Il ‘500 potrebbe essere tranquillamente considerato come il secolo delle pestilenze.
Sebbene le epidemie più devastanti che hanno colpito l’Europa siano state la Peste Nera di cui parla Boccaccio nel Decamerone e quella del 1630 descritta nei Promessi Sposi di Manzoni, nel corso del XVI secolo ci furono una quantità davvero incredibile di epidemie di peste.
Ogni decina d’anni, infatti, le città del Nord Italia sembravano minacciate dalla presenza di elementi a rischio che avrebbero potuto diffondere il morbo, cosa che in alcuni casi si è verificata.
A Venezia, la peste si manifestò per ben due volte in un lasso di tempo inferiore a settant’anni: costringendo la città a misure drastiche ma necessarie, mettendo in difficoltà l’economia della Serenissima e mietendo un numero consistente di vittime.
Tra queste, due personaggi illustri: Giorgione da Castelfranco e Tiziano Vecellio.
Questi due pittori, pur avendo avuto percorsi diversi e rapporti tra loro spesso burrascosi, si sono ritrovati a condividere la stessa, tragica, sorte.
Il rapporto
Giorgione e Tiziano vivono due vite completamente differenti dal punto di vista artistico e umano.
Il primo, Zorzi da Castelfranco Veneto, essendo un po’ più vecchio (nato nel 1478), cerca di prendere le redini della pittura veneziana, ereditando pian piano le capacità e le committenze che Giovanni Bellini, pittore ormai vecchio, stava lasciando.
Il Secondo, invece, Tiziano Vecellio da Pieve di Cadore, impara l’arte proprio nella bottega del pittore castellano, distaccandosi però da lui molto presto. L’artista cadorino diverrà il pittore più amato in Europa nel corso del XVI secolo, associandosi alla Serenissima e offrendo i suoi servigi anche a Carlo V, Imperatore di Spagna, che esporterà le sue opere in tutti i suoi domini, rendendolo, di conseguenza, uno degli artisti più ricchi della storia.
I due pittori, pur avendo degli ottimi rapporti in principio, finiranno per litigare aspramente in seguito alla realizzazione dell’apparato pittorico del Fondaco dei Tedeschi , dal quale nacque una profonda gelosia che lì separò in malo modo.
Giorgione e la prima pestilenza
Giorgione, genio precoce, molto amato dalla critica nel corso di tutta la storia dell’arte, viene etichettato come uno dei creatori della “maniera moderna”.
È, infatti, uno dei nomi più significativi tra coloro che riuscirono a cambiare il modo di dipingere tra il ‘400 e il ‘500, facendo della pittura tonale (tipo di esecuzione realizzata tramite l’accostamento di “toni” diversi del colore) il suo cavallo di battaglia.
La carriera di Giorgione fu, purtroppo, molto breve.
La morte a Poveglia
Morì di peste, infatti, a soli 32 anni; lasciando, però, un patrimonio di opere incredibilmente vasto.
La peste che colpì Venezia nel 1510 non fu la più famosa o la più devastante tra quelle che attraversarono la città nel corso di quel secolo, tuttavia dilagò abbastanza da far convertire anche l’isola di Poveglia in un ricovero per i malati, dove, tra l’altro, vi morì Giorgione stesso.
La prematura dipartita di questa icona artistica non lasciò il Cinquecento soltanto orfano di uno dei padri della pittura, ma anche privo di quelle che sarebbero state utili informazioni per quanto riguarda l’identificazione di soggetti e tematiche rappresentate da questo pittore che scrisse pochissimo sulle sue opere. Il caso più famoso di incomprensibilità del tema è sicuramente La Tempesta, opera ancor’oggi discussa e misteriosa.
L’eredità del maestro
Per ripararsi dall’epidemia, Tiziano si rifugiò a Padova dove trovò terreno florido per realizzare i suoi primi lavori da professionista.
Tornato a Venezia, data la prematura scomparsa del vecchio maestro e la vecchiaia di Giovanni Bellini, che morirà pochi anni più tardi, divenne l’indiscusso protagonista della scena pittorica della città, realizzando alcune delle sue opere più famose proprio in questo frangente di rinascita, come Amor Sacro e Amor Profano, Le Tre età, Noli me tangere e, soprattutto, la pala della Assunta di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
La cosa più particolare è che, con la morte del maestro, sembra che Tiziano abbia voluto mettere mano anche alle tele lasciate incompiute dal pittore castellano. Oggi, infatti, non è semplice distinguere chi abbia partorito alcuni importanti lavori (come nel caso del Concerto Campestre, fortemente discusso) o come fosse il lavoro originario, il caso più eclatante è sicuramente la Venere Dormiente di Giorgione che Tiziano modificò aggiungendo un amorino ai piedi della donna (rimosso nell’Ottocento) e uno dei drappi che oggi vediamo sotto di lei.
Tiziano e la sorte del maestro
Tiziano muore in tarda età, rispetto a Giorgione, quando ha ormai compiuto 86/88 anni (non è sicura la data di nascita), condividendo con lui, però, la stessa sorte malevola.
Nel 1576, si abbatte su alcuni regni del Nord Italia una nuova pestilenza che verrà ricordata come la Peste di San Carlo, prendendo il nome dal vescovo di Milano, Carlo Borromeo (omonimo e cugino di Federico Borromeo dei Promessi Sposi), in carica in quel periodo.
Il contagio si propaga del Lombardo-Veneto in modo preoccupante, arrivando anche in laguna.
Quest’epidemia piegò completamente la bottega di Tiziano, eliminando sia lui che il figlio Orazio, suo collaboratore e probabile erede.
La tomba di Tiziano ai Frari
A differenza di Giorgione, di cui si sono perdute le tracce dopo la morte, il pittore cadorino non fu gettato in una fossa comune come era usanza in questi casi.
Essendo un nome illustre del firmamento veneziano già a quel tempo ed essendo ricchissimo, gli venne risparmiata questa triste consuetudine.
La tomba di Tiziano fu, infatti, un argomento piuttosto discusso nei secoli, tanto da aver fatto intervenire personalità di fama internazionale, come Antonio Canova (che realizzerà solo dei modellini), per progettare qualcosa di degno per un pittore così importante.
Oggi, la possiamo vedere alla chiesa dei Frari, progettata da Zandomeneghi nel 1843, in marmo lunense, voluta dall’Imperatore Ferdinando I d’Asburgo.
Anche Tiziano, come il suo maestro, lasciò incompiuta una piccola parte della sua produzione, in particolare la Pietà, grande quadro, di particolare fattura, dietro al quale sarebbe voluto essere sepolto, che oggi possiamo ammirare alle Gallerie dell’Accademia.
Di quest’ultimo dipinto Tiziano realizzò solo le figure in primo piano e le statue di Mosè e della Sybilla, ai lati del soggetto. Il resto venne completato da Palma il Giovane. Una particolarità: l’opera risulta così confusa e poco definita nella colorazione perché nel periodo della vecchiaia questo pittore era solito dipingere direttamente con le dita sulla tela.