio di gotico veneziano del Quattrocento, nacque Papa Clemente XIII, il quinto Papa veneziano della storia della chiesa cattolica.
Il Fontego dei Tedeschi, nel sestiere di San Marco era punto d’incontro tra Oriente e Occidente per i mercanti che arrivavano da ogni parte del mondo. Nella struttura i trovano numerose iscrizioni, monogrammi, simboli mercantili incisi sui marmi delle balconate, oltre duecento, che ancora oggi costituiscono probabilmente un esempio unico al mondo di marchi corporativi alto medioevali e rinascimentali.
Pensando ai personaggi illustri che frequentarono questa via d’acqua vi sono tra gli altri Gabriele d’Annunzio che scrisse “Il Notturno” proprio a Venezia, Antonio Canova che scolpì le sue prime opere, Lord Byron che nuotava nelle sue acque, Rodolfo Valentino, che salvò dalle acque un’ereditiera e poi Napoleone Bonaparte, Pietro Aretino, Peggy Guggenheim, Dante alighieri, che si mise a conversare con un pesce davanti al Doge Soranzo e Giacomo Casanova, che tenne il suo primo sermone da abate.
Un libro double-face
“Credo che dare voce alle storie invisibili di Venezia, raccontare storie legate intimamente ai luoghi – sottolinea l’autore del libro Alberto Toso Fei – sia un modo per preservarla dall’usura del tempo. Frammenti di storia millenaria fatta di racconti orali raccolti dagli anziani, di segni sulla pietra come i graffiti, piccoli presidi di memoria ancora tutti da scoprire messi in dialogo con la grande storia e riportati nei luoghi dove ebbero origine, possono essere un antidoto alla perdita di identità. Penso che anche le storie, quelle appunto invisibili che costituiscono un patrimonio immateriale immenso e quelle che la città mostra come segni nascosti, possano contribuire a salvare Venezia”.
Il libro si presenta in una veste originale e curiosa. Con la sua doppia copertina “I segreti del canal Grande”, che ritorna in una rinnovata veste a quindici anni dalla sua prima edizione, si può capovolgere da una parte all’altra: in questo modo si esplorano le due rive della famosa via d’acqua in un percorso di andata e ritorno.
“Se Venezia è indiscutibilmente un unicum che conserva e rivela le sue storie – spiega Alberto Toso Fei – il Canal Grande, essendo il corso cittadino, è il luogo dove più che in ogni altra parte della città si concentra la maggiore quantità di vicende, delle quali sono visibili le tracce. Goderne durante un tragitto è una messa in contatto con l’anima più profonda di Venezia, un viaggio nel tempo e nella storia”.
Il volume è corredato da un’elaborazione grafica di ogni palazzo che lo rende anche una sorta di guida e una serie di fotografie in bianco e nero di Linda Simionato, che ha curato anche la veste grafica.
Silvia Bolognini