Un articolo del celebre quotidiano statunitense, in occasione degli Internazionali del tennis di Roma, rilancia il tema delle diversità di premi. L’Italia prova a recuperare anche nel Pnrr
Il tennista che vincerà gli Internazionali d’Italia appena cominciati al Foro Italico di Roma si metterà in tasca oltre 1,1 milioni di euro.
La tennista che, nel 2023, si aggiudicherà il principale torneo di tennis del nostro Paese dovrà “accontentarsi” di 521 mila euro.
A richiamare l’attenzione su un tema che resta costante sottofondo in uno sport sicuramente ricco per i campioni di entrambi i generi è stato nelle scorse ore un editoriale pubblicato dal New York Times.
“Lo stesso lavoro ma molta meno paga per le donne. Benvenuti nel tennis del 2023” è il titolo dell’articolo su una questione, quella del cosiddetto “gender gap” tra donne e uomini, che, anche e soprattutto al di là dello sport, è particolarmente attuale.
“I migliori del mondo scendono questa settimana a Roma, dove uomini e donne giocheranno nello stesso formato, al meglio dei tre set, sugli stessi campi e nello stesso torneo che vende un biglietto allo stesso prezzo per entrambe le gare maschili e femminili – rileva il quotidiano statunitense -. Tuttavia, c’è un’enorme differenza tra il montepremi delle due competizioni“.
Una bacchettata che arriva come una doccia fredda per l’Italia, che da circa un anno si è dotata di un nuovo strumento, la “certificazione di parità”, inserita nella “Missione 5” (Coesione e inclusione, politiche per il lavoro) del Pnrr, per cercare nel tempo di limare le disparità di trattamento, non solo retributive, legate al genere.
Premi del tennis e “gender gap”
Riguardo al tema dei premi in denaro spettanti a tennisti e tenniste, la prima “parità salariale” (termine improprio, in quanto si parla comunque di liberi professionisti, ancor più particolari in quanto sportivi) fu raggiunta nel 1973, agli US Open, grazie a una vera e propria battaglia portata avanti dalla campionessa statunitense Billie Jean King.
Progressivamente, si sono allineati anche gli altri 3 tornei del “Grande Slam”, ovvero i più importanti al mondo: gli Australian Open nel 2001 e poi il francese “Roland Garros” e il britannico “Wimbledon” nel 2007, in questi ultimi due casi soprattutto grazie alla presa di posizione di altre due grandi tenniste, come le sorelle Serena e Venus Williams.
Come sottolinea il New York Times, altri 3 tornei disputati negli ultimi 2 mesi (Indian Wells in California, Miami in Florida e Madrid in Spagna) hanno messo a disposizione lo stesso montepremi per il torneo maschile e quello femminile.
Non Roma, che non è comunque l’unica a mantenere la disparità di premi tra tennisti e tenniste tra i principali tornei mondiali.
Le promesse di Roma e i perché della disparità tennistica
Prima dell’inizio del torneo romano, il presidente della Fitp, Angelo Binaghi, aveva annunciato l’adeguamento dei premi femminili a quelli maschili entro il 2025. E già quest’anno il gap tra vincitore e vincitrice si è ridotto percentualmente, passando da un terzo alla metà. L’aumento dei contributi dello sponsor principale fino al 2028 aiuterà a limare le differenze.
A spiegare i perché delle disparità nel tennis, concorrono numerosi fattori. I tornei maschili e femminili, in primis, vengono organizzati da 2 distinti circuiti (Atp e Wta), che contribuiscono al montepremi. E il mercato delle sponsorizzazioni, sia dirette che mediate dai due circuiti, valorizza di più lo sport maschile.
A incidere sono anche il seguito di pubblico, che pesa sulla vendita dei diritti media, e la non obbligatorietà della partecipazione delle migliori ad alcuni tornei, rendendoli meno commercializzabili. E se, astrattamente, i proprietari del torneo possono scegliere in autonomia la parità di premi, il Financial Times ha stimato che, nel 2022, si sia registrato il divario maggiore dal 2001.
Gender gap: dal tennis alla certificazione di parità
È chiaro che le tenniste sono tra le sportive che guadagnano di più (anche se, si calcola, il 34% in meno dei colleghi). Va però detto che, scendendo dai primissimi posti della classifica, vengono meno sponsor tecnici che forniscono i materiali e disponibilità economiche perché l’atleta possa garantirsi l’assistenza di un allenatore o di un preparatore atletico.
La disparità dei premi sportivi è in ogni caso conferma che il gender gap è tutt’altro che un problema superato, a qualunque livello lo si guardi.
E le discriminazioni che subiscono le lavoratrici “normali” nel nostro Paese restano ancora troppe.
La certificazione di parità, introdotta nel Codice delle pari opportunità dalla legge 162 del 2021 e operativa con il decreto pubblicato il 1° luglio 2022, intende dunque far compiere passi avanti all’Italia sul piano delle differenze di genere: dalla parità salariale alle opportunità di carriera, dalla tutela della maternità all’uguaglianza nelle mansioni.
Un nuovo meccanismo, basato nella valutazione su criteri scientifici, che richiederà un lavoro complesso, in cui tutte le componenti (parti datoriali, sindacati, ma anche avvocati giuslavoristi) sono chiamate a dare il proprio contributo per realizzare una parità che sia il più effettiva possibile.
Alberto Minazzi