Il mio lungo viaggio in Thailandia, la terra degli uomini liberi (Thai significa libero) inizia da Chiang Mai, piccola e tranquilla “capitale” del nord, dove, a circa 1.060 metri di altezza, sul monte Doi Suthep, si erge lo scenografico Wat Phrathat Doi Suthep, complesso templare caratterizzato da imponenti statue di Naga, il dio dei serpenti.
Le figure mitologiche, in pietra o stucco, sono molto comuni nei templi thailandesi, cosi come i Chofa, i cosiddetti “ciuffi di cielo“, auree forme arrotondate che decorano gli spigoli dei tetti. Ma a colpire maggiormente la nostra curiosità e immaginazione sono soprattutto i templi in miniatura, issati su piccoli pali, posti fuori dalle abitazioni, davanti gli edifici pubblici e, persino, ai moderni centri commerciali. Si tratta delle case degli spiriti dove, quotidianamente, sono lasciati in offerta cibo, acqua, fiori e incensi.
La città templare di Chiang Mai è un’importante meta turistica non solo per le sue bellezze artistiche e il suo animatissimo Night Bazar, ma anche e sopratutto per la sua vicinanza alle montagne e quindi alle tribù che vi risiedono. Io e Gianmarco decidiamo quindi di andare alla scoperta del Nord tribale.
Con una escursione di alcuni giorni in jeep visitiamo Chiang Rai, cittadina alle porte del famigerato Triangolo d’Oro, zona di confine tra Thailandia Laos e Birmania, nota per la coltivazione di papaveri da oppio, tutt’ora mezzo di sussistenza per numerose tribù collinari seminomadi.
Le “donne giraffa”
Visitando un villaggio conosciamo Mu Ri, 17 anni, una delle tante donne “giraffa” dell’etnia Paduang.
Secondo un’antica usanza, ora mantenuta solo per attirare turisti e quindi denaro, le donne di questi villaggi, fin dall’età di 5 anni, indossano al collo delle spirali sempre più lunghe di anelli di ferro dorato. In tal modo, la loro testa arriva a distare sino a 30 cm dalle spalle.
Le ricerche mediche svolte dall’ortopedico belga Johan Van Roeckeglem hanno però dimostrato che il peso degli anelli (a volte fino a 5 kg), non comporta l’allungamento delle vertebre del collo, bensì l’abbassamento delle costole e dei muscoli delle spalle.
Tale deformazione, ci spiega Mu Ri nel suo inglese stentato, provoca forti dolori, ma rappresenta, insieme all’artigianato locale, un mezzo di sostentamento per sé e per sua figlia.
La ragazza è infatti già mamma di un bimbo di un anno ma non è sposata. Solitamente qui a portare la dote deve essere l’uomo, obbligato a offrire alla famiglia di lei almeno 2000 baht (circa 55 euro), due maiali e due mucche.
Incontriamo donne “giraffa” e altre popolazioni montane anche nella cittadina di Mae Hong Son, dove trascorriamo il Capodanno (secondo il calendario thailandese saremmo già nel 2547).
A Capodanno i pesi salgono al cielo
Sul palco allestito lungo la sponda di un laghetto si susseguono fino a mezzanotte esibizioni di canti e balli tradizionali, una festa dedicata sopratutto ai thailandesi, difatti a parte me e Gianmarco i turisti sono ben pochi. Allo scoccare della mezzanotte, segnato dal profondo suono di un Gong, un centinaio di personaggi in costume tradizionale lasciano salire al cielo altrettanti palloncini multicolore con un lumino appeso al filo; uno spettacolo commovente e pieno di fascino pur nella sua ingenua semplicità.
Lasciare salire al cielo un palloncino o una lanterna illuminata significa per tanti popoli non solo del Sud-Est asiatico ma anche del Sud America, lasciarsi alle spalle e quindi liberarsi dalle negatività e dai pesi dell’anno appena terminato.
Lasciando il nord, discendiamo lungo il Paese ora in taxi, ora in autobus, ora in treno, toccando le località più note. I treni locali sembrano appartenere a tempi lontani: senza finestrini, con i sedili in legno e decine di venditori ambulanti che cercano di vendere ai viaggiatori cibo di ogni genere.
Visitiamo l’antica capitale dell’impero Haripunchai, Lamphun, la cittadina di Lampang, famosa per i templi in stile birmano, i Parchi Storici di Si Satchanalai e di Sukhothai, capitale del primo regno Thailandese, le rovine di Lopburi, dove alcune dispettose e velocissime scimmiette mi rubano dalla borsa la custodia della macchina fotografica e un mascara e, infine, il parco archeologico di Ayutthaya, capitale del regno del Siam, distrutta dai birmani nel 1767.
La nuova capitale Bangkok
La nuova capitale fu trasferita nel 1780 dal primo sovrano della dinastia Chakr, re Rama I, a Bangkok (Bang Makok, letteralmente “villaggio delle olive“), megalopoli caotica ma affascinante denominata dai thailandesi Krung Thep, città degli angeli.
La vecchia Bangkok si può scoprire percorrendo con le barche a “coda lunga” i khlong (canali), che tagliano la lussureggiante vegetazione tropicale della tranquilla zona di Thonburi, o visitando le case di legno di teak come il palazzo di Vinanmek, ex residenza reale, o la casa-museo di Jim Thompson, magnate della seta americano, misteriosamente scomparso in Malesia nel 1967.
Girando per la città con i tipici tuk tuk, simpatico taxi aperto a tre ruote (unico problema ben pochi guidatori conoscono l’inglese, quindi la meta prefissata è spesso un optional), scopriamo i templi scintillanti della capitale thailandese, il Wat Phra Kaeo con il suo famoso Budda di Smeraldo (in realtà di diaspro verde), il Wat Tramit, piccolo tempio reso famoso dall’enorme statua del Budda d’oro (5,5 tonnellate di peso) o il Wat Pho, con la sua antica scuola di massaggi Thai e il Wat Ratchanaddaram, sede del più grande mercato degli amuleti di Bangkok.
Di sera ci perdiamo tra le strade affollatissime e multicolore di China Town, e la curiosità ci spinge a dare un’occhiata anche al quartiere a luci rosse di Pat Pong, dove decine di ragazzi con depliant illustrativi alla mano, propongono ai turisti i più svariati live show erotici e non solo…
Lungo le strade, di giorno e fino a tarda sera, centinaia di chioschi e banchetti all’aperto vendono ogni genere di cibi cotti al momento: dai famosi noodle (tagliatelle asiatiche), agli spiedini di pesce, di pollo, agli insetti impanati (cavallette, scarafaggi d’acqua e vermi).
Con mio orrore Marco assaggia un bruco del bamboo appena fritto dichiarando, soddisfatto, che il sapore è quello di una patatina fritta.
Ottima e sopratutto divertente la cena al Fish Market, enorme ristorante dotato di un lunghissimo bancone refrigerato colmo dei più svariati generi di pesci e crostacei. Una gentile hostess-cameriera ci segue negli acquisti con un carrello stile supermercato. Dopo aver scelto tra le prelibatezze in esposizione, paghiamo il tutto alla cassa, comprese le verdure d’accompagnamento. In breve, uno dei trenta cuochi del ristorante ci prepara, secondo le nostre indicazioni di cottura, un banchetto con i fiocchi.
Prima di lasciare Bangkok visitiamo il variopinto mercato galleggiante di Damnoen Saduak, a 110 Km dalla capitale, dove i venditori espongono la propria merce su dozzine di piccole barche e all’interno di grandi stand su palafitta. Decidiamo quindi di trascorre, tra Phuket e Phi Phi Island, due rilassanti settimane di spiaggia, rilassanti per modo di dire, visto che anche qui le cose da vedere e da fare sono tante. Con un breve volo da Bangkok raggiungiamo Phuket, dove incontriamo, soprattutto nei ristoranti, tanti italiani, tra cui molti veneziani.
Alcuni vengono a svernare qui da oltre dieci anni. Alla chiassosa spiaggia di Patong preferiamo le più tranquille Karon e Kata Beach, addossate a colline ricche di palme e piantagioni di caucciù.
Imperdibile l’escursione a Krabi e allo splendido arenile bianco di Rai Lay, noto per le sue enormi scogliere di calcare, tanto apprezzate dagli appassionati di free klimb, l’arrampicata libera su roccia. Impressionanti, poi, le miriadi di isolette carsiche dalla forma allungata simili a fusi, che caratterizzano la baia di Phang Nga, set del film “L’uomo dalla pistola d’oro”, della serie 007. Altrettanto spettacolari le pendici a precipizio sul mare, le gole, le rocce friabili dove nidificano le rondini ed i pesci multicolore di Phi Phi Le, isoletta disabitata, scenario naturale del film “The Beach“.
Scopriamo poi che la vicina isola di Phi Phi Don è in continuo rinnovamento strutturale per adeguarsi alla crescente domanda turistica, sopratutto giovanile, letteralmente raddoppiata dopo l’uscita del famigerato film con Di Caprio, pellicola tuttora proiettata nei principali ritrovi pubblici dell’isola.
Ma il paradiso thailandese non è sempre stato il mondo che tutti sognano.
Le isole e le coste della Thailandia hanno infatti impiegato anni per riprendendosi dalle devastazioni dello Tzunami del 26 dicembre 2004 causato da un terremoto con epicentro a Sumatra in Indonesia. Le onde, alte circa 14 metri, hanno spazzato e modificato le coste thailandesi e quelle dei Paesi limitrofi.
Oggi, almeno nella turistica Thailandia, a parte alcuni arenili scomparsi, tutto è tornato esattamente com’era un tempo, così nuovo e perfetto, che si stenta a credere alla desolazione di quei giorni. Prima di lasciare Phuket andiamo a visitare a sud dell’isola uno dei villaggi più tipici (ma anche turisticizzati) degli zingari di mare thailandesi.
Un gruppo di palafitte in riva al mare, tanti bambini e tanti cani, un rustico edificio che funziona da scuola, tempio e ritrovo per le riunioni della comunità e poi bancarelle dove si vendono collane, braccialetti, oggetti fatti con conchiglie e molluschi. A malincuore lasciamo l’incantevole mare delle Andamane, salutati dai delfini che per un lungo tratto seguono la nostra imbarcazione diretta all’aeroporto. Ci attendono ora gli scenari naturali altrettanto spettacolari dell’Australia, prossima tappa del nostro viaggio “Round the World”.
DOCUMENTI PER ENTRARE IN THAILANDIA: Come cittadini italiani, se andate in Thailandia per turismo e non vi fermate per più di 30 giorni, il visto non è necessario, è sufficiente il timbro all’aeroporto di arrivo. Se entrate via terra, ad esempio arrivando dalla Cambogia, le guardie di confine potrebbero limitare il periodo di validità del visto a 15 giorni. In entrambi i casi, sia che entriate via aria che via terra, presso gli Uffici di Immigrazione Thailandesi.
Claudia Meschini
*Nella foto in apertura, la spiaggia di Phi Phi Don