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Giornata Mondiale contro la pena di morte. Venice secrets

Giornata Mondiale contro la pena di morte. Venice secrets

Oggi è la giornata mondiale contro la pena di morte.
Una pratica che ci sembra molto lontana, ma sono ancora 56 i Paesi al mondo in cui è  una realtà.
Sono oltre 330 le esecuzioni che Amnesty International ha contato e denunciato nel 2018.
L’italia,  il cui codice penale l’ha contemplata fino al 1889 , dove è stata reintrodotta nel 1925 solo per attentati contro il Duce e contro il Re ed è stata abolita definitivamente dalla Costituzione nel 1948, ha fatto oggi della lotta contro la pena di morte una priorità.
D’altra parte Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria è cosa di casa nostra. Era il 1700 e nel nostro Paese qualcosa si muoveva. E a Venezia?
Qualcuno sostiene che la Serenissima Repubblica di Venezia sia stato il primo paese europeo ad abolire di fatto dapprima la tortura e, poi, la pena di morte.

Venezia e la pena capitale

La questione è controversa. Quel che è certo è che l’ultima esecuzione risale al 1791.
Se poi nel Seicento finirono al patibolo circa quattrocento persone, nel Settecento la pena di morte fu applicata “solo” a un centinaio di uomini e donne.
L’Archivio di Stato di Venezia, la Biblioteca Marciana e la Biblioteca Civica del Museo Correr custodiscono dei registri dei giustiziati per ordine della Serenissima Repubblica.
Altre informazioni si possono trovare grazie al fondo della Scuola di Santa Maria della Consolazione.

“Venezia non era certo un fulgore di bontà – dice lo storico Robert De Pieri – c’era tra l’altro una pena di morte ufficiale e una ufficiosa, che avveniva nelle carceri per strangolamento o per opera dei sicari che, infilando nel collo delle vittime lo stiletto di vetro di Murano, uccidevano senza lasciar traccia. Però sia l’istituto della pena di morte che quello della tortura furono usati con parsimonia , optando a volte anche per alternative tra l’altro economicamente più vantaggiose, come il bando dalla Serenissima o i lavori forzati nelle Galee”.

 

Venice Secrets.

Robert De Pieri sulla pena di morte e sulla tortura a Venezia ne sa più di qualcosa. Per Venice Exibition ha infatti curato la mostra,  inaugurata pochi giorni fa e aperta al pubblico fino al 20 maggio, “Venice Secrets. Justice Torture Death”, a Palazzo Zaguri.
“Abbiamo voluto rappresentare la storia della giustizia penale della Serenissima nel corso dei secoli –spiega il curatore della mostra De Pieri – Venezia è sempre stata un po’ un mondo a parte, anche riguardo la pena di morte. Abbiamo ricreato quindi un po’ i contesti in cui si decidevano le condanne capitali e gli strumenti con cui venivano eseguite. Il bancone di tortura dell’inquisizione del 1500 è originale, così come lo sono i macchinari che siamo riusciti a mettere assieme grazie alla collaborazione di numerosi collezionisti”.


L’esposizione rivela in modo inedito il lato oscuro della Serenissima, i secoli in cui le condanne erano eseguite in pubblico, tra le due colonne di Marco e Todaro in Piazza San Marco, dove morte, amputazioni e squartamenti dovevano servire da esempio per tutti.

Justice, Torture, Death

“La storia di Venezia è molto concreta –dice ancora Robert De Pieri – anche in fatto di pena capitale. Venezia applicava la Giustizia  in modo severo ma efficace, anche se a tratti crudele, nel periodo storico che va dal XIII al XVIII secolo. Metteva in pratica anche varie modalità, come l’impiccagione, il soffocamento, la descopata (un colpo di mazza del boia al capo del reo), l’affogamento. La condanna doveva essere esemplare. Sotto gli occhi austeri del Doge e quelli terrorizzati del Popolo, venivano tagliate le mani e anche segato il corpo del condannato in quattro pezzi, che poi venivano esposti sulle quattro strade principali che conducevano a Venezia”. La pena di morte era prevista soprattutto per i reati di “Omicidio “con pensamento”, quindi premeditato, di  “Rapto di donna honesta” (rapimento), stupro, sodomia e  incendio doloso. Ma anche per la falsificazione di monete, la violazione del segreto confessionale e la trasgressione degli ordini emessi dell’autorità per contenere l’epidemia della peste. A questo proposito interveniva l’apposito  Magistrato della Sanità

 

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