Avvisaglie per il terremoto dell’Aquila già 6 anni prima. Intanto, ore di paura in Giappone per una forte scossa
Finora abbiamo sempre saputo che la scienza non è in grado di prevedere i terremoti.
Lo si ribadisce anche nella sezione dedicata al rischio sismico del sito del Dipartimento della Protezione civile.
L’unica previsione possibile è di tipo statistico, basata sulla sismicità che ha storicamente interessato il nostro territorio e quindi sulla ricorrenza dei terremoti.
I risultati di due recentissimi studi dei ricercatori dell’Università di Parma, però, aprono uno scenario diverso.
L’Aquila: segnali fin dal 2003
Incentrati su 2 dei principali terremoti degli anni Duemila, quello del 2008 a Sichuan, in Cina, di magnitudo 7.9 e quello de L’Aquila del 2009, quando si toccarono i 6.3 gradi, gli studi hanno dimostrato che esistono in realtà segnali precursori di un sisma.
E che questi segnali, in Italia, per il drammatico terremoto dell’Aquila si sono manifestati ben 6 anni prima.
L’importanza delle reti satellitari
I due studi, coordinati dal docente di Geofisica della Terra solida Giampiero Iaffaldano e pubblicati sulle riviste “Journal of Geophysical Research: Solide Earth” e “Scientific Reports” hanno concluso non solo che segnali precursori dei terremoti possono essere rilevati già con un anticipo di anni ma anche a migliaia km di distanza da quello che sarà l’epicentro.
La tecnologia che permette di percepire queste avvisaglie, potendole così sfruttare per mitigare il rischio sismico, è il Gps che consente di rilevare e misurare molto prima dell’evento sismico gli effetti dei terremoti sui moti delle placche tettoniche.
Il movimento delle placche e l’accumulo di energia
Se tra gli scienziati è pressoché unanime l’idea che i moti tra placche favoriscano la genesi di un terremoto, solo di recente ha iniziato a diffondersi anche la teoria di un influsso anche in senso opposto.
Lo studio dell’Università di Parma sul terremoto de L’Aquila ha in tal senso dimostrato che il sisma del 2009 è stato preceduto da un rallentamento del 20% del moto della placca Adria, quella che comprende l’Italia centrale e settentrionale, accumulando per 6 anni energia lungo gli Appennini nel contatto con la placca africana.
Il Giappone tra 4 grandi placche
La superficie terrestre risulta divisa in una serie di placche che si muovono in direzioni diverse, a velocità variabili tra pochi millimetri e alcuni centimetri l’anno, generando attraverso il contatto un progressivo accumulo di energia, che poi viene rilasciata improvvisamente attraverso un terremoto.
L’elevatissima sismicità del Giappone, dove si sono registrate nelle ultime ore 2 fortissime scosse (la prima di magnitudo 7.1 e la seconda 5.6, con allerta tsunami poi rientrata) con circa 1.500 scosse l’anno, il 18% del totale mondiale, si lega proprio al suo posizionamento tra 4 grandi placche.
Dalla stima alla previsione
Proprio oggi il Governo, sulla base dell’allarme dell’agenzia meteorologica nipponica Jma, ha valutato tra il 70% e l’80% le possibilità che entro i prossimi 30 anni si verifichi lungo la Fossa di Nankai un terremoto di magnitudo 8 o 9, con potenziali oltre 320 mila vittime.
Si tratta ancora di una stima statistica.
Ma i nuovi studi potrebbero forse contribuire a localizzare e a dare dei termini temporali a questa che si prospetta come un’apocalittica tragedia riuscendo a evitarla.