Restare chiusi in casa e assumere iodio (ma solo sulla base di indicazioni dell’autorità sanitaria).
Sono questi i principali comportamenti che dovremo tenere, anche in Italia, qualora si concretizzasse rischio-nucleare, che la guerra in Ucraina ha purtroppo riportato d’attualità.
Sia chiaro: la minaccia è ancora solo potenziale e l’Istituto Superiore di Sanità non ha lanciato nessun allarme. Ma è altrettanto doveroso tenersi pronti.
Non a caso, dopo 12 anni dall’ultimo aggiornamento, il Governo ha completato la revisione del Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari.
Il Piano di emergenza
A spiegare cosa sia questo piano è, nell’apposita sezione dedicata al rischio nucleare, il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche, dunque, individua e disciplina le misure necessarie per fronteggiare gli incidenti che avvengono in impianti nucleari al di fuori del territorio nazionale, tali da richiedere azioni di intervento coordinate a livello nazionale.
A gestire l’eventuale emergenza sarebbe la sala operativa Cevad dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione di Roma.
Il sito internet di Palazzo Chigi riporta ancora la versione dell’ultima precedente revisione, risalente al 1° marzo 2010.
Il contenuto del nuovo documento, che conclude l’iter di aggiornamento già avviato da mesi e ora giunto a conclusione, è stato comunque reso noto in queste ore.
In caso di necessità, gli interventi si articolerebbero in 3 fasi, legate all’evoluzione dello “scenario incidentale considerato”.
L’azione si differenzierebbe a seconda che l’impianto interessato dall’incidente sorga entro 200 km dai confini, oltre questa distanza e fino a 1.000 km o in territorio extraeuropeo (nel qual caso si applicherebbe l’unica precauzione di trattare i materiali provenienti dai Paesi interessati).
Le raccomandazioni dell’Iss
L’invito dell’Istituto Superiore di Sanità, proprio perché si tratta di misure preventive, è però quello di non farsi prendere dal panico.
“Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese – precisa l’Iss – sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione”.
Del resto, dopo le notizie arrivate dall’Ucraina sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia (comunque distante dall’Italia oltre 1.000 km), il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, aveva subito sottolineato che, qualora si verificassero rischi di fughe di radioattività, l’Italia è in stretto contatto con gli enti di controllo.
L’unica raccomandazione, al momento, è quindi quella di usare sale iodato, evitando invece di assumete farmaci fai da te, come le pillole di iodio stabile, andate a ruba in farmacia nelle ultime ore.
La iodioprofilassi entro le 8 ore dall’esposizione
Il nuovo Piano approfondisce anche altre indicazioni, sulla iodioprofilassi, confermando che si tratta di “una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione”.
Si tratta infatti di una misura che sarebbe riservata ai soli bambini e ragazzi, agli adulti fino a 40 anni e alle donne incinte o in fase di allattamento.
Il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è piuttosto ridotto: da meno di 24 ore prima fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione come termine iniziale.
“Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a 8 ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione” precisa il Piano. Perché, specifica il documento, somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all’esposizione può causare più danni che benefici.
Infatti, in questi casi, ne deriva un prolungamento dell’”emivita biologica dello iodio radioattivo che si è già accumulato nella tiroide”.
È in ogni caso il ministro della Salute a decidere l’attivazione delle procedure per la distribuzione di iodio stabile nelle aree interessate.
Il riparo al chiuso
In caso di necessità, il secondo principale accorgimento da mettere in atto è il cosiddetto “riparo al chiuso”.
L’invito alla popolazione, in questo caso, sarebbe cioè di restare in casa, con porte e finestre chiuse e sistemi di ventilazione o condizionamento spenti per un periodo di tempo variabile da poche ore a massimo 2 giorni. In via precauzionale, per le aree interessate, il Piano prevede inoltre una serie di misure accessorie, come il blocco della circolazione stradale.
Alcune misure scatterebbero già in caso di incidente nella seconda fase: dal blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure fresche, frutta, carne, latte) a misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico“.
Nell’aggiornamento del Piano sono stati coinvolti tutti i presidenti di Regione, in quanto sono questi enti territoriali, nel caso, a ricevere eventuali informazioni o notifica dalle Asl che effettuano i controlli. E tra i vari compiti attribuiti alle autorità competenti rientra anche l’effettuazione di comunicazioni tempestive alla popolazione, l’elaborazione di istruzioni specifiche per le scuole e l’attivazione per far fronte ai bisogni primari della popolazione.
Il vademecum svizzero contro la minaccia nucleare legata alla guerra
La minaccia nucleare sta intanto spaventando tutta Europa.
Il Governo svizzero, ad esempio, ha pubblicato sul proprio sito internet un piano di prevenzione per proteggere la popolazione in caso di guerra nucleare.
In caso di conflitto, sarà lo Stato a distribuire alla popolazione le compresse di iodio, ma ognuno dovrà provvedere al proprio sostentamento.
È stato così consigliato ai cittadini svizzeri di fare scorte alimentari per almeno 7 giorni.
La Svizzera, in ogni caso, dispone di strutture in grado di accogliere, in caso di allerta, l’intera popolazione in 365 mila rifugi di protezione, privati e pubblici.
Si tratta di cantine e depositi, trasformabili in poco tempo per garantire ospitalità in emergenza a circa 9 milioni di persone. Qualora il pericolo si facesse concreto, l’allerta sarebbe lanciata con sirene, via radio e tramite un’apposita app installabile sullo smartphone.
Alberto Minazzi